Testo di Barbara Marzano
Foto cortesia di Varrone
Correre per passione, per curiosità e per trovare storie: Massimo Minutelli, il maratoneta della gastronomia mondiale. Basti dire che da quando le fiere hanno riaperto, Massimo in una manciata di mesi è passato per Anuga, Madrid, Milano, Olanda, Polonia ed è già pronto per Barcellona, solo per portare nuove storie nella sua Griglia di Varrone a Milano. Questo continuo peregrinaggio incarna tutte le intuizioni di Massimo, tante conquiste per cui oggi è riconosciuto a livello internazionale. E come gli disse un caro amico – niente meno che Davide Rampelli, direttore artistico Expo 2015 – “Massimo, tu non sei un venditore di carne, tu insegni a mangiarla. Sei la cultura della carne”. Ricerca, viaggia e non si accontenta mai. Trasmette la sua credenza nella carne attraverso le storie che incontra, come quella di Joselito e della Chuleta, la prima e unica carne affinata insieme allo jamon, con un processo in cui i funghi del prosciutto attecchiscono sulla carne, tanto da farle assorbire tutti gli aromi e il gusto dello jamon. Risultato? Una carne che restituisce tutta la dolcezza del prosciutto di Joselito, di cui José Gomez – proprietario di Joselito, vincitore de “il miglior prosciutto del mondo” – oggi ci racconta la storia di una generazione.
José, a quanto pare i tuoi maiali sono i più felici del mondo. Ma che gli fai?
“Un maiale di Joselito è sempre felice. Ciascuno di loro ha 3 ettari in cui pascolare, abita in una zona selvatica e si nutre solo di ghiande. Cosa vuoi di più? E non stiamo parlando di un habitat a caso, ma di una zona importantissima, già abitata secoli fa dai greci che appunto utilizzavano il terreno per allevare i loro maiali. È questo il segreto del nostro sistema perfetto, non avere cambiato nulla in questa zona che è un po’ il polmone della Spagna. Non c’è contaminazione, è perfetta così com’è perché è pura. È da circa 155 anni che è iniziata questa ricerca della felicità. Joselito è un’azienda di prosciutto autentica, e non lo dico perché ora va di moda il facciamolo al naturale, ma perché davvero da sempre – da 6 generazioni – non abbiamo mai fatto nulla se non in modo naturale. Ovviamente ci scordiamo gli additivi e tutto il resto, ma è soprattutto la scelta della stagionatura a lasciare l’impronta del nostro prosciutto. Siamo rimasti appesi alla tradizione, al come una volta: lasciamo che i prosciutti si asciughino naturalmente in grandi stanze con finestre contrapposte, aperte e chiuse a mano da noi, a seconda dell’umidità interna e del prodotto”.
Una coccola continua, una vita felice e un riposo graduale e costante. “Solo” questo?
“Certo. E il riposo conta, quanto l’alimentazione fatta esclusivamente di ghiande ed erba. Parliamo di querce secolari che vanno dai 300 ai 1000 anni d’età. Una quercia ha bisogno almeno di una novantina d’anni per iniziare a produrre ghiande quindi, ci siamo portati avanti piantando mezzo milione di alberi. Certo, non li vedrò mai, ma sapere che i miei figli, o meglio, i figli dei miei figli di sicuro ci riusciranno per ora mi basta”.
Siete usciti dal mercato locale, passando per Harrods a Londra e Peck a Milano. Ma a quanto pare Milano, anzi Massimo, vi ha fatti tornare con qualcosa di incredibile.
“Es la Chuleta! Non ce l’ha nessuno, solo Massimo. È nato tutto dall’intuizione del nostro macellaio di fiducia, australiano, che mi disse: “José, ma perché non fai stagionare anche la carne?”. In Spagna nessuno si sognerebbe mai di stagionare la carne di maiale, ma ho accettato la sfida. A un’unica condizione però: stagionatura 100% naturale. Nessuna cella frigorifero, esattamente come succede con i prosciutti e i salumi, stesse tempistiche. Perché tutto da noi dipende dal tempo, l’alimentazione degli animali, la crescita degli alberi, il periodo di maturazione”.
Tutto naturale, come il legame che si è creato sulle tavole di Milano tra Joselito e la Griglia di Varrone, tempio della carne grigliata ma anche cruda. Dalla pluma di maiale iberico di Joselito, al Black Angus USA Prime allevato esclusivamente con diete vegetariane a base di grano e fieno, la ricerca continua di Massimo ha permesso di servire l’eccellenza in tutta la sua geografia: dal Wagyu Beef giapponese della prefettura di Kagoshima e di Kyoto, da degustare alla griglia o nelle creazioni di Massimo come i Mondeghili di Wagyu beef e lo straordinario Japanese street food sandwich. Accanto a quella giapponese c’è anche la Wagyu Beef proveniente dall’Australian Agricultural Company, proposta nei suoi tagli più interessanti, dall’Asado alla Picahna, dal Filetto alla New York Steak fino alla Tomahawk.
Un viaggio gastronomico che, dopo una tappa nei pascoli verdi di Joselito, ha portato alla Griglia di Varrone un menu che sazia con felicità, firmato dalla New Collection Joselito 2022. Un percorso aperto dalla botta e risposta tra uno Jamón Gran Riserva 2017 e un Jamón Vintage Gran Riserva 2015, meglio conosciuto come El Mejor Jamón del Mundo. Due cavalli di battaglia seguiti da Lomo e Chorizo, Sashimi di Solomillo con salsa Tonkatsu e Pinchos, per chiudere con il Tagliolino alla bolognese con ragù di Pluma. Tutto in attesa della regina della serata, la Chuleta Joselito 25 days Dry Aged, accompagnata dal Purè con chicas. Stupefacente, come tutto ciò che entra nel regno di Massimo, fatto di griglia, fuoco e quercia. Non serve nient’altro per domare questa carne, che non va cucinata ma cotta consapevolmente. E Massimo lo sa bene, perché conosce il suo pubblico, no?
“Milano è splendida, ma è la città più difficile che esista. Le persone sono esigenti, non basta mangiare bene, ci deve anche essere la gente giusta, l’atmosfera, il design. Conta tutto, bisogna mettere insieme tante cose cercando di farsi spazio tra la massa. Io ho escluso tassativamente le carni italiane e ho scelto la griglia che, per le temperature raggiunte, ha assolutamente bisogno di carni con alte infiltrazioni di grasso che le protegga e le mantenga tenere”.
Come mai questa passione per la carne?
“Non per la carne, per il cibo. Per la carne è semplicemente una coincidenza della vita, perché in realtà mi sono sempre occupato di abbigliamento. Nel 2006 avrei dovuto aprire un ristorante con un ristoratore di Lucca che stimavo molto, così sono entrato in società con lui, che aveva un ristorante di pesce, per aprire un locale che non desse minimamente fastidio al suo. Quindi ho scelto la carne. Ed ecco la coincidenza carne e la conseguente apertura di Lucca, che poi ho gestito da solo”.
E non ti è mai venuta voglia di metterti alla griglia e cucinare tutta questa meraviglia?
“Solo a casa, perché ho una tolleranza massima di 4 o 6 persone. Ma qui da Varrone, come negli altri ristoranti non c’è piatto che non costruisca io, o meglio, che non crei insieme ai miei chef. Io non conosco la tecnica, lo ammetto, ma cerco di metterci sempre l’idea, in attesa di vedere cosa ne esce”.
Beh, il risultato è sempre una garanzia da te. Ma cos’è che fa davvero la differenza qui da Varrone?
“Forse essere stato il primo in Italia, circa 15 anni fa, a portare le carni americane. Ora il black angus è ovunque, ok, ma non è certo il nostro. Ho delle conoscenze che coltivo da anni, a Montecarlo ma anche in Olanda, e non acquisto certo da loro per risparmiare, ma per avere il Prime. Dopo che abbattono l’animale, fanno tre selezioni: Select, Choise e Prime. Il Prime va a coprire dal 2 al 4% degli animali abbattuti. Io voglio solo quello, perché se non è Prime da Varrone non entra. D’altronde questo è il mio vanto più grande. Averci creduto”.
Ci hai creduto proprio quando gli altri forse non ci avrebbero mai creduto. Hai iniziato da Lucca, il palcoscenico della fiorentina. Come l’hanno presa lì?
“Pensavo peggio. Se ci pensi, sono entrato in una cittadina tradizionale come è Lucca, regno della fiorentina, e ho piazzato nei piatti dei toscani della carne americana: all’inizio c’è stato grande scetticismo, certo, ma dopo il primo morso mi sono reso conto di averci visto bene. Ci ho creduto tutto qui, ho creduto nelle carni ad alta infiltrazione e il pubblico si è fidato”.
E per domani, ci sono novità per Varrone?
“Domani è ottobre. Apriremo un locale molto più semplice in autunno, sempre a Milano, e sarà il nostro bistrot. Per questo mi sono ispirato a un ristorante che ho visto a Barcellona. Voglio che la “zona lavoro”, quindi tutta la griglia e il resto, sia di fronte al pubblico, per godersi lo spettacolo. Ci sarà uno chef dedicato, almeno per sei o sette coperti, solo per loro e davanti alla griglia. Il tutto su un piccolo palco, alto una trentina di centimetri, pensato proprio per andare in scena. Ovviamente parliamo di un progetto seguito dal mio designer Diego Perusko. Lui è il mio vestito da sempre e ovunque”.
La Griglia di Varrone
Via Alessio di Tocqueville, 7
20154 Milano (MI)
Tel: +39 02 3679 8388
www.grigliavarrone.com