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Testo di Luca Martinelli
Foto cortesia de La Sangiovesa
I primi trent’anni di storia dell’Osteria di Santarcangelo di Romagna in un libro (che non racconta solo ricette)
Premessa: fino al febbraio del 2022 non avevo mai visitato Santarcangelo di Romagna (senz’apostrofo, sì), né scarpinato per il borgo medioevale fino a raggiungere la Rocca Malatestiana e vedere la linea di costa da 90 metri d’altezza. Rimini – con la spiaggia di Torre Pedrera – dista infatti meno di dieci chilometri dal centro storico. Negli ultimi due mesi, invece, Santarcangelo è stata una delle mie mete più frequentate e salendo verso il castello ho ammirato lo splendido palazzo che ospita La Sangiovesa, che fino ad allora credevo fosse un’osteria lungo la via Emilia. La seconda sorpresa, di questo locale e in generale del territorio, è che qui nella vera Romagna il mare in cucina non entra. Lo stesso avviene in Cilento e lì la spiegazione si trova sulle montagne a picco sul mare. Qui, invece, il senso profondo di una cucina di terra lo si può ritrovare risalendo il corso di un fiume, il Marecchia, che attraversa Santarcangelo e sfocia a Rimini. Fine della premessa.
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Il fiume Marecchia scende dall’Appennino lambendo il borgo di Pennabilli. A Santarcangelo scorre ormai in piano. Il letto largo e ghiaioso fa immaginare le portate straordinarie di un tempo. Santarcangelo e Pennabilli sono le due tappe principali della vita di un uomo straordinario, che ha un ruolo di primo piano anche nella storia della Sangiovesa. È Tonino Guerra, amico di Manlio Maggioli, patron dell’omonimo gruppo editoriale e inventore dell’Osteria di Santarcangelo. Tonino Guerra, sceneggiatore con Fellini ma anche poeta e paesaggista, intellettuale inventore e motore di cose belle, è morto dieci anni fa, nel marzo del 2012. Oggi lo si può incontrare nel Museo Tonino Guerra, a poche decine di metri dalla Sangiovesa, o appunto a Pennabilli, visitando il museo “I luoghi dell’anima”. Per almeno vent’anni, Guerra ha potuto sedere ai tavoli di questo locale, che ha contribuito a immaginare, disegnando anche le splendide stufe che decorano alcune delle sale da pranzo o immaginando la Grotta delle Colombaie, lungo la scala scavata nel tufo che scende alla Sorgente dei desideri (sì, tutto questo in un’osteria). Fu sempre Guerra, insieme ad Alteo Dolcini, a inventare il nome La Sangiovesa, di cui intuì subito le potenzialità come contenitore dove ammucchiare la poesia e la bellezza: “Qualcosa di nuovo e anche di vecchissimo che meriti di essere scoperto o, se vecchio, dissotterrato dall’indifferenza”.
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Queste cose si scoprono leggendo il bel libro “La Sangiovesa. L’Osteria di Santarcangelo”, il volume che ne celebra i primi trent’anni, dal 1990 al 2020. Il libro ripercorre tutta la storia dell’unica osteria custode della tradizione culinaria romagnola ed è stato curato da Giorgio Melandri con la prefazione di Luca Sommi e le immagini d’autore di Maurizio Gjivovich. È stato presentato lo scorso 1° marzo, alla presenza tra gli altri di Alice Parma, sindaca di Santarcangelo, e di Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna.
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Del resto, come ha ricordato Giorgio Melandri, “la storia della Sangiovesa è un simbolo del potenziale della nostra identità, un esempio di come possiamo imparare a raccontarci, un testimone dell’anima della Romagna, una esperienza preziosa per tutti. L’Emilia-Romagna è pronta per una nuova stagione di narrazione”. Non esistono altri ristoranti, ad esempio, che espongano quadri di un pittore del Seicento: qui, invece, le pareti del locale sono state arricchite da alcune tele di Guido Cagnacci, nato a Santarcangelo.
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Quello che abbiamo descritto è il palco sul quale ogni sera (dal lunedì alla domenica, a pranzo l’osteria è aperta solo nei due giorni del fine settimana) va in scena la cucina dello chef Massimiliano Mussoni. La tavola è quello che voleva essere nell’intenzione di Maggioli e dell’amico Guerra trent’anni fa: un inno alla Romagna. Una scommessa vinta: in tempi “normali” sono 75 mila i coperti annuali della Sangiovesa. Dopo la diminuzione del 2020 con 44.000 coperti dovuta al lockdown, il 2021 si è chiuso con importanti segni di rilancio e crescita nonostante i periodi di chiusura: 52.000 ospiti.
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Tra i piatti che abbiamo assaggiato e che potreste provare a riprodurre anche a casa usando la seconda parte del libro – quella dedicata alle ricette (Mussoni, sorridendo, ha detto: “Ne abbiamo tagliate moltissime, Giorgio ha fatto un lavoro eccezionale su questo libro, che racconta l’anima del locale e del progetto più ampio legato al territorio della famiglia Maggioli”, su cui torneremo dopo) – che si apre-e-non-poteva-che-essere-così con quella base, per fare la sfoglia.
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Ne presentiamo sei: il Cassone alle erbe di campo, impasto leggerissimo ripieno di un misto di “verdure in foglie” raccolte e passate in padella, è lo street food romagnolo per eccellenza ma si può mangiare tranquillamente anche a tavola, rigorosamente con le mani però; i Cappelletti che vengono preparati ogni giorno dalle sfogline della Sangiovesa, cotti e serviti in un brodo di cappone, brodo vero, sapido senza uso di preparati come il glutammato (qui il ripieno è prevalentemente di formaggi – vaccino fresco, ricotta vaccina, Parmigiano Reggiano – e poi carne di maiale, petto di cappone e petto di tacchino); la ricchissima Lasagna verde, con la sfoglia arricchita dagli spinaci; la Trippa di scottona, cotta in una brunoise di verdure e aromi; la tenerissima Pollastra alla cacciatora, pollastra cresciuta razzolando all’aperto alla Tenuta di Saiano.
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Tenuta di Saiano è un capitolo a parte. La tenuta agricola della famiglia Maggioli è sul poggio di Montebello, nel Comune di Poggio Torriana, a pochi chilometri da Santarcangelo. È stata aperta dopo la Sangiovesa. È dedicata a un’agricoltura e a un allevamento sani, che rispettano l’ambiente e la salubrità animale. Offre tante delle materie prime trasformate in cucina da Mussoni. E poi l’olio e il vino che potete scegliere per accompagnare la vostra cena (davvero buoni il Gianciotto e il Montebello, base Sangiovese).
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Il sesto piatto non lo abbiamo dimenticato, ma prima ci stava una digressione. Torniamo a tavola per il dolce, un dolce straordinario realizzato in via Saffi 32, proprio di fronte alla Sangiovesa, nel laboratorio dedicato alla panificazione e alla pasticceria aperto nel 2020 e guidato da Andrea Marconi: la Torta di squacquerone è una cheesecake che valorizza il formaggio principe della Romagna su una base di crumble salato alle mandorle. Sopra fichi caramellati.
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Squacquerone e fichi caramellati è anche uno dei ripieni più territoriali della piadina. Che qui è presente a tavola, dove il pane non c’è. È fatta a mano con farine biologiche della Valmarecchia, una filiera del Molino Ronci (che è a Pennabilli). Piadine da accompagnare rigorosamente ai salumi di Tenuta Saiano, che non abbiamo assaggiato (un promemoria, in vista della prossima gita alla tavola della Sangiovesa, a cui aggiungiamo anche le tagliatelle proposte in una doppia versione, con verdure di stagione e con ragù, quelle della tradizione).
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La Romagna e la Valmarecchia stanno anche nel piatto, grazie alle materie prime: quello della Sangiovesa è un progetto che prende la tradizione e l’impasta di futuro per guardare lontano. Non potrebbe essere altrimenti: alle pareti ci sono alcuni messaggi che l’ispiratore Tonino Guerra ha “spedito” agli abitanti della Valmarecchia, Avvisi editi da Maggioli editore. Uno, il tredicesimo, dice così: “Le autorità respirano soltanto l’aria dei piccoli giorni che stanno vivendo e non sanno che chi comanda deve già respirare l’aria dei figli dei nostri figli”. Dovremmo tutti imparare a vivere così. Respirando l’aria dei nostri nipoti.
La Sangiovesa
Piazza Beato Simone Balacchi, 14, 47822
Santarcangelo di Romagna (RN)
Tel: +39 0541 620710
www.sangiovesa.it