Testo di Barbara Marzano
Foto cortesia di Altatto e Laura Spinelli
È certo che il tatto abbia solo una concreta espressione? Abbiamo mai preso in considerazione l’idea che possa appartenere all’intimo abitacolo della bocca e non solo alla pelle? Se il primo tatto fosse interno, figlio delle sensazioni che ci toccano e provocano la cosiddetta esperienza “toccante”, allora dovremmo rivedere i nostri piccoli schemi, come fa Altatto – ristorante d’alta cucina vegetariana e vegana di Milano di Sara Nicolosi e Cinzia De Lauri – che ha fatto di questo pensiero il proprio mantra. E Val ne è l’ennesima riconferma. Val è la Valtellina portata a Milano, la prima collaborazione con artigiani e produttori della valle e Maddalena Selvini, amica di vecchia data di Sara Nicolosi, nonché già parte di Altatto qualche anno fa come designer di alcune stoviglie del ristorante.
Sara: “Maddalena c’è da quando nessuno sapeva ancora dell’esistenza di Altatto. Quando lei era già una designer, io ero già una cuoca, e il desiderio di fare qualcosa insieme c’è sempre stato. Entrare interamente nel progetto, disegnando piatti sempre nuovi per Altatto, sarebbe stato impossibile a livello di produzione, così ci ha sempre seguite in parallelo”.
Un pensiero nato da una sintonia molto forte, riemersa durante un sopralluogo in Valtellina in compagnia di Cinzia e di tutte quelle piccole realtà che hanno dato modo di oltrepassare i confini della valle fino ad arrivare a Milano. Tra tante valli, quella della Valtellina, la più vicina a Milano sì, ma soprattutto una conca vegetale conosciuta molto bene da Cinzia, che qui ci ha passato gran parte dell’infanzia.
Sara: “Cinzia e io da sempre sogniamo di aprire qualcosa in montagna, per fare una cucina di montagna e concentrarci ancora di più su tutta la parte selvatica, alla raccolta e alle spontanee. E, sì, se mi penso altrove, è proprio in montagna, in un territorio ricco di materie prime che già fanno parte dell’anatomia di Altatto”.
Scegliere la montagna come una specie di ritorno a casa, in un habitat già esplorato da Altatto, e ulteriormente raccontato da Val, più che un menu un progetto nato dalla semplice sinergia di tre donne, Sara, Cinzia e Maddalena, e dal desiderio di creare qualcosa insieme. Qualcosa che nasce con il Totem, uno e un solo piatto che osanna l’acqua della valle, e continua con un intero menu di tradizione valtellinese mista ad Altatto, cucinata interamente con la pietra ollare, usata a caldo per mantecare il risotto, cucinare l’orzotto e scaldare il brodo, o a freddo per mantenere fresco lo yogurt. La pietra ollare come strumento di preparazione per pochi ingredienti provenienti dalla Valtellina, in assoluta purezza e con qualche salto di acidità, per raccontare un territorio, o meglio una zona specifica della Valtellina, habitat naturale dei produttori coinvolti.
Entriamo dentro Val. Quando si esplora la valle, la natura arriva incontro senza chiedere permesso, pronta a dissetare le bocche con le note ferrose, fredde e di pietra dell’acqua dei suoi ruscelli. Da qui l’idea di Totem, il piatto in pietra ollare disegnato da Maddalena, la prima idea che ha dato il La a tutto il progetto e che dà il benvenuto non appena seduti a tavola. Contenitore di acqua in due forme e due tempi diversi, Totem riprende esattamente una silhouette piramidale, da scomporre in due parti.
Quella superiore diventa un bicchiere che introduce al mood valtellinese, semplicemente sorseggiandone l’acqua all’interno – filtrata da una porosità propria della pietra – come a replicare il sorso rubato da un torrente. Un bicchiere che ben si accoppia al piatto che fa da base al totem, contenitore della prima portata, ovvero il brodo vegetale. Da questo incontro emergono subito i tratti evidenti di una ricerca di contaminazione culturale, insita in Altatto, che questa volta verte sulle usanze messicane.
Cinzia:“In Messico c’è un ‘rito’ con cui si prepara un brodo caldo, utilizzando una pietra che ha la stessa composizione chimica di quella ollare, quindi che conserva la temperatura sia a caldo che a freddo. Preparano una zuppa comunitaria, per tutta la tribù indigena, per creare un momento di condivisione, lo stesso che cerchiamo di emulare sul tavolo di Altatto con Preda Colda”.
Valtellina e Messico si incontrano in un gioco di addizioni, in Preda colda: una giardiniera, un brodo vegetale all’interno di Totem da terminare con l’aggiunta delle polveri estratte dalle stesse verdure con cui è stato fatto, e sciatt valtellinesi, preparati con la toma di montagna fatta a soli 200 metri, da Angelo, ad Alpe Lago, proprio dove viene scavata la pietra ollare usata per tutte le stoviglie. Sono i tornitori a scavare nella cava per trovare la pietra ollare, un mestiere che va avanti da circa 300 anni, nell’assoluto rispetto della natura. La quantità di pietra da poter prelevare è infatti limitata, varia di anno in anno, merito di una realtà artigianale molto preziosa, condotta dalla famiglia di Alberto Gaggi, il tornitore che gestisce gelosamente questo tesoro nascosto.
E se si parla di piccole realtà, vale la pena citarne un’altra, quella di Uovodiselva, uova biologiche prodotte nella Valle del Bitto, in un bosco di castagni a 600 metri di altitudine, in cui scorrazzano libere ben 2000 galline, artefici dell’OÖF di Altatto. OÖF è un uovo a tre strati: caviale di aceto di mele, panna cotta all’uovo e in ultima riduzione di aceto di mela. Il frutto proibito, coltivato da un altro piccolo produttore, Amedeo Moretti, entra prorompente con tutta la sua acidità per inframezzare la morbidezza dell’uovo, pieno e avvolto nella grassezza della panna, che regna senza mai invadere. OÖF nasce dalla forma di un piatto di Maddalena, Stone egg, che richiama nell’immediato quella dell’uovo, contenendolo proprio come fosse una mano che ha appena raccolto un uovo da terra.
È il turno di Tarè. In Valtellina è così che chiamano il terreno umido quando la neve gli si scioglie sopra. Da qui il rimando al piatto di Val, a tutti quegli ingredienti del bosco, conservati e riparati dalla neve: aglio essiccato, succo di mela concentrato, una punta di aceto di mela, abete bianco disidratato e reso polvere, muschio essiccato, cavolini di Bruxelles al forno, il tocco più rotondo che chiude il piatto.
Un piatto che si compone a tavola, servito da Offer, una creazione di Maddalena, che nella parola “servizio” riconosce, giustamente, una certa distanza tra chi serve e chi viene servito, e allo stesso tempo una disparità in termini gerarchici, come se il “servente” fosse protagonista di una data sottomissione. E il cuoco non è questo, non serve ma offre. Offer amplia la convivialità e offre l’orzotto raccogliendolo da una pentola in pietra ollare, abbastanza capiente da sfamare tutti i tavoli in sala.
Sara: “Di solito noi componiamo i piatti attraverso contrasti di sapori e consistenze diverse, assemblate in cucina, e in un servizio ‘pronto’, dalla pentola al piatto, questa possibilità si sarebbe persa. Da qui, l’idea di portare un piatto in costruzione, lasciando sotto tutti gli ingredienti base, per poi ricoprirli con una spruzzata di neve, un orzotto bianco latte”.
L’orzotto è anche opera di Raetia Biodiversità Alpine (Teglio), di Patrizio e Greta, una coppia che coltiva specie rare e antiche, come alcuni tipi di patate e grano saraceno siberiano, varietà autoctona della Valtellina protagonista di questo piatto. Quest’orzo racconta però, ci rende testimoni diretti di tutto il “male” del nostro cambiamento climatico.
Sara: “Tra i vari chicchi nel piatto, è facile incontrare chicchi di grano saraceno. Il fatto è che il saraceno cresce in un periodo, l’orzo in un altro, ma dato che non è più possibile raggiungere temperature abbastanza basse, i tempi di fioritura vanno a sovrapporsi. E se da un lato offrono un segno caratteristico al piatto, dall’altro testimoniano una triste realtà”.
Mirtillo selvatico, pop corn caramellato, uvetta ripassata nella grappa, polline, grasso di pigna e biscottini al burro. Tutto il corredo che colora la purezza di un gelato allo yogurt, Glàsc Làc’, tenuto al fresco nella sua pietra ollare e servito in un piccolo Offer, la versione small per la monoporzione che chiude Val. Val, la prima – e forse l’ultima – collaborazione con un mondo distante da Milano, che però ha già scoperto che il vero tatto va oltre le dita. Il menu VÀL è stato degustato ad Altatto dal 15 febbraio al 15 di Marzo.