Testo e foto di Tania Mauri
Con la definizione di bollicine di montagna, Trentodoc, riassume le caratteristiche di questo Metodo Classico che profuma del proprio luogo d’origine, il Trentino. Il 10 maggio è stata la giornata dedicata al Trentodoc Day, manifestazione interamente digitale con incontri e approfondimenti su Zoom, Facebook, Instagram e Clubhouse. Tra le tante iniziative abbiamo scelto la degustazione La montagna a casa tua con Simone Loguercio, Miglior Sommelier d’Italia Associazione Italiana Sommelier 2018 – nonché ambasciatore del TrentoDoc – e Alessandro Gilmozzi, Chef de El Molin di Cavalese.
Gilmozzi, 1 stella Michelin, eclettico, sperimentatore ricercatore, legato al territorio, rappresenta la cucina di montagna in tutta la sua espressività. A Cavalese usa, da più di vent’anni, materie prime inusuali, come i licheni e perfeziona le ricette antiche con tecnica e creatività. La sua è una cucina che profuma di erbe dei boschi, di legno, di muschio, di fiori, di fieno, una cucina che affonda le sue radici nella terra della Val di Fiemme in Trentino, un luogo magico che lo ispira nella creazione dei suoi piatti.
“La mia ricerca estrema sul territorio e il valore di appartenenza a questa terra mi portano a usare le cose di un tempo, prodotti dimenticati e originali, come la corteccia. Da sempre sono un difensore di questi raccoglitori di erbe spontanee, ma anche di elementi che vivono sulla roccia, da cui è nato il mio percorso di cucina, basica, di ricerca, legata alla botanica” spiega lo chef.
Per questa giornata infatti ha proposto, in abbinamento alle bollicine, tre alimenti che raccontano il Trentino e la sua storia. I grissini delle Dolomiti – presenti anche al ristorante e portati al tavolo in un’ampolla di vetro – nascono da un fermento di cirmolo, da cui nasce il lievito madre, per un impasto con farina di segale e lichene bianco. “Il grissino è una boccata d’aria che noi abbiamo la fortuna di respirare ogni giorno qui in questa valle magica, la stessa aria con cui crescono le viti e la cucina. Quando li assaggi sprigionano profumi balsamici e humus del lichene, come se fossi in un bosco” racconta. Il pane della sussistenza un “pane storico, ancestrale che veniva fatto in inverno con la farina di segale e la cenere dell’abete” e infine il pesto di abete, un classico del ristorante dove al basilico sostituisce le gemme di abete rosso primaverile emulsionate a freddo con olio d’oliva del Garda. Di colore verdissimo e dal sapore tannico e acidulo, è una crema perfetta con sensazioni leggerissime e balsamiche che ben si sposano con uno spaghetto.
Come la cucina di Gilmozzi anche la bollicina di montagna è un mix di tradizione e innovazione, con un piede nel passato e uno sguardo al futuro. Degustate insieme regalano sensazioni di aromaticità che vanno a braccetto: nel calice e nel piatto troviamo le stesse sensazioni volatili e aromatiche, un viaggio che va dal Garda alle Dolomiti.
Prossimamente Gilmozzi potrebbe riaprire il ristorante con il servizio anche all’interno – già dal prossimo week end – e per questo sta studiando piatti nuovi per la ripartenza. “Amo molto il risotto e ne sto provando uno con formaggio nero ancestrale e una muffa particolare. Voglio dare ancora più consistenza al profumo e renderlo percepibile al palato” conclude lo chef.