Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto
C’è qualcosa che ci spinge lontano dalle città, qualcosa che ci spinge ad abbandonare un futuro che sa già di stantio. Dalle montagne arriva il richiamo a un rinnovato modello di vita, quasi come uno slogan generazionale. Montagne che da sempre sono il rifugio di chi, in cerca di sé stesso, trova negli ampi spazi della natura il luogo in cui vivere.
Forse per tutti questi motivi, insieme a un manipolo di trentenni sono partito per un lungo viaggio alla scoperta delle montagne italiane, in due parole: Va’ Sentiero. Quasi ottomila chilometri a piedi, da Trieste a Santa Teresa di Gallura, con una domanda in testa: come stanno le nostre montagne oggi?
In questa lunga avventura, gusti e sapori sono stati il mezzo attraverso cui le terre alte ci hanno raccontato il loro passato, il presente e il futuro. Oltre alle ricette tipiche e i prodotti tradizionali, a una settimana dal traguardo finale abbiamo conosciuto anche chi sta sperimentando nuovi sapori nel cuore della Calabria.
Alle pendici del massiccio dell’Aspromonte, abbiamo incontrato Nino Rossi che qui, con la sua cucina, ha trovato il modo per riscoprire le sue radici e trasmettere i cromosomi di questa terra lontana. Il Qafiz, ristorante di fine dining premiato con una stella Michelin, è l’antenna che trasmette la potente energia di questi monti: “Un progetto che ha senso solo qui, perché in termini di natura il territorio che ci circonda è un assist continuo verso la cucina”.
Al primo saluto sono caduti tutti gli stereotipi del caso e Nino ci ha accolti calorosamente nella stupenda location di Aspro, il cocktail bar che prende vita dall’Aspro Martini, un drink nato dalla miscelazione degli aromi di questa terra: il gin Star of Bombay infuso con l’abete bianco e rosolio al bergamotto. Neanche il tempo di sederci e ci siamo messi subito a parlare di montagna, dell’Aspromonte, delle sue qualità e dei suoi problemi. “L’Aspromonte, negli ultimi anni, è come se vivesse una primavera. Sta cambiando, e sta cambiando la visione di chi ci vive dentro. Si inizia a capire quale enorme risorsa esso sia, grazie anche al neonato Geoparco Unesco”. La Calabria è una regione composta da enormi estensioni di verde spesso abbandonate all’incuria da parte delle istituzioni e, anche, dai propri abitanti. Nel fervore con cui Nino ci parla della sua terra si percepisce tutta la voglia di valorizzare questi luoghi troppo spesso immersi in una coltre grigia.
Con il suo intercalare romanesco – città in cui è cresciuto rimanendo profondamente calabrese – Nino continua a parlarci di un territorio sconosciuto e incontaminato che paragona ai boschi dell’Oregon o ai “cenote” messicani: “un territorio stravergine, disabitato, dove la natura si manifesta con una potenza impressionante”. Il foraging è alla base dello sviluppo di molti dei suoi piatti: durante l’estate si raccoglie l’erigeron, un’erba che sa di peperone verde; oppure la menta acquatica dai sentori agrumati; o il nasturzio officinale, un crescione d’acqua che germoglia nel fiume, dentro al canyon proprio sotto il ristorante. Nella cucina di Nino, l’elemento che racconta al meglio l’Aspromonte è sicuramente l’abete bianco che è protagonista di molte preparazioni, dall’Aspro Martini alla birra agli aghi di abete bianco fatta in collaborazione con Needles (birrificio della zona), passando per il piatto con cui Nino dipinge il paesaggio locale: il Risotto carnaroli con abete bianco, polvere di porcini, tartufo aspromontano e una salsa di porcini. Il risotto non è certamente un piatto tipico calabrese, ma viene utilizzato come una tavolozza bianca sopra cui dialogano i sapori della montagna: un sottobosco intenso dato dalla polvere e dalla salsa di porcini insieme al tartufo e, come un alto respiro, l’emulsione di abete bianco.
Quello di Nino è un percorso che lo ha portato verso una dimensione di vita dai ritmi più distesi, dagli sguardi più ampi. “Adesso non riesco a vivere neanche mezz’ora dentro una città. Lo faccio per lavoro, belli tre giorni eh, divertenti, vai a cena fuori… ma poi scappi. Mi viene l’ansia, in città”. La cucina è stata lo strumento per poter esprimere le proprie qualità e quelle della sua terra. Nino ha iniziato come autodidatta mettendo becco nella cucina delle signore del luogo che si occupavano del catering di Villa Rossi: il casale di famiglia dove sorge il Qafiz. Alla passione ha unito lo studio e la gavetta (ben nove anni di banchettistica), che si sono innestati su un sottostrato dormiente, che ribolliva. “Fin da piccolo i miei genitori mi hanno portato in tutti i più grandi ristoranti al mondo, ma solo quando sono tornato qui, a casa, sono riuscito a far emergere questa passione”.
Così nel 2016, in collaborazione con la direttrice Rossella Audino, nasce Qafiz. Il nome è una parola araba che indica il contenitore con cui si misurava l’olio, nel gergo contadino siculo-calabrese “cafisu”. Infatti, fino agli anni Settanta all’interno delle proprietà di Villa Rossi era presente un frantoio. Tramite il ristorante questo luogo di lavoro continua la sua tradizione di contatto con la terra e i suoi prodotti: “rimanendo una casa di campagna, probabilmente il suo spirito sarebbe un po’ andato ad affievolirsi”.
Il ritorno di Nino ai miei occhi è il segno del rinnovamento in atto in Calabria, che Nino condivide con tanti altri giovani chef calabresi i quali, dopo aver viaggiato per il mondo, tornano alla propria terra senza trincerarsi dietro la comodità della tradizione: “Se tu dici che la Calabria è fatta solo di pomodoro e peperoncino, le stai mettendo un limite”.
Lungo la strada che sale verso il Qafiz ero pieno di domande: sull’Aspromonte, sulla prima volta che avrei incontrato uno chef stellato, sull’imminente fine della spedizione di Va’ Sentiero. Guardando fuori dal finestrino, sono rimasto a bocca aperta ammirando la maestosità degli ulivi di ottobratica – cultivar autoctona che prende il nome dal precoce mese di raccolta. Qui la natura ha una potenza che non avevo mai incontrato e grazie alla cucina di Nino Rossi l’Aspromonte può mostrarsi in tutto il suo fascino.