Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia di Pasto Nomade
Fili di ferro intrecciati con maestria danno forma a un simpatico orso che sorveglia dall’alto ogni cosa, quasi a sembrare un guardiano magico di un cartone di Miazaki. Lo sguardo si posa poi velocemente su una tigre ruggente raffigurata nel noren che separa la cucina dalla sala. Ci troviamo in un bazar di culture dove ogni dettaglio è una piccola luce che accende la scoperta su un progetto dedicato alla valorizzazione della biodiversità così come al desiderio di offrire cibo autentico, sano, gustoso e genuino. “Qui è normale così – mi dice Alfredo Carlo, responsabile della comunicazione – ogni cosa nasce da un legame virtuoso e trasmette con semplicità la nostra identità senza bisogno di fare strategie”. L’impatto con Pasto Nomade è di amore a prima vista. Nato a Bologna durante il lockdown dalla creatività di Pina Siotto, Victoria Brandan e Cristina Fiorese, un trio tutto al femminile, questo laboratorio artigianale di cucina vegetale è la sintesi perfetta della passione per la semplicità e freschezza dei prodotti di stagione così come della lotta allo spreco, che accomuna queste tre amiche.
“Pasto Nomade è un invito a viaggiare con i sapori sperimentando ricette da tutto il mondo riadattate ai giorni nostri con prodotti locali” mi racconta Pina mostrandomi quanto questo spirito sia ben rappresentato anche dal contenitore. “Abbiamo scelto la Dabba indiana proprio per evitare lo spreco. Chi ordina da noi il pranzo può appoggiarsi a diversi hub della città, tra cui Forno Brisa in Via Galliera, Stefino Gelato Biologico in Zona Bolognina e WoolDone in Via Mirasole. Sono tutte realtà virtuose con cui abbiamo voluto creare una bella sinergia, una solidarietà. Anche i produttori da cui acquistiamo le materie prime sono tutti posti con cui abbiamo famigliarità e che lavorano nel rispetto delle persone, degli animali e della natura. È il modo in cui viviamo noi e con questo progetto abbiamo voluto proporlo agli altri”. Addentrandoci nel vissuto di Pina i suoi occhi si accendono. Si percepisce a ogni suo gesto e parola il suo grande impegno nello studiare il mondo vegetale.
“Ho iniziato a mangiare vegetariano e vegano negli anni ‘80 come scelta personale. Decisi di lasciare il mio lavoro come restauratrice di film e di dedicarmi maggiormente a questo tipo di cucina. Oltre a essermi formata a livello personale ho poi lavorato per 15 anni in una mensa vegetariana e vegana e in seguito ho seguito un corso di macrobiotica ad Amsterdam. Parallelamente avevo già iniziato a insegnare proprio per la voglia che avevo di trasmettere questa conoscenza”.
Anche per Victoria e Cristina questo progetto ha significato una grande svolta. “Io sono di Buenos Aires e lavoravo in un ufficio amministrativo – mi racconta la prima – ma durante il lockdown ho compreso che volevo dedicarmi alla cucina vegetale e ho così creato un piccolo delivery vegano e vegetariano per il pranzo di alcuni commercianti. Quando ho poi conosciuto Pina ho compreso che i nostri ideali erano in sintonia. La nostra filosofia è di dare nuova vita a ogni cosa”.
“Anche per me l’interesse verso la cucina vegetale è stato sempre presente ed è cresciuto con il fatto di diventare mamma e voler trasmettere ai miei figli determinati valori” aggiunge Cristina. Il menu quotidiano è suddiviso sui 3/4 livelli del Dabba e ispirato alla cucina indiana dove i piatti vengono elaborati per creare un equilibrio in termini di sapori e consistenza attraverso l’utilizzo di verdure crude, aspre, cotte, legumi e soprattutto spezie. “Anche nell’antica Grecia i filosofi sposavano il vegetarianesimo – afferma Pina portando così alla luce le radici del nostro presente –in tutte le culture la carne aveva un valore di ritualità non di nutrizione. L’alimentazione era prevalentemente vegetale dove cereali e legumi erano sempre presenti. Questa connessione avviene anche nel terreno. Chi coltiva i cereali sa che deve poi mettere anche i legumi per arricchire di azoto la terra quindi anche qui si crea questa interconnessione, questa rotazione”.
Un’armonia che una volta sperimentata attraverso i loro racconti si arricchisce negli assaggi che mi accingo a fare, un viaggio di sapori, odori e colori che parte da un extra, una porzione che mi viene offerta in più e che racchiude un Raviolone di patate e barbabietole, con ricotta e rucola, cotto in burro e salvia, una meraviglia di morbidezza per il palato tra consistenza e gusto. L’ufficiale Dabba del giorno, in una successione studiata con cura, mi rivela Canederli di grano saraceno e bietino in brodo di funghi dalle note invernali e avvolgenti, Finocchi e zucca mantovana arrosto con crema di formaggio (prodotto da latte di mucca nutrita a fieno) delicato e perfetto nello sposalizio con gli altri ingredienti, un Agrodolce di cavolo rapa, mele e barbabietole per dare un tocco di freschezza e infine la focaccia realizzata con grani antichi. La leggerezza e lucidità della mente che queste portate lasciano, studiate appositamente per non affaticare gli organi e permettere al corpo di proseguire nelle attività della giornata con la giusta energia, mi riportano ancora una volta allo splendore che può scaturire quando l’essere umano si pone in umile ascolto verso la natura e ne valorizza i punti di forza proprio come queste talentuose e coraggiose donne hanno saputo fare.