Testo di Luca Sessa
Foto di Alberto Blasetti
Il fondaco è un edificio (o un complesso di edifici) di origine medievale, che nelle città di mare svolgeva funzioni di magazzino e, spesso, anche di alloggio per i mercanti stranieri. Cercando informazioni su Wikipedia si può scoprire che “a Napoli i fondaci furono, a partire dal XVII secolo, adibiti ad abitazioni dagli artigiani e dal popolino locale, a causa della penuria di alloggi provocata dall’abnorme aumento demografico; furono sopraelevati nel tempo raggiungendo anche i cinque piani, divenendo malsani e venendo pertanto in parte abbattuti durante il Risanamento edilizio condotto nella seconda metà del XIX secolo. Fino a quell’epoca ce n’erano più di novanta in tutta la città, mentre adesso se ne conserva una dozzina”. Tra quelli ancora oggi abitati c’è Fondaco San Paolo, uno “spazio abitativo” situato a pochi metri da Via dei Tribunali, storica strada del centro di Napoli. Esser nati qui, tra le storiche insegne di Sorbillo e Di Matteo non può che far sviluppare un innato senso di appartenenza alla pizza nella sua accezione più tradizionale e popolare.
Sarà per questo motivo che, pur apprezzando e riconoscendo il valore delle moderne pizzerie e dell’interessante lavoro di ricerca su condimenti e abbinamenti, quando mi capita di imbattermi in una pizzeria “vecchio stile” ne resto sempre affascinato. Nel corso di pochi anni si è passati dall’identificare la bontà di una pizza non più con il locale in cui mangiarla, ma con le mani del pizzaiolo che la realizza.
Tutto giusto, tutto probabilmente inevitabile, ma riuscire a tener viva l’accezione ancestrale, popolare, della pizza riveste a mio modesto avviso ancora un significato importate. I primi, sfocati, ricordi di una pizzeria mi portano alla mente tavoli senza tovaglia (nessuno ha inventato nulla a quanto pare…), l’assordante rumore di posate, piatti e bicchieri cambiati a velocità assurde, la morbida panatura dei crocchè e il fumo della pizza appena sfornata. Un insieme di sapori, odori e colori che formavano una sorta di quadro in movimento che vedeva protagonisti i tanti clienti che affollavano in spazi stretti i due piani della pizzeria Di Matteo.
Cosa chiediamo a una pizzeria perfetta, se non di essere “semplicemente” una pizzeria? Il mantra de L’Elementare pizzeria è di una efficacia imbarazzante: il locale voluto da Mirko Rizzo in una delle strade più rappresentative del quartiere Trastevere di Roma poggia la sua filosofia gastronomica sul valore della pizzeria di quartiere, sulla valenza del significato sociale di questo disco di impasto, sul piacere di trascorrere il giusto tempo a tavola per gustare un piatto che deve restare democratico in ogni suo aspetto.
Una domenica sera come tante altre mi ha permesso di mettere a fuoco i ricordi sbiaditi d’infanzia, tra volti amici pur non essendolo, tra un vociare mai invasivo e sempre armonico. Qui si celebra la tanto temuta (per gli amanti della versione napoletana) pizza tonda alla romana che da L’Elementare però trasforma ogni rischio in un punto di forza. Bassa ma non invisibile, croccante ma al tempo stesso elastica, non secca, non simile a una insensata stratificata di fogli di pasta fillo. Una pizza gustosa che può esser mangiata in versione classica ma anche con altri topping mai troppo visionari ma che evidenziano il legame tra Mirko e la tradizione culinaria romana.
Negli ex spazi del Bir&Fud di Bonciana memoria, il bancone diviene luogo d’aggregazione e la sala in stile “giardino d’inverno” situata subito dopo ospita elementi d’arredo ricercati pur nella loro semplicità. Qui si muovono perennemente sorridenti le ragazze e i ragazzi dello staff di sala, qui dal forno a vista escono con impressionante continuità le pizze. Un menu essenziale consente di provare la rinomata carrellata di fritti tra cui il Supplì al telefono e la Polpetta di bollito, due proposte ben realizzate grazie alla piacevole umidità interna e alla divertente croccantezza esterna.
Le pizze segue il conosciuto schema che prevede la suddivisione tra bianche e rosse, stagionali e altre versioni più “importanti” e generose per quel che concerne condimenti ed intensità di sapori. In un luogo dal mood popolare e tradizionale ho ritenuto fondamentale provare alcuni classici per testare l’autenticità delle proposte. Spazio quindi alla Napoli dal riuscito contrasto tra la sapidità delle alici e la dolcezza del pomodoro e al Crostino che riesce a richiamare il sapore del rinomato trancio di pizza.
Buona la proposta del beverage con una selezione di birre che può soddisfare gli appassionati senza divenire inutilmente prolissa, immancabile la presenza di opulenti dessert (chi conosce la corporatura di Mirko capirà) tra i quali merita una menzione il Maritozzo con crema e amarena che riesce a non divenire stucchevole. Il prezzo? Qui possiamo tranquillamente tornare a parlare di pizzerie popolare e democratica, accessibile a tutti. Due pizze, due fritti, una birra, un calice di vino, un dessert, un amaro e un caffè, la cui somma ha generato un risultato finale sostenibile da ogni tipo di tasca. La pizzeria popolare esiste ancora, viva la pizzeria popolare!
L’Elementare – Trastevere
Via Benedetta, 23
00153 – Roma (RM)
Tel.: +39 06 5894016
https://www.facebook.com/elementaretrastevere