Testo di Greta Contardo
Foto cortesia di Gucci Osteria
Culture che si abbracciano, ricordi che si intrecciano, viaggi, esperienze, vite che si attorcigliano per diventare immaginazione, magia, colore e incanto. Questa è la trama di Gucci Osteria da Massimo Bottura in Piazza della Signoria a Firenze, il minimo comune denominatore di Karime Lopez e Takahiko “Taka” Kondo. Rispettivamente executive chef e co-executive chef, Karime e Taka sono anime affini, complementari nella vita, nel lavoro e nel pensiero. Karime è messicana, è nata e cresciuta a Querétaro, a nord di Città del Messico; ha lavorato in alcune delle cucine più prestigiose del mondo dalla Spagna, al Messico, al Perù, al Giappone. Taka, invece, è giapponese, nato a Tokyo; nel 2000 il suo interesse per l’arte e la moda l’ha portato in Italia a cui è seguito un incontro (determinante) con Massimo Bottura che ha dato inizio a 17 lunghi anni di lavoro insieme.
L’intreccio della loro storia ha un che di fatato e potrebbe tranquillamente essere narrata come fiaba moderna. Lei era sous chef al Central di Virgilio Martinez a Lima, lui era il braccio destro di Massimo Bottura all’Osteria Francescana, si sono incontrati a una performance culinaria a New York. Il colpo di fulmine è stato talmente potente da portare Taka a fare innumerevoli trasferte lampo – Modena/Lima (e ritorno) anche per stare il solo giorno libero insieme – e poi Karime a trasferirsi in Italia. Si sposano e nel 2018 a Karime viene offerta la conduzione della cucina della neo-Gucci Osteria da Massimo Bottura nella sede natale della maison Gucci ravvivata da una brezza di cangiante contemporaneità. La Rossa non si lascia scappare la nuova stella e l’anno successivo assegna la stella Michelin a Gucci Osteria, riconoscimento che aumenta di calibro pensando a Karime come la prima donna messicana a ottenere una stella Michelin. È nel marzo del 2022 che (finalmente) i due chef si congiungono – dopo quattro anni di vita insieme tra Modena e Firenze – e Taka si unisce al team Gucci Osteria, con il ruolo cruciale di co-executive e quindi di condivisione di idee e di fusione di intenti. E la già interessantissima Gucci Osteria di Firenze assume una nuova e variopinta identità multiculturale con “un piede nella tradizione, l’altro nella sua incessante evoluzione”. Insomma, una bomba.
Al centro le stagioni animate da guizzi creativi, con l’eleganza quasi poetica a fare da filo conduttore e un bel po’ di divertito buon senso nel trovare il linguaggio giocoso del cibo e farlo proprio. La cucina di Karime e Taka si ispira essenzialmente a questo per, come scrivono sul sito: “Cucinare semmai l’irripetibile, vivendo insieme l’istante. Mirare al futuro spalancando porte e finestre al presente”. È una cucina del sorriso (quello che ti viene mangiando, quello che hanno perennemente stampato in faccia i due chef e quello che fa la tua pancia, soddisfatta) che li rispecchia. Ci sono i colori e i sapori di Karime a dialogo con quelli di Taka, c’è l’affetto per l’Italia e per la sua tradizione e ci sono tutte le conoscenze apprese in anni e anni di cucine, fatte tesoro. Risultando in una personalissima visione della cucina italiana contemporanea, con approccio creativo e curioso.
La sala è un portento di accoglienza, l’assoluta bellezza del luogo è indubbia, ma è impreziosita dalla professionalità e vocazione del team che se ne occupa con discreta e impeccabile cura, con formale informalità, con vere capacità di far star bene. È Erika Vivace, sommelier, a coccolare gli animi con un bicchiere di Champagne Brocard Pierre “della casa”, un 50-50 pinot noir e chardonnay etichettato “for Gucci Osteria da Massimo Bottura” in sole 300 bottiglie. Nel frattempo, il menu Le Nostre Nuove Memorie prende forma con una Colazione in chiave salata (che fa le veci dell’aperitivo): un crostino di pane toscano tostato con spalla cotta affumicata di Paolo Parisi, mostarda di mela campanina e pickle di finocchio; la pappa al pomodoro che diventa la farcitura di croccanti bigné laccati con Parmigiano Reggiano e polvere di pomodori secchi; il maritozzo farcito di cime di rapa arrostite con spuma di robiola soffice e zenzero; “un cannolo che voleva diventare un cannellone” nato da un misunderstanding linguistico di Taka, l’iconica forma di cannolo viene ricreata con farina di fagioli, farcito con battuto al coltello di chianina, spuma di ricotta salata e tartufo di San Miniato; e infine un falso espresso fatto con brodo di fagioli caldo (tradizione messicana usata come ricarica energetica), infusione di cavolo nero e crema di espresso a chiudere per rievocare gli odori della bevanda per eccellenza del risveglio mattutino.
Prosegue con l’Hiramasa Tropical Dream: un filetto di ricciola (hiramasa) marinato in un tè al gelsomino con erbe aromatiche e prugna umeboshi; tra moqueca (brasiliana) e som tam (thai). Una salsa a base di coriandolo con rafano, jalapeno accoglie la palamita del nord Adriatico rinfrescata con limone, Tostada di mais viola con maionese di avocado e chipotle, chips di avocado e ravanello.
Da Acapulco a Okinawa, dal Messico al Giappone, è un merluzzo che si traveste con foglia di shiso, pico de gallo e ananas, peperone crusco reidratato e grigliato e ancora una foglia di shiso in tempura a ricordare il morso del tacos. La Torta in-Salata è una tartelletta con farina di polenta, verdure sottaceto, spuma di ravanello caramellato e rapa rossa, una sorta di insalata russa servita a mo’ di torta. Il Pollo Ryoshi è un twist dalla parte giapponese a quella italiana. La prima farcita con riso, miso di funghi porcini e daikon marinato; la seconda con riduzione di cacciatore leggermente piccante e tartufo bianco. Torna Erika a proporre un sakè frizzante rifermentato in bottiglia, il Chiyomusubi Sorah.
Con Non dire cassate la linea tra dolce e salato si fa sottile e a tratti evanescente. È una crema di mandorle amare di Noto, uno spaghettino servito a temperatura ambiente (come si usa in Giappone) mantecato con pesto siciliano, crumble di pistacchio, cedro candito e ricotta salata affumicata. Un favoloso inizio della fine.
E poi il dessert, quello attesissimo dai bambini in Sud America, ricordo d’infanzia di Karime: il Banana split. Un soffice banana bread rinfrescato da un gel fragola, con gelato alla banana e vaniglia, pralinato e stelle filanti ricavate dalla frutta. Chiudiamo con un sorso di Borgogna con il Maxcération 2020, lo chardonnay Macon Villages di Julienne Guillot. E alla domanda scherzosa “Hai ancora fame?” arrivano in pompa magna con una cloche che racchiude una fettina di pizza che racchiude il sottile sfottio del concetto di menu degustazione visto da chi non l’ha mai mangiato. Impasto da pizza sala, con composta di ciliegie e pomodoro, gelato al fiordilatte e, chiaramente, il cornicione appena bruciacchiato per quella parte di fumé che fa sempre pizza.
Un percorso che sintetizza efficacemente il concetto canonico di dolce e salato e con grazia e tecnica ne riformula un altro, ibrido, del tutto identitario. Un’avventura tra culture diverse; eppure, simili con una visione del tutto nuova. E se questo è quello che succede alla Gucci Osteria di Firenze, sale subito la voglia di volare a Beverly Hills, Tokyo e Seoul per conoscere ciascuna visione della cucina italiana contemporanea che i vari chef stanno intavolando, rimanendo fedele alla cultura e all’ambiente locale, abbracciando la diversità e le influenze individuali. Proprio come fanno (egregiamente) Karime e Taka.
Gucci Osteria da Massimo Bottura
P.za della Signoria, 10
50122 Firenze (FI)
Tel: +39 055 062 1744
www.gucciosteria.com