O meglio, le pasticcerie cinesi: perché in Italia (e a Milano soprattutto) i numeri crescono.
Testo di Elisa Teneggi
Foto cortesia di Dashi Pasticceria
Non ordineremmo mai un dessert al ristorante cinese. Perché non vogliamo il gelato confezionato della Bindi, i mochi industriali che sanno di cartone, né crediamo che quell’altro gelato, quello fritto, andrebbe d’accordo con il tuo stomaco. Non lo faremmo a ragion veduta, anche se forse non lo sappiamo: sarebbe come entrare in una pizzeria italiana in Messico e chiedere un cornetto Algida. Non si fa. Soprattutto, sarebbe filologicamente sbagliato. Perché “noi” italiani quelle cose mica le mangiamo così, o al ristorante.
Non è facile, dalle nostre parti, definire che cosa sia dessert per la popolazione cinese. Innanzitutto, perché la Cina è parecchio grande, e in trentatré regioni ne passano, di variabili. Ma questo, se siamo avvezzati ad andare oltre ai non tipicissimi involtini primavera, già lo sappiamo. Poi, perché il dolce è soprattutto associato alla frutta: matura, zuccherina, mangiata nuda. Può arrivare a fine pasto, ma non ve n’è l’obbligo. E poi: quando si parla di pasticceria cinese, si parla di un concetto fluido. Molto più di come intendiamo noi creme, pan di Spagna e via dicendo.
Me lo racconta Angela Lei, proprietaria di Dashi Pasticceria (naturalmente, cinese: il nome non si lega al celebre brodo giapponese, ma significa grande felicità) a Milano. Non sono i primi: da anni – e complice l’esplosione di via Paolo Sarpi come quartiere trendy e instagrammabile (ma anche la popolarità delle moon cake) – i negozi di dolci e dolciumi cinesi si sono moltiplicati. La brava Noemi Pelagalli (in arte @cookingwiththehamster) ha tracciato una mappa delle pasticcerie della città, regolarmente aggiornata. C’è la perfezione da photo shooting di S’Lab e Parigi Dolci (della stessa proprietà), per esempio. Fatevi un giro da loro per torte personalizzate e creme colorate, ma qui troverete una produzione di stampo internazionale, tra cheesecake basca, lievitati sfogliati e torte a strati.
Oppure entrate da Faji, Hao Li Lai o Mr. Time per ritrovarvi in una specie di corsia “dolci preconfezionati” del supermercato, però allargata. Non preoccupatevi: di pasticceria si tratta, l’industria è altra cosa. È solo una veste diversa. Nella stessa zona di Dashi, tra Loreto e via Padova, si trova invece L.Z., laboratorio specializzato in torte su commissione e, sì, pure sul “salato”. Perché questa è la seconda lezione da imparare in merito alla pasticceria cinese: noi possiamo pure pensare alle Saint-Honoré, ma questi codici valgono dalle nostre parti. In Cina la pasticceria è anche salata, e per questo da L.Z. (come in altre pasticcerie) si trovano panini, tramezzini e baozi al vapore. Che, spoiler, solo noi usiamo come pasto principale quando ci facciamo venir voglia di street food.
Anche Dashi offre pasticceria salata. Dicevo, non è il primo negozio ad arrivare in città (mentre a Roma ci sarebbe una sola pasticceria cinese per tutta la capitale), anzi: aperto lo scorso luglio, è più probabilmente l’ultimo. Il progetto, però, si è subito distanziato da quello dei colleghi. In primis perché Dashi appartiene alla famiglia di Mao – tra i più apprezzati ristoranti cinesi di Milano – e gli è dirimpettaio (la cucina proposta è quella della regione dello Hunan). Il resto arriva dalle parole di Lei.
“Fare ristorazione vuol dire fare imprenditoria. E fare imprenditoria significa anche stare all’occhio sui cambiamenti del mercato e i suoi buchi, capire dove ci si può inserire e con quale offerta. Quando abbiamo pensato a Dashi, ci eravamo accorti che nessuno offriva un certo tipo di pasticceria cinese, tradizionalmente appannaggio delle classi benestanti. Da Mao non abbiamo dolci né abbiamo mai pensato di metterli in carta, la struttura della cucina e le preparazioni coinvolte non l’avrebbero permesso. Questo è anche un modo di completare quell’offerta”. In effetti, anche se doveste uscire sul tardi dopo un’abbuffata di noodles e scodelle di fuoco, Dashi lo trovereste aperto, pronto per soddisfare la voglia di dolce. Sempre che vogliate viaggiare sui binari occidentali, naturalmente.
“La cucina cinese è molto variegata. Che in Italia ne sia arrivato solo un tipo è un errore nostro, vi abbiamo abituati a certi piatti e certi sapori. Ma da scoprire c’è molto di più. Per esempio, noi offriamo tre tipi di pasticceria che possiamo definire cinese: uno si mangia tipicamente come spuntino tra i pasti e può essere sia dolce che salato; un altro è tipicamente dolce; e il terzo sono le torte di ispirazione occidentale”.
I primi si chiamano sudian, sono secchi come fossero biscotti e sono costituiti da strati di sfoglia di farina di grano ripiena di paste dolci o salate. Hanno forme diverse e bellissime: uno fatto a pera è ripieno di carne, a quello all’ananas corrisponde una farcitura di uguale gusto, mentre uno piegato a fiore contiene marmellata di giuggiole. Solo per citarne alcuni. “Nell’antichità non c’erano i frigoriferi, i cibi dovevano essere secchi per conservarsi. Per ammorbidire il boccone, i sudian si mangiano accompagnati con il tè. E a seconda della classe sociale dei commensali ci possono essere due tipi di consumo diversi: o sudian più elaborati, accompagnati dalla cerimonia del tè; oppure sudian più semplici, e in questo caso si tratterebbe probabilmente di un consumo di tè come fosse acqua, per dissetarsi”. Lei mi mostra uno di questi sudian senza fronzoli: è una specie di ovetto più farinoso, con ripieno di arachidi. È tra il dolce e il salato, più sostanzioso degli altri.
Poi ci sono i tangguozi: piccole palline di farina di riso, la consistenza è appena più solida di quella dei mochi. Sono ripieni, per esempio, di pasta di fagioli e vengono decorati all’esterno con altri strati di pasta colorati per diventare fiori, animali, e chi più ne ha, più ne metta. Sono piccoli capolavori e pare sbagliato che debbano dissolversi tra i denti. “La nostra chef esegue tutto a mano, per questo non riusciamo a offrire i tangguozi tutti i giorni. È andata a formarsi appositamente in Cina, anche se i tangguozi non sono tradizionali, non si trovano per strada per uno spuntino. Per noi, comunque, la dimensione sensoriale nel cibo è importantissima: un piatto o anche una preparazione di pasticceria è buona quando è gradevole alla vista, all’olfatto e al gusto. Noi puntiamo a soddisfare tutti i requisiti e fare un prodotto distinto” e lo intende come nobile.
Ma c’è, dicevamo, una terza via. Una via della seta che ha permesso non solo alla pasticceria cinese di raggiungere l’Europa, ma anche ai dolci occidentali di raggiungere l’Estremo Oriente. “L’economia influenza sempre la cultura – dice Lei – quando la Cina ha iniziato ad aprirsi economicamente al resto del mondo è stata anche influenzata dal resto del mondo, che si stringeva con la globalizzazione. È avvenuto anche con il cibo. Per esempio, tradizionalmente i cinesi non sarebbero abituati a festeggiare i compleanni con una torta. Invece ora è una cosa cool e anche noi abbiamo preso l’abitudine”. Ecco spiegate le torte sullo stile de noantri prodotte in Paolo Sarpi (e oltre).
Non solo: “In Cina si fanno ormai anche tanti dolci occidentali con ingredienti locali, come il tiramisù al tè matcha, oppure la millefoglie di taro”. E da Dashi, per stare nella comfort zone, si trova anche quello. Ma quindi: i dolci a fine pasto, in Cina, proprio non si mangiano?
“Qualcosa c’è naturalmente, anche se si tratta soprattutto di piatti fritti. Prendi anche i sudian, per esempio, se fossimo in Cina li avremmo fritti. Ma siamo in Italia e la clientela li preferisce fatti al forno, anche se così la pasta sfoglia rimane meno leggera”. Fermi tutti: ma quindi il gelato fritto? Considerando anche che c’è alta probabilità che proprio il gelato sia stato inventato, per quanto non nella sua forma contemporanea, da quelle parti… ci stiamo forse perdendo qualcosa?
“No, il gelato fritto non è un piatto che in Cina si troverebbe. Come i biscotti della fortuna, sono nati in America, mettendo insieme qualcosa che apparteneva alla tradizione cinese con qualcosa che piaceva agli occidentali. Da un lato ci sono appunto le fritture, dall’altro alcuni ravioli che usiamo durante le feste: in alcuni di questi è nascosta una moneta, e chi la trova avrà buona sorte per i mesi a venire”. Ma il gelato e quelle cosine divertenti made in Germany che chiediamo a fine pasto al ristorante, proprio no.
Esaurire il vademecum dei dolci e della pasticceria di un Paese con trentatré regioni si potrebbe rivelare un’impresa non alla nostra portata. Se però rimanesse un po’ di languore, il consiglio è quello di farsi un giro sul profilo della content creator @daywithmei: allora incontrereste il Milk Skin Pudding cantonese (budino di latte) e una curiosa “gelatina di erba” (dove l’erba in questione è una menta cinese). Oppure di prenotare un tavolo da MU Dim Sum, sempre a Milano. Nella carta dolci figura un Panino al vapore ripieno di crema all’uovo d’anatra. Godetevelo.
Dashi Pasticceria Artigianale
Via Porpora, 14
20131 Milano (MI)
Tel: +39 333 8029937
IG: www.instagram.com/dashipasticceria