Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia dell’Hotel i Portici
“Dopo tanti anni di gavetta e sudore, quel che più mi premeva era trovare un luogo dove poter trasmettere chi sono, svincolato dalle insegne e dai mentori che mi hanno accompagnato nel percorso. Non si tratta di distaccarmi da quel che mi ha segnato o di sminuire premi, stelle e riconoscimenti, parlo piuttosto di una necessità umana e professionale che guarda oltre. Ovvero potermi riconoscere in quel che faccio e in come lo faccio individualmente, arrivando al cliente senza barriere. Qui a Bologna penso ci siano tutti i presupposti per esprimere interamente chi sono”.
Si confida a cuore aperto Gianluca Renzi, al termine di una cena sorprendente in quel Ristorante I Portici nell’omonimo hotel dove pare aver raggiunto il suo spazio elettivo. Classe ’89, romano, ma con lo spirito del viaggiatore curioso, Renzi è un cuoco che ha calcato pentole e padelle sin da giovanissimo per poi trovarsi a ricoprire ruoli di grande responsabilità: dalla Capitale ai vari poli del globo sotto il marchio di Heinz Beck (prima) e come chef autonomo al Locale di Firenze (poi). Esperienze che val la pena citare quale lascito formativo, anche se lui predilige mettere sul piedistallo esperienziale le mattinate in giro per i mercati rionali in compagnia del papà vissute da ragazzino. Il suo è un carattere tanto votato alla determinazione e alla disciplina, quanto a segmenti di quotidianità esistenziale nella sua accezione più alta.
Lo stesso approccio lo ha riportato nel rilevare il timone della cucina de I Portici: partendo con andatura cauta e rispettosa, settando limature direzionali e compromessi, per poi lanciarsi in falcate d’evoluzione stilistica sempre più rapide, risolutive e impattanti. Sfrutto il parallelismo del corridore perché una delle sue passioni è proprio quella del runner su lunghe distanze. E mai come in questo caso la riconferma della Stella Michelin in questo ristoro, insieme alla sua realizzazione come cuoco, calza a puntino con la maratona agonistica che ha messo in moto approdando nella (non semplice) città felsinea.
Merito indiscusso va attribuito senz’altro alla visione lungimirante della struttura alberghiera che lo ospita, già consolidata negli anni quale bacino d’eccezione per realtà fine dining di spicco. L’intero organico dell’Hotel e il CEO Riccardo Bacchi Reggiani hanno riposto fiducia (ben spesa) nel potenziale di Renzi e in un significativo restyling nella forma e nei contenuti del ristorante. Tavoli denudati dalle tovaglie e da un’allure passato, per assecondare un modello di servizio drasticamente più agile e contemporaneo.
Questo è ciò che tratteggia con classe gli ambienti odierni, senza ammiccare a vezzi modaioli. La sala de I Portici, oggi, è un esempio lodevole di competenza, dinamismo, elasticità e skills attitudinali nell’interfaccia con gli ospiti. La squadra – composta da Oreste Piacentini, Ivan Jliil e Marco Sbailò – è una vera gioia da ammirare nelle sue movenze puntuali, leggiadre e meticolose, oltre che da vivere nei panni del cliente. L’apporto enologico brillante del sommelier Riccardo Ricci ha inoltre rinfrescato la scelta delle referenze in cantina con uno smalto inedito fatto di attualità, pensiero e respiro internazionale: avvicinandosi al mondo dei supernatural con estrema sagacia. I suoi abbinamenti al calice sono una vera rivelazione e sarà in grado di farvi confezionare anche qualche pillola miscelata a mestiere senza batter ciglio.
Bologna-Roma-Mondo: una maratona di sapori incalzante
Tornando alla cucina, Renzi ha scelto di abbracciare senza indugi il territorio che lo circonda, ma colorandolo al tempo stesso con l’intera gamma di pantoni identitari che lo rappresentano. L’esito è un autoritratto accorato – eseguito a pennello – che rende simultaneo omaggio a produttori, riquadri urbani, memorie capitoline e influenze esotiche estrapolate dai suoi numerosi viaggi all’estero: tanto Oriente, Asia e Sud America orchestrati alla grande.
Due i menu degustazione oltre alla carta: Intrecci (in revisione del paesaggio emiliano) e Hit The Road (in corsa slanciata nel suo IO senza ostacoli alcuni). Dopo il colpo di pistola che annuncia la partenza – pane, focaccia, grissini e sfogliati di ineffabile fattura a opera del pastry chef Matteo Corridore – lasciarsi strattonare nel suo rettilineo di portate rivela un moto d’assaggi esaltante.
Il tributo in più bocconi a Bologna nell’amuse bouche mette subito in chiaro che le componenti tecnico/estetiche sono issate in primo piano, ma trottano a braccetto con un’intensità di sapore e una tonicità gustativa che non accenna a risparmiarsi: La Grassa (mousse di mortadella ed Edamer in guisa di musetto di maiale); La Rossa (un’accesa sfera di pomodoro e cipolla); La Dotta (tigella con mostarda di barbabietola e carota; affiancata a una sensuale torta fritta con lardo di Colonnata e chutney di mela). Segue il primo allungo contaminato nel Bao giap-bolognese farcito con ragù, besciamella e semi di sesamo. Poi, una scoppiettante concessione alla romanità popolare nel Pandorato (pane avanzato tipicamente intinto nell’uovo e fritto): un lingotto croccante adornato da foglia d’oro con crème fraîche, uova di salmone, erba cipollina e persistente brodo di cipolla di Medicina con crosta di parmigiano.
Testura, finezza e contrappunti encomiabili nel Foie Gras in due tempi (marinato alle cinque spezie con grano saraceno e al porto bianco con chutney di mela cocomerina in salsa alla camomilla); progressione umami dirompente invece nella rilettura dell’emilianissima Zuppa Imperiale (sfere di semolino, noce moscata e parmigiano) con verdure di stagione e un micidiale brodo di funghi dal twist nipponico detonante. Terroir alla massima potenza si racchiude nei Fagottelli 12-24-36, dove il Re dei formaggi autoctoni (il Parmigiano Reggiano) viene elogiato in 3 stagionature: 24 mesi nel ripieno liquido della sfoglia impalpabile dei tortelli, 12 mesi nell’acqua nivea che li accudisce e 36 mesi nella grattata finale che ne accelera sapidità, vigore e corpo. Assolo caseario elevato al cubo!
Il Fusillone Felicetti, mandorla, ricci di mare, seppia e prezzemolo è una zampata salmastra da centometrista che non perde mezzo secondo nel guardarsi indietro al sorpasso. Il Riso Acquerello, sedano rapa fermentato, Madeira e tartufo nero dona finalmente un senso rilevante (e degno di appagamento) a un vegetale (tanto) abusato tramite una fermentazione oculata e spigoli di mineralità ammalianti. Non sopporto più le capesante, lo ammetto, ma quella di Renzi – accarezzata dalla griglia hibachi con primizie vegetali, Kurozu Vermont e patate ossidate – mi fa ricredere con un sentito piacere sornione. In combo allo scenografico (quanto efficace) Lollipop di frittata asiatica in tempura, zenzero e soia ripassata.
Manico da medaglia d’oro sulle carni: intrigante (anche nell’assetto visivo) il Piccione di “Casa Ceccatelli”, arachidi e neve al Lambrusco, servito con le sue cosce riplasmate a mo’ di involtini asiatici. A meritarsi il podio però sono il Capriolo all’aglio orsino, frutti rossi, tartufo nero e un intingolo al fegato grasso da capogiro (con tanto del suo filetto in tartare quale ripieno di un krapfen al caviale); seguito dalla prodigiosa Animella con cicoria piccante, radici, fiori di zucca e senape, che si erge sul gradino più alto grazie al suo elettrizzante equilibrismo di contrasti e sfumature orientali.
Invece del pre-dessert, piomba in tavola uno Spaghettone cacio & pepe che sbaraglierebbe senza sforzo tante classifiche romane sul genere. Gianluca è anche questo: leggerezza e goliardia che si fondono al rigore tecnico senza indugi. Interpellando con polso fermo le radici tradizionali.
Torna in gioco l’abilità del pasticcere Matteo Corridore con dolci che non si dimenticano. Dacquoise al cocco, gelato di litchi, morbido al cioccolato bianco, rosa e lamponi dal bilanciamento rifocillante di acidità, tenore zuccherino e spettro aromatico. Mandorla dolce/amara e cedro candito che merita uno scroscio prolungato di applausi: trasposizione del tipico “latte in piedi” che poggia le sue formosità eleganti su supersoniche architetture di bavarese alle mandorle, gelato al marzapane di Provenza e un suadente caramello salato. Hands Up! Un comparto di pasticceria (quello de I Portici) di livello altisonante, in grado di ribadire le proprie doti anche nei petit fours alla scoperta dei 7 segreti di Bologna. Questi però non ve li svelo, quale pretesto ulteriore per correre anche voi a sedervi qui: lungo quella pista d’auto-affermazione che Gianluca e il suo team hanno saputo ingaggiare come una staffetta da atleti provetti. Traiettoria fruttuosa, che saprà condurli senza sosta verso ulteriori vittorie e stimolanti competizioni.
Hotel Ristorante I Portici
Via dell’Indipendenza, 69
40121 Bologna BO
Tel: +39 051 42185
www.iporticihotel.com