Testo e foto di Amelia De Francesco
Note di degustazione a cura di Pierpaolo Penco
Kristian Keber è giovane, sorridente, entusiasta di quello che fa e disponibile a raccontarlo. È anche un enotecnico con la passione per la permacoltura e il vino. Si occupa dell’azienda di famiglia (che porta il nome di suo padre Edi) che ha molti più anni di lui, 350 per l’esattezza. Fino a 100 anni fa dai Keber, di origine austriaca, come ci dice il cognome, si produceva prevalentemente frutta e poi si allevava bestiame e si coltivavano i campi con ciò che più conveniva.
Un’azienda agricola a tutto tondo, dunque, dove il vino non era sin da principio il prodotto preminente. Il nonno di Kristian ha iniziato a imbottigliare nel ’57 e fino al ’95 la maggior parte della produzione era costituita da 4 vini, 2 bianchi (in cui la percentuale preponderante era Tocai, ora Friulano) e 2 rossi. Nel 2008 la decisione di ridurre in maniera significativa l’offerta per concentrarsi sulla maggior e più compiuta espressione del territorio del Collio. A oggi gli ettari vitati sono 12, coltivati in regime biologico. Le vigne, di cui le più vecchie risalgono a circa 80 anni fa, producono circa 50 mila bottiglie all’anno… di un solo vino (eccezion fatta per le 3mila bottiglie di Merlot). Ma Edi non si ferma, guarda avanti con la lunga storia dell’azienda alle spalle, e pensa a un nuovo progetto, che si muove nella direzione già seguita dai suoi avi, di massima integrazione del sistema: far pascolare le pecore in vigna e poi ripararle nei 3 h di terra ora dedicati alla coltivazione della colza.
Entriamo in cantina e, passando accanto alle bottiglie e alle opere di Maurizio Armellin, artista di Vittorio Veneto, che circondano le barrique e spuntano dalle pareti, arriviamo in una prima sala, assai scenografica (anche se in realtà meno antica delle altre) per poi dirigerci verso la sala in cui, nelle vasche, il vino atto a divenire riposa.
E qua Kristian racconta. Ci racconta per esempio della scelta di un progetto di vinificazione che è, si può dire, opposto a quello della Borgogna: in base al terreno, varia la varietà. E quindi ecco che sui pendii più alti si troverà la Ribolla, il Friulano alle mezze altitudini e in basso, dove il terreno si fa dolcemente piano, la Malvasia. Si lavora dunque per parti e poi si imbottiglia a maggio. E in prospettiva, fra qualche anno, si rimanderà l’uscita del vino di un altro anno.
L’entusiasmo, la tecnica e la capacità di far squadra e di aderire alle iniziative e ai movimenti virtuosi (si veda la FIVI), il tutto unito ai saperi di un tempo, che se non ti scorrono nelle vene li vai a ricercare, non possono che portare i loro buoni frutti. La loro buona, ottima uva diremmo. E seduti, finalmente, a un tavolo con i bicchieri in mano (e con l’immancabile fettina di salame che ogni vignaiolo friulano non esiterà a offrire) abbiamo la conferma di quanto appena detto.
Note di degustazione
Il Collio Bianco di Edi Keber è uno dei vini più rappresentativi della denominazione di punta dell’enologia friulana. Nel tradizionale assemblaggio di Friulano, Malvasia Istriana e Ribolla Gialla, le uve sono vinificate separatamente vigna per vigna in percentuali diverse e affinate in vasche di cemento, con una parte in botti di rovere. L’assaggio di ogni parcella risulta una vera mappatura del territorio di Cormons, facendo percepire le differenti esposizioni che portano a periodi di maturazione anche sensibilmente distanti, che poi conferiscono al vino (l’unico bianco aziendale ormai da quasi un decennio, con una scelta coraggiosa e controcorrente) una ricchezza di sfumature che si riveleranno nel tempo. Il Friulano regala al vino la sua struttura, la Ribolla apporta la freschezza, mentre la Malvasia conferisce aromi speziati e un tocco di salinità alle sfumature di mandorla e pesca bianca.
Oggi un progetto a quattro mani tra Edi e il figlio Kristian, il Collio Bianco vuole dare una fotografia fedele del territorio, rispecchiandone le caratteristiche grazie a un rispetto per l’ambiente secondo una filosofia a basso impatto sia in vigna, dove la chimica è stata abbandonata da molti anni, sia in cantina, biglietto da visita dell’Azienda quale esempio di Vignaiolo Indipendente (Kristian è infatti uno più convinti dei referenti della FIVI, di cui riporta il logo sia sulla bottiglia che sui cartoni).
Kristian vinifica anche le uve della vigna del nonno, oggi in Slovenia (ma a poche centinaia di metri da un confine che non esiste più), imbottigliando un bianco Brda (nome del Collio sloveno) composto dalle stesse uve tradizionali (ma nel quale la percentuale di Ribolla è maggioritaria), servendosi di una macerazione sulle bucce maggiore, senza risultare però uno dei tanti “Orange wine” diffusi in zona. Il vino, che prevede un maggior affinamento in bottiglia prima dell’immissione in commercio (in corso l’annata 2013), è molto gastronomico, sposandosi bene con una cucina anche elaborata che ne esalti le caratteristiche di morbidezza e sapidità.