Testo di Paolo Bosca
Foto cortesia di Triple A
A Palazzo Albergati, Zola Predosa, nella campagna appena fuori Bologna, Carlo Goldoni ha scritto diverse commedie per il suo amico e protettore Marchese Albergati, che rappresentava con un gruppo di attori dilettanti. Possiamo immaginare che sul loro tavolo ci fosse, tra le altre cose, almeno un bicchiere di vino, per non parlare del buon cibo. Curioso che qualche secolo dopo, il 13 marzo 2023, più di duemila persone unite proprio dalla passione per il vino abbiano ridato vita al palazzo in occasione del ventesimo anniversario di Triple A.
In questi vent’anni non si può dire che la scommessa del suo fondatore Luca Gargano non sia stata, in qualche modo, vinta. Il dibattito sulla policoltura – uno dei temi centrali della manifestazione – si sta fortunatamente facendo spazio anche fuori dalle nicchie più schierate e l’approccio artigianale all’alimentazione si rivela ogni giorno più vincente, seppur minoritario, mentre l’agroindustria continua a tappare i buchi. E poi il vino, il vino che in questi vent’anni è cambiato tanto, tantissimo, lo ha fatto seguendo in parte una traiettoria vicina a quella indicata nel manifesto scritto da Gargano nel luglio 2001. È iniziato tutto con un questo manifesto che spiega il significato del nome: Agricoltori (contadini che vivono in prima persona il rapporto con la vigna), Artigiani (portatori di una sapienza pratica specifica), Artisti (sensibili all’identità propria e del vitigno).
La giornata comincia alle dieci. Una fila di persone attraversa il parco della villa con gli occhi puntati verso il cielo che a vederlo così, senza una nuvola, promette bene. Su un tavolo all’ingresso vengono consegnati i ferri del mestiere: calice di vino – generosamente già pieno – e fette di ottimo pane fresco di Cascina degli Ulivi. Poi si entra in una sala piena di odore di caffè tostato, che conduce alla scala a chiocciola per il primo piano. Oltre alla grande ala centrale, anche tutte le stanze laterali dei due piani adibiti sono piene dei banchi dei vignaioli. Si comincia, si riconoscono i produttori, si incontrano amici, osti, e pian piano ci si perde stanza dopo stanza, sorpresa dopo sorpresa. Vini, ma anche cibo, pane, formaggio, salumi, dolci, conserve (tutti dalla Dispensa di Triple A), tra cui si muove una folla attenta di addetti del settore alla ricerca delle bottiglie che berremo nei prossimi mesi.
Così come il palazzo ha ospitato nei secoli migliaia di persone, oltre a Goldoni, Voltaire e tanti altri personaggi storici, anche a questa festa sono presenti leggende del vino italiano e internazionale, nomi noti a ogni appassionato che sin dalla fondazione hanno fatto parte di Triple A, come Emmanuel Houillon della Maison Pierre Overnoy, Marie Lapierre, Stéphane Tissot, Adrien Amoreau e Ales Kristancic, italiani come Emidio Pepe, Arianna Occhipinti, Il Paradiso di Manfredi, La Stoppa e Cascina degli Ulivi, Our Wine e Iago Bitarishvili dalla Georgia; poi membri arrivati dopo, ma ugualmente prestigiosi come Nicolas Joly, Radikon, Foradori e Barbacarlo.
Accanto a questi tutti gli altri produttori di Triple A, aziende agricole che mettono insieme ricerca e passione, uniti dai valori del Manifesto. Poterli scoprire così, sotto lo stesso tetto, durante quella che ha tutto l’aspetto di una festa, è un’esperienza rara e preziosa: una volta un giovane enotecario mi ha detto che una delle cose che amava di più del suo lavoro era il fatto che in cantina, allungando la mano, poteva percorrere immediatamente cento, duecento, anche mille chilometri per recarsi in Abruzzo, Lombardia, Repubblica Ceca, Germania, semplicemente aprendo una bottiglia di vino e servendola al cliente. Trovo che questa frase calzi a pennello con questa giornata. In fondo bere un vino che raccoglie il dialogo tra vite, territorio e vignaiolo (di nuovo agricoltori artigiani artisti) significa anche questo: un viaggio che parte dal naso e dalla bocca per coinvolgere tutto il corpo. Poi, come in ogni viaggio che si rispetti, una parte importante la fanno le nuove conoscenze. E su questo punto le voci e le risate raccolte dai soffitti di Palazzo Albergati non lasciano dubbi e fanno pensare alla vitalità che questo palazzo deve aver avuto un tempo.
Il pranzo è allestito nei sotterranei della villa, in una cantina fresca, dall’aria rilassante, riscaldata da enormi camini accesi, con le volte segnate dal tempo che spargono in tutta la tromba delle scale profumo di carni alla brace, ragù, formaggi e dolci. Dopo pranzo – e dopo una dovuta pausa nel prato a cui molti non hanno saputo rinunciare – continua la festa. Lentamente, verso le sei, i piani della villa si svuotano e dal balcone del piano nobile una voce invita a un applauso che si alza immediatamente da tutto il parco. I partecipanti e i produttori si rilassano e comincia il ritorno con uno “scioglimento assai felice”, come Goldoni definì in finale di una delle commedie scritte per il Marchese Albergati e chiamata L’osteria della posta.
Nell’editoriale pubblicato in occasione dei vent’anni di Triple A, Luca Gargano scrive che le “prime due ‘A’ sono state fondamentali […] nella fase più accesa della rivoluzione. […] Oggi, che da più parti provano ad appropriarsi dei valori fondanti della rivoluzione, la terza “A” diventa l’unica chiave d’accesso alla migliore espressione di ogni terroir.” L’artista diventa la figura chiave per mantenere viva la forza di rottura di Triple A, dei produttori che ne fanno parte e più in generale di tutti coloro che ne condividono i valori, perché condividere principi è sì un modo per identificarsi, ma anche per incontrarsi lungo un percorso di affinità e amicizia. Un percorso che va ben oltre l’idea di produrre cibo o vino perché “Oggi essere contadini significa essere custodi del futuro.”