Testo di Luca Sessa
Foto cortesia di Medici Ermete
La parola Lambrusco indica una famiglia di dodici vitigni a bacca nera, autoctoni, sviluppati e diffusi da tempo immemore nella Regione Emilia-Romagna. Un vino le cui denominazioni abbracciano varietà diverse e territori differenti: la provincia di Modena e di Reggio Emilia, dalle zone di pianura a quella collinare, ciascuna con la propria tradizione enologica. Una realtà produttiva che coinvolge decine di aziende e che si trova in un momento storico di grande fermento grazie al crescente interesse dei consumatori internazionali e all’avvento di un’ultima generazione di produttori attenta alla sostenibilità e alla divulgazione del valore del Lambrusco. Tra le aziende di riferimento ce n’è una che opera da oltre 130 anni ed è oggi proprietaria di circa 80 ettari di appezzamenti (coltivati interamente a regime biologico), distribuiti tra le aree a più alta vocazione vitivinicola della regione Emilia-Romagna. Medici Ermete è da sempre sinonimo di passione per un vino identificativo di un territorio e di una cultura enogastronomica dalle origini antiche.
L’arrivo in azienda delle nuove generazioni ha portato a un cambio di marcia che ha consentito d’ottenere la massima valorizzazione dei propri vini. L’idea vincente è stata quella di creare un legame stretto tra il territorio e i vini prodotti, della rigida selezione delle uve – a costo di una resa per ettaro inferiore anche del 30-40% rispetto al disciplinare delle Doc – ma con la garanzia di una qualità mai raggiunta prima. Da alcuni anni l’azienda è rappresentata (anche) da Alessandro Medici, quinta generazione di famiglia: “Ho una formazione di tipo economico e in azienda mi occupo dell’ambito commerciale e di quello legato al marketing, per favorire la crescita della nostra realtà anche all’estero: le relazioni con la clientela di altri Paesi è sempre stata fondamentale per noi e oggi contribuisce al 75% del fatturato grazie alle esportazioni in 73 diversi Paesi”.
Numeri impressionati che vanno ad alimentare il dibattito relativo alla percezione del valore del Lambrusco – vino troppo spesso snobbato nel nostro Paese – una volta varcati i confini dell’Emilia-Romagna, ma sempre più ricercato e apprezzato all’estero e dai nuovi consumatori: “Quando mi viene chiesto come rendere contemporaneo il Lambrusco rispondo che lo è già! Sono continuamente in viaggio, in questa prima parte del 2024 sono stato a New York, Seoul, Vancouver, Tokyo, Los Angels, Oslo, Francoforte e ovunque ho riscontrato grande interesse. Inoltre, ho potuto notare come questo vino sia presente nella carta vini di ogni ristorante di cucina italiana e in molti locali fine dining in Giappone e nel Nord America. Il Lambrusco è sovente protagonista anche della proposta al calice, il vino rosso frizzante, spumante, è entrato a far parte della cultura di molti Paesi”.
Viene da chiedersi a questo punto quale sia, se esiste, l’identikit del consumatore di Lambrusco, e anche in questo caso Alessandro ci viene in soccorso: “Ci sono fondamentalmente due tipologie: un cliente over 50 che cerca un prodotto più dolce e l’under 40 che ama alcune caratteristiche distintive, quali la grande acidità, il grado alcolico più basso, ma soprattutto la versatilità gastronomica del Lambrusco, un punto di forza poco apprezzato in Italia”. È proprio quest’ultimo elemento ad aver favorito la diffusione del consumo all’estero, grazie alla possibilità di abbinare le varie referenze con molte cucine differenti. “La forte acidità e la presenza di tannini lo rende perfetto per accompagnare piatti piccanti, penso alla Thailandia, al Messico, all’India, ma il Lambrusco è un grande alleato anche delle cucine ricche di umami, come avviene con quella del Giappone. Infine, anche la cucina USA a base di carne di maiale (ribs, pulled pork) si sposa perfettamente con i nostri vini”.
Il Lambrusco è quindi, evidentemente, già un vino contemporaneo: “Nel 2010 The New York Times parlo di Rinascimento del Lambrusco ma a mio avviso la rivoluzione, se vogliamo usare questo termine, è iniziata alla fine degli anni 90 con la generazione di mio padre. Alcuni produttori capirono di dover lavorare in un altro modo, abbassando le rese, preferendo la qualità alla quantità, operando in vigneti di proprietà per poter gestire tutta la filiera, investendo in tecnologia. Un vero e proprio cambiamento filosofico in termini di lavorazione delle uve”. Dato merito a chi è arrivato prima di Alessandro e dei suoi coetanei, diventa però interessante capire cosa ha portato la nuova generazione in termini di visione: “Stiamo lavorando essenzialmente su due fattori, una maggiore cura della vigna e la messa in campo di una produzione sostenibile”.
I giovani del Lambrusco sono ambiziosi e guardano quindi ai grandi territori vinicoli non con invidia, ma come punto di riferimento a cui tendere per innalzare la percezione del proprio territorio. “Siamo una generazione di viaggiatori che vuol comunicare il Lambrusco in tutto il mondo. Non abbiamo paura di rischiare, puntando su fermentazione in bottiglia e parlando di metodo classico, perché crediamo nel valore del nostro vino”. A supporto delle aziende e dell’opera di divulgazione del Lambrusco nel mondo c’è il Consorzio, il cui ruolo è fondamentale per vari motivi: “Innanzitutto, perché deve tutelare un vino tra i più imitati al mondo. In Russia, Australia, Spagna e altri Paesi viene commercializzata una referenza non autentica e bisogna combattere questo fenomeno. Ma il Consorzio è anche un prezioso alleato nell’attività di divulgazione, perché da circa quattri anni sono state attivate importanti politiche in tal senso grazie al Direttore Savorini, la cui visione è in linea con quella dei giovani produttori, cercando le occasioni giuste per promuovere un vino versatile, contemporaneo e apprezzato dai nuovi consumatori”.
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