L’executive chef di Fifty Seconds by Berasategui a Lisbona
Testo di Gualtiero Spotti
Foto cortesia di Filipe Carvalho
Ultimo arrivato, lo scorso anno, sulla piazza di Lisbona, e già premiato con una stella Michelin, il Fifty Seconds è una delle diverse realtà in giro per il mondo a firma del celebre cuoco spagnolo Martín Berasategui. Ed è anche tra quelle più spettacolari visto che si trova in cima all’iconica torre Vasco da Gama, a 120 metri d’altezza nel moderno quartiere Oriente e con una vista rimarchevole sul fiume Tago. Il motivo del nome del ristorante si intuisce percorrendo in ascensore la salita che porta dalla hall dell’Hotel Myriad by Sana fino al ristorante, che avviene in circa 50 secondi con qualche comprensibile apprensione per chi soffre di vertigini. A raccontarci del menu, del rapporto professionale con Berasategui e di molto altro, non ultimo la difficoltà di lavorare ai tempi del Coronavirus, è il talentuoso executive chef Filipe Carvalho, un giovane portoghese che ha in mano le redini della cucina e che abbiamo incontrato nuovamente a distanza di qualche mese dalla visita al ristorante.
Come è la situazione a Lisbona e come ti immagini il futuro? Avete pensato di lavorare anche con il delivery?
Noi abbiamo chiuso il Fifty Seconds il 13 marzo e da allora a Lisbona, più o meno come dappertutto in giro per il mondo, tutte le attività si sono fermate a causa dello stato di emergenza. Qui si sta cercando di controllare la diffusione del virus e nel frattempo rimaniamo a casa aspettando che tutto questo passi. Il futuro non è certo facile da immaginare adesso, ma noi pensiamo di continuare a lavorare non appena tutto si sistema con costanza, passione e con amore. Che poi sono le cose più importanti. Per quanto riguarda invece il delivery, devo dire che nel nostro caso non può funzionare. Innanzitutto perché non sarebbe possibile mantenere gli standard dei piatti che proponiamo quotidianamente al ristorante e poi perché la nostra compagnia, sin dal primo giorno della pandemia, ha deciso che era fondamentale preservare la sicurezza e la salute di tutti i dipendenti, quindi abbiamo chiuso.
Il ristorante non si trova in centro a Lisbona. Si sente la distanza dalla città e questo incide sulla clientela?
Sai, da un lato posso pensare che questo sia un problema, dall’altro mi rendo conto che siamo molto vicini all’aeroporto e molte persone trovano comodo fermarsi al ristorante senza rischiare di finire nel bel mezzo del traffico cittadino. Poi il Fifty Seconds, a dire il vero, non ha clienti che capitano qui per caso. Noi lavoriamo molto con le prenotazioni quindi non vedo la distanza dalla città come un fattore penalizzante. Non è né meglio né peggio, è semplicemente diverso.
Quali sono le relazioni professionali con Martín Berasategui? Viene spesso al ristorante? E come è costruito il vostro menu?
Lavorare con Martin posso dire che è un po’ come stare in famiglia. Lui capita al ristorante più o meno una volta ogni due mesi, ma parliamo al telefono tutte le settimane, se non tutti i giorni. Il Fifty Seconds presenta i classici della sua cucina come il foie gras e la millefoglie di anguilla o l’insalata di astice. Poi tutto il resto, dai menu ai piatti alla carta, è creato da me e dal mio team, ovviamente con l’approvazione di Martín. Ci teniamo ad avere una forte identità e lo stesso Martin vuole che sia così. Siamo anche abbastanza fortunati, se vogliamo, perché la materia prima che noi utilizziamo qui in Portogallo non presenta grandi differenze con quella spagnola. Poi è chiaro che ci sono anche prodotti che arrivano da altri Paesi, ma per quanto possiamo, cerchiamo di valorizzare quello che offre il mercato locale.
Ci racconti un po’ del tuo background professionale?
Io sono originario di Aveiro, un piccolo paese costiero a sud di Porto, che per i suoi canali è chiamato la Venezia portoghese. Ho 34 anni, ma di questi più di 18 li ho trascorsi in cucina. Prima con Antonio Boia (oggi al Jncquoi di Lisbona) quando lui era al ristorante Rio e poi all’Altis Belem ai tempi dell’apertura dell’hotel. In seguito sono volato a New York al Westchester Country Club per un breve periodo e quando sono rientrato in Portogallo mi sono avvicinato a Lisbona al Relais & Chateau Forteleza do Guincho, prima di finire a Vila Joya in Algarve, da Dieter Koschina. Erano i tempi in cui ero junior sous-chef e sono diventato executive sous-chef tornando all’Altis Belem per lavorare con il titolare della cucina del ristorante Feitoria, il mio grande amico Joao Rodrigues. In contemporanea ho avuto l’opportunità di conoscere Paolo Casagrande (vedi Cook_inc. 19), il cuoco italiano del Lasarte che lavora con Martín e da li è nato tutto. Ormai parliamo di quasi sette anni fa…
Cosa ti piace di più di Lisbona?
Beh, è una città molto turistica ma al tempo stesso perfetta anche per abitarci. È una città dove c’è sempre il sole e dove scorre un fiume, che trasmette molta calma in contrapposizione al caos cittadino, ma poi ci sono anche spiagge e montagne a portata di mano, e questo non è male. Più recentemente posso dire che sono quotidianamente sorpreso dalla qualità degli hotel e dei ristoranti che qui nascono come funghi. Spesso con concept diversi e che offrono diverse opportunità di lavoro, oltre a dell’ottimo cibo.
Come trascorri le tue giornate adesso che il ristorante è chiuso?
Si possono vedere diversi aspetti di questa pandemia, quelli negativi e quelli positivi. Io preferisco concentrarmi su quelli positivi, che sono rappresentati dalla possibilità di trascorrere più tempo con la mia famiglia e con la mia compagna, e magari fare quelle cose che ci siamo sempre ripromessi di portar a termine che erano impedite dalla cronica mancanza di tempo. In più posso leggere libri, anche di cucina, per trarre nuove ispirazioni e nuove idee per una crescita personale e professionale. E quando questa pandemia sarà finita potrò mettere tutto in pratica.