Testo e foto di Pierpaolo Penco
Alla ricerca di nuovi percorsi tra i vini sfogliando la guida Slow Wine
La presentazione della Guida Slow Wine, che si tiene da 3 anni a Montecatini, con la degustazione dei vini presso l’elegante sede delle Terme del Tettuccio, è una ghiotta opportunità per chi voglia scoprire cantine non abituate ai tradizionali palcoscenici, zone meno celebrate e vitigni dalla presenza strettamente locale.
In generale, la cifra stilistica scelta da Slow Food nella Guida curata da Fabio Giavedoni e Giancarlo Gariglio è quella di mettere in luce non solo l’eccellenza della produzione nazionale (cui è riservato il premio “Grande vino”) ma soprattutto quelle aziende, spesso medio-piccole, che adottano una produzione allineata alla vision del “buono, giusto e pulito” dell’Associazione braidese. Le c.d. “Cantine Slow”, quindi, seguono una produzione il più possibile rispettosa della natura, del terroir e della cultura dei tanti territori vinicoli italiani (e, dalla scorsa edizione, sloveni). Anche proponendo vini per una beva spensierata, dall’invitante rapporto qualità/prezzo, gratificati dalla categoria “Vino quotidiano”. Negli assaggi di quest’anno abbiamo scelto di seguire un percorso che, tra le 1000 etichette presenti, ci consentisse di andare alla ricerca di vini meno frequentati durante altre manifestazioni, con il chiaro intento di individuare bottiglie “gastronomiche” tra produttori, vitigni e zone che, spesso, non travalicano i confini regionali.
Il viaggio ha avuto inizio in Liguria, con il Metodo Classico (36 mesi sui lieviti) salato e marino della cantina VisAmoris. Una piccola azienda di Imperia (3.5 ha) che produce solo Pigato, declinandolo su 6 vini, di cui un Sogno 2015 che soggiorna in legno per qualche mese, in attesa di un altro metodo classico (60 mesi sui lieviti) che sarà presentato a breve. I vini liguri richiamano molte sensazioni legate alla salinità, non solo nei bianchi Pigato e Vermentino, ma anche nel Rossese, che ha trovato sui terrazzamenti di Dolceacqua la sua casa, respirando lo iodio del Mar di Ponente che ritroviamo nel bicchiere assieme al pepe bianco, alle erbe mediterranee e a tannini delicati. Difficile scegliere tra il cru Posaü 2015 di Maccario Dringberg, il 2016 di Terre Bianche e il Galeae 2016 di Kà Manciné.
Nella linea del Rossese si collocano altri vitigni italiani, soprattutto del Nord-Ovest, che si caratterizzano per tonalità di colore più scariche, una bevibilità spigliata che li rende facilmente abbinabili ai piatti di tutti i giorni (perché non ci si nutre di soli piccioni e selvaggina!) ma anche a una cucina ambiziosa. Uno di questi è il Pelaverga Divincaroli 2016 prodotto sulle Colline Saluzzesi da Cascina Melognis: con una delicata nota aromatica al naso, quasi a richiamare un moscato nero, è un vino piacevolmente succoso e fragrante, che invoglia al secondo bicchiere e a una lunga chiacchierata tra amici. Un altro è il valdostano Cornalin 2015 dell’azienda La Vrille, dove le erbe di montagna, il fieno, la genziana e altri fiori, avvolgono al naso per poi ritrovarsi nella lunga persistenza gustativa. Sempre in Valle d’Aosta, la Maison Anselmet è un vero riferimento se si vuole scoprire le affascinanti qualità della Petit Arvine, vitigno svizzero del Vallese che ha ormai superato i confini: da vigneti a 800mt di altitudine e affinata in tonneaux da 600 litri, l’annata 2016 esordisce con profumi fumé, per poi virare verso sud con note saline e un’acidità elettrizzante. Se non vi difetta la pazienza, allora il Semel Pater, Pinot Nero vinificato con uva intera non diraspata, succoso e tannico, si preannuncia come un vino che stuzzicherà appassionati e gourmet. Il sentiero valdostano si conclude con la Nus Malvoise 2016 di Les Granges, un Pinot Grigio in cui aromi di uva passa si fondono con l’affumicato, ricordando un vino alsaziano, un palato secco e salato e un finale quasi tannico che ce lo fa immaginare complice di alcuni formaggi alpini.
Un ideale salto a Nord-Est, a poca distanza dalle Alpi friulane, ove ha sede l’azienda Aquila del Torre, una delle più settentrionali dei Colli Orientali. Il Riesling 2014 è quanto di più nordico si produca in Friuli Venezia Giulia: trafigge come una spada per la sua acidità combinata a note agrumate più mediterranee. Un vino poliedrico, che fa salivare e stimola l’appetito; non per nulla è stato inserito nelle carte dei vini di alcuni ristoranti di alto livello.
Scendendo lungo l’Adriatico arriviamo sulle colline marchigiane, dove il Verdicchio dei Castelli di Jesi si esprime sia nella freschezza che nella maggiore concentrazione della versione Superiore. Del primo stile è preciso testimone il 2016 della Tenuta dell’Ugolino: vinificato in acciaio è fresco, salato, goloso e adatto a una beva spensierata. Il Superiore 2015 è più fumé, sapido, persistente e polposo, con sfumature di frutta secca, comuni anche al Superiore “L’insolito del pozzo buono” 2015 di Vicari, nel quale il sapore di mallo di noce è componente essenziale di una complessità quasi rocciosa.
Sconfinando in Abruzzo, molto gastronomico è il Cerasuolo di Cataldi Madonna, vinificato in acciaio all’85% in bianco e il restante 15% in rosso, succoso ed elegante, con finale nocciolato. Abbiamo riassaggiato dopo qualche mese il Trebbiano 2016 di Cirelli, che la vinificazione in anfora ha reso sapido e lungo nelle sfumature vegetali e di erbe aromatiche. La Tintilia, vitigno di lontani origini spagnole, pare accomunate a quelle del Bovale sardo, è ormai considerato un autoctono del Molise, in grado di creare nuovo interesse per questa piccola regione. In pochi anni ne sono stati piantati oltre 100 ettari e i risultati sono sempre più convincenti. Ad incominciare dal “Beat” 2016 dell’azienda Vinica, la cui macerazione su chicchi interi diraspati asseconda le note floreali e fresche di mora, mentre la delicata ma vispa trama tannica stimola la salivazione. L’azienda di Claudio Cipressi ne propone due versioni con un lungo affinamento: il Macchiarossa 2012, vinificato in acciaio, ha un tannino succoso e in bocca è lungo, mentre la Tintilia “66” del 2011, prodotta da una singola parcella, affina in botte grande e vede ben fuse note di cacao amaro e more sotto spirito.
Per concludere questa ideale ricerca di vini dalle spiccate qualità gastronomiche una breve puntata nell’entroterra campano, dove l’azienda Fontanavecchia, in vigneti tra i 250-300 mt di altitudine, produce una Falanghina del Sannio della sottozona Taburno che nel millesimo 2016 si caratterizza non solo per la tradizionale piacevolezza di beva del vitigno, su aromi di pesca gialla, fiori di campo ed erba fresca, ma fa presagire la capacità di reggere un medio invecchiamento. L’invecchiamento ha contraddistinto il Vigna Cataratte 2009, un Aglianico del Taburno riserva, il quale ha affrontato alcuni anni di bottiglia dopo l’élevage di 13 mesi nel legno. Si apre nel calice con un colore che tende al granata, alcune note fumé dovute al terreno tufaceo e argilloso, un sapore di frutta matura, dalla ciliegia al sottobosco. Un vino cui non difettano la struttura e una buona alcolicità ma che, grazie allo sviluppo evolutivo, si può accompagnare a piatti saporiti e dotati di complessità anche speziata.
Ma la degustazione di Slow Wine permette di conoscere anche un Catarratto siciliano prodotto a 800 metri di altitudine, apprezzare la versatilità del Negroamaro salentino, confermare le doti raffinate del Carricante e del Nerello Mascalese etnei. E poi, al calar della sera, voltarsi ad osservare i banchi del centinaio di cantine e dirsi: “anche quest’anno non c’è stato il tempo per assaggiare tanti vini”!