Testo e foto di Lorenzo Sandano
“Il mare è tutto.
Copre i sette decimi del globo terrestre. Il suo respiro è puro e sano.
l’immenso deserto dove l’uomo non è mai solo, poiché sente fremere la vita accanto a sé.
Il mare non è altro che il veicolo di un’esistenza soprannaturale e prodigiosa.
Non è che movimento e amore. È l’infinito vivente, come ha detto uno dei vostri poeti.
Infatti, la natura vi si manifesta co i suoi tre regni: minerale, vegetale, animale”
(Capitano Nemo – Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne)
A 19 anni hai il vento in poppa – quasi sempre dalla tua – e una fame insaziabile di vita. Il che è abbastanza comico visto il nostro lavoro. Rompi il salvadanaio, racimolando spiccioli e risparmi, per imbarcarti alla volta di Copenaghen con un quartetto di scellerate buone forchette. Obiettivo: provare l’allora miglior ristorante al Mondo secondo classifica World’s 50 Best Restaurants.
Il Noma di René Redzepi.
Prospettive nordiche, spaesamento mistico, ingredienti sconosciuti e bizzarri. Tra scossoni emozionali a destra e a manca, propagati da un alfabeto gastronomico completamente diverso dal tuo. Intuisci, ma non comprendi. Non del tutto almeno. Ti manca il calore dei fornelli, la morbidezza del Mediterraneo, la genetica di quei sapori materni istallati inconsciamente nell’ippocampo. Del resto come puoi tu, omuncolo gastronomo alle ‘quasi prime armi’, batterti contro il peso massimo delle aspettative che gravano su tale esperienza. Lasci passare il tempo, ben predisposto a metabolizzare il vissuto (con un po’ di timore sul groppo a esser sinceri). Ma non ti addentri più in quel misterioso ecosistema di erbe, fermentazioni, strane creature e licheni. Per un po’ almeno, fintanto che il richiamo della tavola gourmet, non torni a bussare alla tua porta.
Mentalità Redzepi: tra ricerca, sperimentazione e la forza delle idee
Flashforward svariati anni dopo. Sempre con il sedere piantato sull’aereo per Copenaghen, Sempre in compagnia di una nuova e altrettanto affamata combriccola di veterani buongustai. Dentro e fuori dal ristorante tutto è cambiato. Soprattutto tu sei cambiato. E questo conta, statene certi. Rituffandosi nelle raffiche di vento della città Danese, non è la paura di una delusione a guidarci, piuttosto una rinnovata e più ampia percezione delle cose. Chi si avvicina al Noma, ad ogni rivoluzionario giro di boa che Redzepi va a marcare per la sua amata Cucina Nordica, giunge trepidante all’ingresso del locale. Quasi alterato da una prospettiva unica e inestimabile che andrà a vivere seduto a questi tavoli. Segno tangibile del talento comunicativo, concettuale, scagliato ciclicamente dalla squadra del ristorante. Un potere magnetico che non può essere trascurato. Che denota grande valore. Questo è poco ma sicuro. Chiunque si spinge fin qui, si aspetta inconsciamente di mangiare nel migliore ristorante del Mondo. Perché fra tutti i grandi cuochi che hanno scalato la vetta della 50 Best, forse Redzepi è quello che ha padroneggiato al meglio l’energia mediatica prodotta da questo circuito nel corso degli anni. Spingendo al massimo, verso l’infinito e oltre, il verbo di una tradizione culinaria che a tratti non esisteva. Dando un genuino lascito a mode, tendenze e divagazioni culinarie che ancora oggi intaccano l’immaginario gastronomico di tutto il globo. Tutti si aspettano di mangiare nel migliore ristorante del mondo, dicevamo. E forse è così, ma per capire il Noma, stavolta, si parte all’indietro. Dalle retrovie. Scrutando le fantascientifiche sale di fermentazioni, dove si producono da zero: koji, kombucha, agenti fermentanti, miso dei più disparati generi, salse, estratti e altre deliziose amenità. Le piattaforme ordinate, rigorose e scattanti, in cui si alternano partite e manodopera incessante, rivolta a materie prime rarissime. Selezionate con cura maniacale. Il laboratorio sperimentale, dove quotidianamente vengono testati ingredienti inediti, quasi soprannaturali, come le creature marine descritte da Verne. Partorendo nuovi piatti – in mutamento costante – con una velocità a dir poco pazzesca. Idee, ricerca e trasformazione. E poi ancora prove su prove, su prove. Smonta tutto e riplasma da capo.
Noma 2.0: il valore umano scuote la cucina nordica a ritmo stagionale
Ah, e non dimenticatevi mai di loro: i ragazzi della brigata. Tanti, tantissimi, un’armata. Provenienti da ogni angolo della nostra Madre Terra. Ognuno sventola audace occhi vispi e ricettivi, pronti ad assorbire e a dare il massimo, nel corso di quella che potrebbe essere una delle esperienze più significative della loro carriera. Nel nostro caso abbiamo un connazionale a farci da Cicerone, lungo le “aule” del Noma (always the same italians). Si chiama Riccardo Canella, padovano di origini, e a 33 anni è ‘niente popò di meno che’ il sous chef di Redzepi in persona. È proprio lui, con umiltà sconvolgente, a porre l’accento sul concetto di possibilità e responsabilità. Fattori che qui al Noma costituiscono leggi meritocratiche inviolabili. Possibilità senza confini di cimentarsi con una palestra di idee sperimentali come poche nel mondo della ristorazione. Responsabilità, concessa di pari passo, a chiunque abbia il giusto appetito lavorativo, per tuffarsi senza inibizioni nel vortice della manovalanza d’avanguardia. Destreggiandosi tra foraging estremo, dinosauri ittici, contaminazioni funamboliche e qualsiasi altro elemento capace di spingere al limite il profilo della cangiante nuova cucina nordica. Prova di questo approccio umano più che democratico, è il socio di René – Ali Sonko – che da comune lavapiatti si è ritrovato parte integrante di un progetto colossale. Ancora un piccolo passo indietro, camminando in avanti. Otto anni sono volati dal primo titolo agguantato, posizionandosi dinnanzi a tutti come numeri uno sulla World’s 50 Best nel 2010. Un periodo che ora ci conduce dritti qui: lungo le barcollanti passerelle di legno, affacciate sui canali che scrutano le tracce urbane dell’anarchica Cristiania. Tutto questo però, avviene non prima di aver sigillato per sempre le porte di una leggenda. La storica sede del vecchio Noma–. Sorge strano dare un peso temporale all’insegna, appurando sempre più che questa identità ristorativa non è mai statica, ma in perpetuo movimento. In 12 mesi di chiusura, Redzepi e i suoi hanno studiato, viaggiato, indagato in lungo e in largo, delineando un format capace di calzare a perfezione sul nuovo fisico del Noma. Un’ossatura rafforzata da mille impulsi, che per la mole di suggestioni raccolte, oggi si presenta coerentemente scissa in diversi capitoli tematici. Racconti culinari, approfonditi con stile consolidato, che vanno a disegnare l’alternarsi delle stagioni attraverso una lettura analitica di fauna, selva e flora in terra nordica.
Il Menu SeaFood, tra impeto oceanico e spirito cosmopolita
Estratti materici, riversati in singoli menu stagionali: a loro volta condizionati dal cambiamento rapido e incessante degli ingredienti chiamati in gioco, e dall’attitudine dinamica di questa cucina. I prossimi mesi andranno a narrare il periodo “totalmente vegetale” (prima) e quello selvatico della caccia (poi). Ora si celebra ancora il romanzo poetico del mare. Navigando – come a bordo del Nautilus del Capitano Nemo – tra abissi inesplorati, salsedine spumeggiante, ed esemplari ittici mitologici. Alcuni esposti in bella vista, appesi alle pareti del locale, altri conservati in enormi vasi, come trofei pronti per esser tramutati in nuovi esperimenti gastronomici. Conscio della mia passata esperienza alla tavola di Redzepi, non starò qui a spiegarvi come si mangia al Noma 2.0. Non voglio incrementare di certo io, il peso specifico delle aspettative che già gravano naturalmente su questo ristorante. Posso affermare che è un’esperienza emozionante, questo si. Spigliata e coinvolgente, spesso esaltante. Pregna di colpi di scena, di exploit ludici e detonazioni marine, piazzate nel tragitto con la precisione di un bombardiere professionista. Posso evocare a modo mio, l’irruenza salina, umami e pungente che si prova sorseggiando il Brodo di lumache di mare – direttamente dal guscio – con pickled di erbe aromatiche danesi. Cercare di descrivere la pienezza iodata delle Vongole Venus o del Millefoglie di cozza. Quest’ultimo, stratificato dai cuochi dietro le barricate della cucina, con una manodopera certosina da record mondiale. Le fragole verdi sott’aceto, accostate ai dolcissimi gamberi, concedono un non so che di casa. Di fragranze mediterranee. Mentre spiazzano in piacevolezza – per texture e trame insolite di sapori – sia la Medusa con corollario di alghe locali; sia la Variazione di trota e uova di trota, servite in scenografica forma di stella marina.
Il Plateau di frutti di mare secondo Redzepi è una vera immersione 20.000 leghe sotto i mari del Nord. Chi si aspetta un assiette di coquillages dai richiami francofili forse rimarrà deluso. Che goduria però – penso io – quelle ostriche giganti sormontate da erbe spontanee. O le Vongole centenarie, servite scaloppate con primizie vegetali acetate: tenaci e carnivore, come bistecche dell’Atlantico. Ancora opulenti e maestosi Ricci di mare – dalle Isole Faroe – esaltati dalla grassezza vegetale dei semi di zucca. Fino all’incontro ravvicinato del terzo tipo, con un gigantesco Cetriolo di mare, ancora in grado di dimenarsi nel ghiaccio prima del servizio: essiccato e soffiato come fosse un chicharrón di mare. Dalla nuda e cruda devozione oceanica, si passa a cotture, momenti tattili e gestualità primordiali. Quasi primitive azzarderei. Ci si sporca le mani, godendo e giocando a tavola: tra una seducente Seppia al burro nocciola aromatizzato con alga marina; fino al succulento e atavico riassunto di tutti i tagli della Testa del merluzzo. Cotti magistralmente al barbecue, con il confortevole tono bruciacchiato della brace, in compagnia di un’acetica salsa di formiche, crema al rafano e verdure alla griglia dalle preziose note amaricanti. Il gioco e la gola dominano il palco – in acquatica essenzialità – anche con la sequenza finale di dolci-non dolci dall’effervescente impatto estetico. Continuiamo a scrutare i fondali oceanici, con un tonificante Gelato alle alghe e pera arrostita (confezionato in forma di cozza) e una deliziosa Torta di plankton, che accarezza il palato con la rotondità setosa e piaciona di una cheesecake marina.
Ops, l’ho fatto ancora. Ho descritto un po’ troppo del mio viaggio subacqueo a bordo del “sottomarino” Noma 2.0. Conta poco però, perché la fervida mente di Redzepi ha già architettato il modo per non annoiare i suoi ospiti o seppellirli sotto l’eco di aspettative indotte. A breve si cambia menu, al ritmo di una nuova e raggiante stagione estiva. La sfida riparte da zero, e la giostra sperimentale si riaccende sotto i colpi arborei e vegetali della terra del Nord. Che muove instancabile su rotte oltre i confini.
Noma
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Danimarca
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