Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Motelombroso
Una piccola isola verde a Milano, uno spazio di contemplazione votato all’arte e alla bellezza naturale. Motelombroso, casa cantoniera rilevata nel 2019 da Alessandra Straccamore e Matteo Mazza, che ne è anche l’anfitrione, è un bar/ristorante/luogo delle meraviglie dotato di un giardino lussureggiante e di un interno di estetica minimale. Un contrasto armonico di artificiale e spontaneo in cui, a dispetto della immediata serenità che il luogo ispira, si lavora sul cibo in un modo intellettuale, meditato. Succede per l’unione di una serie di menti: quella del citato Mazza, più quella di Nicolò Scaglione, più quella di Alessandra e quella dello chef Nicola Bonora, per un risultato che è più della somma degli addendi. A partire da un ingrediente o da una suggestione“io propongo alcune ricette e le mettiamo con un lavoro di team – spiega Bonora – fino a ottenere un piatto che convince tutti”. Bonora è il più recente chef attivo a Motelombroso, dopo Andrea Zazzara (ex collaboratore di Matias Perdomo che ora è titolare del 28 posti) e nel curriculum vanta esperienze al Gordon Ramsay del Forte-Village, nella sua nativa Sardegna, e a Milano, sia al fianco di Enrico Bartolini sia nel ristorante fusion Serica, dove ha approfondito fermentazioni ed estrazioni.
Al timone della cucina, Bonora propone due menu degustazione, da 7 e 9 portate, più Habitat, un menu che segue una cadenza mensile: ogni 30 giorni vengono esplorati appunto 12 diversi “habitat gastronomici”, ma lo schema non è rigido, dipendendo dalle stagioni e dagli stimoli. Chi scrive ha sperimentato l’Habitat di aprile, vegetariano, cui a maggio succede il menu a tutto tonno. “Usiamo tutto il pesce, sul modello del St. John di Londra”, precisa Bonora che pure, nonostante il modello alto, gioca con l’ironia. La proposta include infatti perfino la classica Pasta col tonno all’universitaria, in due versioni (scotta e al dente), fingendo una approssimazione che di certo lo chef non possiede, per passare poi all’ambivalente Cotoletta di mora romagnola e tonno rosso, per rilassarsi con la Zuppa di tonno e glicine e chiudere con Panna, fragole alla brace con caramello di tonno e cuore. Una serie di invenzioni che richiede impegno anche all’ospite, per capire le evoluzioni di un pensiero elaborato, finito nel piatto dopo una serie di giravolte.
Anche il citato Habitat vegetariano, peraltro, si compone di una sequenza di sapori “da montagne russe”. Si parte con l’amaro di Bocca di leone, lattughino e gazpacho acerbo, che metaforicamente ci trascina all’istante nel prato adiacente, per poi spostarsi sul Guacamole di alghe, in cui lo chef ripesca una tecnica sarda, quella della burrida agrodolce, perché la tradizione va contaminata e arricchita. La Vignarola, con un contrasto caldo freddo è un piatto superlativo, per cui ritornare apposta, mentre al centro del menu stanno la tanto vituperata penna liscia, qui abbinata a pesto di erbe amare, e gli asparagi alla brace con mandorla e fiori d’arancio. L’attenzione è concentrata sulle materie prime, per valorizzarle, ma anche per destabilizzare le attese. Come puntualmente avviene nell’intermezzo in tanta freschezza vegetale, costituto dall’improvvisa quanto intensa dolcezza del Pan brioche al miele e burro con rosa canina. O come avviene con il dessert: un Flan al pistacchio in cui questo tipo di frutta secca viene usato crudo e, non essendo trattato o zuccherato, trasmette un sapore erbaceo al dolce. “Un pistacchio che non sa di pistacchio – riassume lo chef – ti interroga sul tipo di ingredienti cui siamo abituati”. I menu degustazione invece sono più freestyle, racconta: “Abbiamo imbastito una sorta di uno scheletro che ci permette di essere liberi” sottolinea Bonora. Il canovaccio prevede che le prime due uscite puntino sul piccante, la terza sia dolce, la quarta acida e la quinta amara, in modo da non annoiare, ma anche da lasciar sfogare l’invenzione lavorando sulle sfumature. I riferimenti di Bonora sono Al Pont de ferr, nella gestione di Perdomo e il Reale di Niko Romito: insomma il modello è una “cucina di polso”, come la chiama lo chef, in cui il cuoco cuoce e non assembla, rispettando la materia prima secondo i precetti della bistronomia. Date le premesse, e il lavoro, sia mentale sia fisico, dietro ogni portata, chi capita da noi, difficilmente arriva per caso” dichiara Bonora. “Le persone vengono qui perché vogliono scoprire il concetto che c’è dietro i piatti, analizzare le possibilità cui la materia viene esposta. E oggi, con la disponibilità di tante informazioni che fino a poco tempo fa non c’erano, è bellissimo confrontarsi e far scoprire tendenze e tecniche di altrove”.
Tuttavia, pur essendo vulcanico e inarrestabile, Bonora concede anche dei cedimenti sensoriali, ma immediati, alla sua clientela, con un’ultima proposta di piatti da condividere. “Prepariamo un pesce intero o una costata alla brace con dei contorni: piatti all’insegna del godimento e della spensieratezza. Le persone vengono qui per scoprire delle cose, ma capisco che a volte possano avere voglia semplicemente di godersi il piatto e il contesto. L’importante è che sorridano dopo aver mangiato. Vuol dire che sono soddisfatti, e quindi lo sono anche io”, confessa Bonora. Eppure, senza nulla togliere a questa proposta più accessibile, siamo convinti che valga la pena di visitare Motelombroso per ampliare i propri orizzonti, più che per restare nella propria zona di comfort. Motelombroso è un viaggio mentale nell’arte, nella fantasia, nella conoscenza che coinvolge il palato e lo spinge lontano dai luoghi comuni. Si può optare per qualcosa di più tranquillo, ma sarebbe un po’ come entrare nel ristorante e non guardare mai fuori, perdendosi tutta la bellezza. Avrebbe davvero senso?
Motelombroso
Alzaia Naviglio Pavese, 256
20142 Milano (MI)
Tel: +39 333 185 5267
www.motelombroso.it