Testo e foto di Luca Martinelli
Sulla prima pagina della lista dei vini di “Mesté – vino e fornelli” campeggiano i cinque “vini Mesté”. Non sono vini della casa (anche perché normalmente la scelta è solo tra due colori, bianco o rosso), ma cinque etichette che rappresentano “un’estensione della nostra filosofia di ricerca e di proposta, la stessa che applichiamo a tutte le materie prime che trasformiamo in cucina” racconta Daniele Santangelo. Con l’amico Marco Bonardi ha inaugurato nel giugno del 2019 questo locale – due belle vetrine e una ventina di coperti – in una periferia tranquilla nella zona Sud di Milano, tra i palazzi di via Corrado II il Salico e la Vettabbia.
Daniele (in sala) e Marco (in cucina) hanno portato da Mesté un mestiere – questo il significato del nome in dialetto milanese – termine che rimanda al mondo artigiano e racconta di passione ed esperienza, qualcosa che si esercita con le mani e ha radici profonde. Tra le tante origini e passioni in comune tra i due soci, ci sono anche le relazioni create in una decina di anni con i vignaioli, produttori di vino naturale, quelli che in cantina non trasformano l’uva raccolta con interventi invasivi.
Daniele, quando racconta i cinque vini Mesté chiama tutti per nome: il vino bianco frizzante lo fa Roberto, alla Poiesa, nel piacentino. È un ortrugo. I bianchi fermi arrivano: uno dai Colli Tortonesi ed è un cortese in purezza, vinificato da Massimliano de Il Vino e le Rose e l’altro dalla Marche, un verdicchio (“lo fa un altro Roberto, pensa che abbiamo studiato insieme Enologia, poi lui è andato a Cupramontana dove ha aperto Ca’Liptra” racconta Daniele). I due rossi sono uno calabrese, dalle colline che salgono verso il Pollino, dove Dino dell’Acino alleva magliocco insieme a decine di altre varietà e uno piemontese, dall’Alto Monferrato che è una barbera vinificata da Lidia, a Rocco di Carpeneto.
Le cinque etichette sono state presentate il 30 giugno 2021 da Daniele e Marco, in una festa che si è tenuta a pochi giorni dal secondo compleanno del locale e ha coinvolto in una serata di degustazione e incontro anche i vignaioli. Santangelo precisa la volontà di “mettere l’etichetta su vini di qualità che non rappresentano l’offerta base del locale”. Le bottiglie dei bianchi costano 26 euro (6 al calice), quelle dei rossi 27 (7 al calice). Le annate in commercio vanno dal 2018 al 2020. Le bottiglie opzionate sono un migliaio in tutto. “I vini Mesté rappresentano un altro modo per parlare di noi al pubblico e vediamo che i clienti si affidano”. Fiducia e amicizia sono anche la base del legame con le cantine. “Quando sono stato a trovare Dino Briglio, nel cosentino, lui mi ha presentato anche un allevatore di vacche podoliche che produce carne e formaggi, un allevatore di maiali che oggi per noi realizza un taglio particolare, la capilonza, e uno di conserve” racconta l’oste di Mesté.
Per descrivere l’elemento centrale della proposta del locale parla di “ricerca”, elemento che accomuna i vini e le materie prime. Alcune sono in mostra sul balcone, come il riso biologico coltivato a Milano da Podere Ronchetto, una cascina nel vecchio borgo di Ronchetto delle Rane. O i biglietti del Rise Live Bistrot di Vimercato, in Brianza, il locale di Marco Locatelli, l’artigiano del pane servito a Mesté. La ricerca dura da anni, come dimostra la splendida Carta vini, che non riguarda le etichette esposte in bella vista nel locale (anche perché il cliente può alzarsi in piedi e andare a scegliere, senza bisogno di leggere) ma quelle custodite in cantina, una riserva speciale di vecchie annate, frutto della straordinaria passione di Marco, che aveva trasformato la gastronomia di famiglia (uno scrigno di meraviglie inatteso a partire da una vetrina al numero 27 di viale Umbria) in una delle migliori rivendite di vini naturali a Milano, quando ancora la moda non c’era.
Dal negozio di famiglia, Marco ha ereditato anche la ricchezza della cucina meneghina, con piatti che ben s’accompagnano all’autunno e ai vini Mesté. Con il Cartoccio di mondeghili – le tradizionali polpette di carne milanesi – accompagnati da una salsa remoulade, si beve benissimo il rosso vinificato da L’Acino, servito dopo un passaggio in cantinetta. La Trippa, che qui viene servita in brodo (“si chiama busecca e la particolarità rispetto alle trippe in umido che si preparano nel resto d’Italia sono il brodo di carne, l’aggiunta dei fagioli, che lessiamo a parte, e della salvia” spiega Marco dalla cucina), chiama la barbera vinificata da Mesté da Rocco di Carpeneto, 15 gradi di eleganza e persistenza in bocca. Il cortese vinificato da Il Vino e le Rose, splendida espressione di uno dei vitigni misconosciuti del Piemonte (se ne parla, come Gavi, ma quanti sanno che il Gavi DOCG è a base cortese?), è invece perfetto con il crostone con il Brandacujun, il baccalà mantecato alla ligure che è uno dei piatti icona del locale, insieme al Riso giallo al salto “con un quasi Ossobuco” e la Guancia di Fassona, servita con purè di patate.
Mesté – vino e fornelli
via Corrado II il Salico 12,
20141 Milano (MI)
Tel: + 39 346 8061538
http://www.meste.it