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Testo di Stefano Cavallito
Foto di Stefano Cavallito e cortesia di Tempi di Recupero
L’anteprima è quasi avanguardia. L’antipasto della Tempi di Recupero Week, la settimana dedicata alla cultura del recupero gastronomico che accenderà fuochi dal 3 all’11 febbraio 2024, è stata una cena che solo i poveri di spirito potrebbero definire a quattro mani, essendo invece un incontro di molte anime e di mille piaceri.
Tra le montagne della Val Varaita, la cena di Tempi di Recupero ha messo davanti alla stufa a legna due cuochi divisi dalla latitudine ma non dall’attitudine. L’uno, Juri Chiotti, ha letteralmente costruito da sé il proprio ristorante di montagna, con i legni dei boschi limitrofi e con le pietre delle baite diroccate, farcendolo dei prodotti della sua terra e chiamandolo Reis, cioè radici in occitano.
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L’altro, Marco Ambrosino, nato a Procida, vissuto a Milano, tornato a Napoli alla guida del favoloso ristorante Sustanza, cucina come se la cucina fosse una lotta sociale e sembra abbia detto, con apprezzabile acume, “chi lavora nelle cucine ha a che fare tutto il giorno con ingredienti vivi, gli unici cadaveri siamo noi”. E così i due cuochi hanno condiviso gli ingredienti delle loro famiglie, i loro album dei ricordi e hanno messo le mani al servizio di una cena “mari e monti”, come i risotti degli anni Ottanta. Si dice sempre, nel caso di iniziative con fini ammirevoli come quelli di Tempi di Recupero, che la cucina passa in secondo piano, e invece col cavolo.
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Quello Cappuccio, con le alici procidane più brutte e meno vendibili, con il cipollotto e la rosa canina, è stato l’inizio di una cena eccellente. Un piatto che non avresti saputo dire se assomigliava più alla tradizione del sauerkraut a la piemonteis (va letto con la a larga, come farebbe una nonna di Cocconato d’Asti) o a quella dell’Insalata primaverile procidana, come dichiarato da Ambrosino.
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Ma le commistioni sono dietro l’angolo. La Cruda di cervo era innervata dai sapori da Mare Nostrum della versione ambrosiniana della zuppa harira: peperoni, ceci, garum di pecora e tanti mesi di maturazione; le Tagliatelle di segale condite con un ragù di pesce povero, grongo, “pesce cipolla” ma anche aglio ursino e curry napoletano; la Bouillabaisse era un fake di crema di topinambour, rape, rapanelli e sarde affumicate, i Crostini di salsa aiolì una bandiera occitana da sventolare in faccia alla salsa rouille; e, infine, la finanziera di capra, di solida ortodossia piemontese, si trasformava di forchettata in forchettata in un vortice di esotismo vellutato e mediterraneo.
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E intorno alla cena, vini e vermouth inconsueti di Romagna (di Baccagnano), pinot neri di Saluzzo (di Cascina Melognis), e un dolce di Lait brusc con gelato di castagna e caco che solo l’incoscienza di un gelatiere come Giulio Rocci di Ottimo poteva realizzare, conquistando tutti e dimenticandosi la ricetta un secondo dopo averla servita. A febbraio si replica a Napoli, ma sarà una storia diversa.
Reis Cibo Libero di Montagna
12022 Chiot Martin (CN)
www.reisagriturismo.com
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