Testo di Ilaria Mazzarella
Foto cortesia Moreno Cedroni
– Cosa vorresti come regalo per i tuoi cinquant’anni, Mari?
– Moreno lo sai, mi piacerebbe avere un giardino. Un orto. Qui, davanti casa. Fronte mare.
“Sono nato proprio lì, in quella casa che oggi è accanto al ristorante. Ho vissuto lì fino al ’74. È solo un caso che io poi abbia rilevato questo locale, dove c’era la piccola abitazione di due fratelli pescatori e ne abbia fatto la casa della Madonnina del Pescatore trentasette anni fa”. Gli occhi azzurri di Moreno Cedroni sorridono di nostalgia dietro la mascherina. “Quando ero piccolo c’erano solo canneti e dune, la strada era sterrata e finiva proprio qui”. Indica la Madonnina, che infatti è rivolta verso sud. “Ricordo che da bambino vedevo mia nonna raccogliere le verdure nell’orto dietro casa e occuparsi degli animali nel cortile. Per me la realizzazione dell’orto sul mare è stato come un ritorno alle origini. E volevo esplorare quante cose potevano crescere in queste condizioni”. Con uno sguardo al passato, all’infanzia e alla memoria. Ma soprattutto in direzione di una visione per il domani. Prospettica, concreta, lungimirante. Probabilmente con un rischio intrinseco. È come piantare un fiore nel deserto, ha commentato ironico un sacerdote amico della coppia. Anche il solo pensiero di averlo progettato e negli anni essere riusciti a realizzarlo ha un valore inestimabile.
Il comune di Senigallia ha recepito il progetto di un orto marittimo per coltivare le erbe aromatiche che è diventato un lavoro pubblico finanziato da privato. Ovvero da Moreno Cedroni e sua moglie Mariella Organi (e la giovane Matilde). Ma la risposta dei Marzocchini non si è fatta attendere ed è stata sorprendentemente positiva. Sintomo che a volte si è reattivi ai cambiamenti. Li vedi aggirarsi curiosi e osservare il finocchio selvatico e l’erba ostrica che crescono sfidando il vento e le intemperie; passeggiando tra il tarassaco, l’acetosella e la borragine e soffermandosi dopo su una piantina di citronella, di melissa o di santoreggia, restano incantati dal rumore del mare, che percepiscono da più fonti. È la magia delle due casse che rimbalzando su una precisa traiettoria ne amplificano il rumore. C’è mare ovunque. Le onde si increspano in ogni dove. Un The Sound of the Sea senza ausilio di auricolari. Oltre ai rumori, un gioco di luci in linea con la natura sapientemente studiato con il supporto di Davide Groppi. Dall’orto marittimo vengono la maggior parte dei profumi che troviamo nei piatti della Madonnina del Pescatore, un raccolto quotidiano supportato da un solo giorno a settimana di foraging in collina. Un lavoro reso possibile anche grazie alla collaborazione di Colto e Mangiato, azienda agricola biologica di Senigallia, una sorta di direttore artistico dell’orto. “Il prossimo anno inizierò uno studio anche sulle alghe”. L’entusiasmo è palpabile. Quello di chi avvia un progetto nuovo e ci crede fino in fondo. Ed è contagioso.
D’altra parte, lui, lo chef, è lo stesso che ha iniziato a far sul serio all’interno del ristorante, a cui ha conferito un’atmosfera e uno stile unico, rafforzato dopo una ristrutturazione importante del 2001 (quella del “Con cosa lo copri questo pavimento rosso?” e del “Non lo copro affatto”), dove luci e morbidezze perfettamente calibrate con l’amico architetto Fabio Ceccarelli fanno scivolare l’ospite in un’altra dimensione. Il contesto, quel lungomare più naif e grezzo, andava in qualche maniera addomesticato. “Abbiamo spostato l’orizzonte. La Madonnina del Pescatore non finisce più all’interno, ma prosegue fino a oltre la strada”. Fino a questo tronco qui, che delimita lo spazio adibito all’orto. “È arrivato da solo – precisa Mariella, oltre che moglie e perfetta padrona di casa, una delle migliori donne di sala che abbia mai incontrato – le persone preferiscono sedere lì piuttosto che sulle panchine, pensano sia fatto apposta. Lasciamo tornare quello che c’era. Prima che fosse tagliato tutto, qui era pieno di tarassaco spontaneo. A febbraio c’è invece tanta acetosella”. Un progetto che a breve sarà arricchito anche da una colonnina per le auto elettriche e da un portabiciclette. En plein.
La luce in fondo al Tunnel
Cosa ti può portare nel futuro e ti dà energia? Solo la ricerca. Che è nutrimento della creatività e della mente. Con questo presupposto è nato nel 2019 il Tunnel, laboratorio di ricerca e sviluppo di Moreno che condivide per la maggior parte del tempo col suo secondo Luca Abbadir (dietro un grande chef, c’è sempre un grande sous-chef). E il Tunnel sembra un non-luogo, una bolla in uno spazio-tempo a sé, dove l’orologio segna sempre la stessa ora e il ritmo è scandito dai rumori dei macchinari in sottofondo. “Tranne le luci qui è tutto nuovo” scherza Moreno. Tunnel perché quando fai ricerca sei al buio, indaghi su un prodotto ma non sai dove può portarti. Quindi-è-tutto-nero. “E Mariella si è arrabbiata perché ho dipinto anche il climatizzatore di nero”, ride. Poi si fa serio e sottolinea che la ricerca si fa con attrezzatura diversa da quella in cucina. Lì non c’è la testa per fare prove e test fini a sé stessi, non si può indagare e dedicarsi al 100%. Il pragmatismo del servizio fa a cazzotti con l’astrazione della sperimentazione.
Ma soprattutto in cucina si creano i piatti e nel Tunnel gli ingredienti. “La bolla di cristallo del Rotavapor acquistato diciotto anni fa con le sperimentazioni dentro la cucina si è rotta dopo pochi utilizzi. I giochi puoi comprarli se sei pronto, altrimenti poi fanno una brutta fine. Eccolo è ancora qui, sotto al tavolo – ce lo indica con un filo di senso di colpa misto a ironia – Ne ho acquistato un altro perché ormai era obsoleto”. Domani si unirà alla squadra di cuochi un elemento importante, un neolaureato in chimica, a cui saranno affidate le analisi sulla maturazione del pesce. “La ricerca la fai per te e anche per gli altri. Metteremo le informazioni a disposizione di tutti”. Ci sarà un arricchimento reciproco. Ma il Tunnel non sarà solo un laboratorio di ricerca a sé stante, sarà parte integrante dell’esperienza della Madonnina del Pescatore affinché l’ospite possa vedere e capire con i propri occhi come viene lavorato ciò che trova nel piatto.
Moreno e Mariella ancora studiano in che momento integrare la degustazione dell’ospite con la visita nel laboratorio. Il rumore che fa da colonna sonora è il motore del liofilizzatore in azione, che lavora a meno 60 gradi, sottovuoto. Il riccio di mare lo tratta in due giorni. Che poi arriva a tavola in uno stampino a forma di stella marina servito su un sasso per essere sbriciolato dall’ospite direttamente, come fosse un cacio, sulle Penne rigate Gentile con ricci di mare, capesante essiccate, erbe spontanee e seppie ai carboni: un piatto che cavalca la sfida di unione tra tradizione e creatività e la vince a mani basse. Le capesante essiccate e frullate con l’olio sono la goduriosa salsa che ogni penna, ripeto: ogni-singola-penna, che non si inforchetta ma si prende con la pinza, va a raccogliere sul fondo. Il pensiero di gustarne una alla volta aiutato dalla lentezza del gesto regala alla pasta una credibilità differente.
“Di prove ne se fanno tantissime, siamo cuochi non chimici, e alcune vengono bene, altre fanno schifo”. Schietto, onesto, spiazzante. Fa parte del gioco. Qualcuno direbbe che il fallimento è parte del successo. Prendi la Ocoo, pentola a pressione coreana che serve a velocizzare le fermentazioni grazie a un’umidità a temperatura controllata. I coreani la usano per l’aglio nero. Con questo strumento si è partiti da una fermentazione su una banana, scoprendo che dopo cinque ore la dolcezza della polpa si trasmette per osmosi alla buccia, mantenendo le caratteristiche note tanniche con un retrogusto di nocciola. “Sì, rispetto ad altri ingredienti, la banana ha dato senz’altro i risultati migliori”, commenta lo chef. L’anno scorso è nata Cedronita, con tanto di etichetta stampata, un gelato che utilizza polpa e buccia di banana fermentata. Quest’anno in menu c’è un omaggio a Kenny Random, squisito dessert lavorato tramite una fermentazione di cioccolato e banana e ispirato all’omonimo artista di strada padovano. Si chiama Chi ama non dorme (‘Whoever loves doesn’t sleep’) e raffigura due fidanzati che si baciano e i fiori in mano alla ragazza volano col vento in una polvere di lamponi e banana liofilizzati e quinoa soffiata. Un’esplosione di sensi che, neanche a dirlo, si mangia con il dito zigzagando tra la ganache di cioccolato e le spezie.
Maturità e maturazioni
“Basta nuove aperture e consulenze. Voglio dedicare il 100% di me a me stesso”. Ipse dixit. Quando, dopo tanti anni di duro lavoro, sacrifici e impegno – e il saldo debiti è finalmente a zero – si può (e si deve?) fare un passo in più con la tranquillità di potersi dedicare a tutto tondo. È giusto investire nel sociale, nella ricerca e in un progetto collettivo che apporti un valore aggiunto alla collettività. “Si è chiuso un cerchio. È l’era della maturità e si vive con maggiore serenità e consapevolezza. Dopo esser stati colti un po’ alla sprovvista a marzo dello scorso anno, ci siamo preparati molto meglio a questa riapertura dopo il secondo lockdown e ci stiamo lavorando con cura da febbraio”. Oltre alla Madonnina del Pescatore, il pensiero va al Clandestino a Portonovo e ad Anikò a Senigallia. Coordinare le risorse, in piccoli gruppi di lavoro, due settimane di training e un giorno a settimana di supporto è parte integrante e fondamentale del lavoro. E funziona. Vedi il grande slancio della Madonnina dove l’entrée è con lo chef e per mano dello chef. Un ingresso piacevole e sorprendente quello che Cedroni riserva in questo nuovo inizio, un benvenuto sentito e mirato, per prendere la mano del commensale e portarla nella sua testa, nel suo cuore e nella sua intrigante follia.
“Più che salutare, volevo subito entrare in contatto più intimo con almeno una parte degli ospiti. Poi a seconda di chi hai davanti puoi stare due minuti come dieci”. Una stretta di mano autentica che sta venti passi avanti a un “tutto-bene?” recitato nelle migliori sale francesi. Eccolo, anticipato solo da un Margarita cocktail, uscire dalla cucina e aggirarsi tra i tavoli, accompagnato da un piccolo carrello blu e le stagionature del pesce in quattro versioni. Il caloroso benvenuto mentre affetta, spiega e impiatta. “Sono stato il primo a iniziare certe lavorazioni sul pesce”, sottolinea con fare scherzoso e sguardo serio. D’altra parte, Anikò – la sua salumeria ittica nel centro di Senigallia – ha aperto nell’ormai lontano 2003. Anche le stagionature ovviamente provengono dal Tunnel, dove, all’interno delle celle frigorifere a ozono, si fa ricerca sulla maturazione del pesce.
Odori più intensi, sapori concentrati, carni sode e asciutte. Si inizia con un tonno maturato 10 giorni, poi una cernia 15 giorni, una ricciola di 20 giorni, per concludere con una salsiccia di orata maturata 25 giorni. Più la maturazione è lunga meno è riconoscibile la base, ovvero il pesce. Il tessuto si arricchisce di sapori. “Si apre un mondo da esplorare anche a livello scientifico. Questa è una prima sperimentazione, dopo le prove di febbraio”. Adesso l’esplorazione è soprattutto concentrata su ciascuna pezzatura: un pesce da 10 chili può arrivare a 50 giorni? O magari quello da 20 chili arriva meglio? Una ricerca che deve fare i conti anche con gli spazi della cella frigo e che avrà i suoi tempi. Nelle celle del Tunnel frolla anche, per circa venti giorni, il piccione marchigiano cosparso di riso koji, che arriva a tavola cotto alla brace con melanzane affumicate e salsa di funghi fermentati e nocciole e centrifugato di alloro accompagnato dal suo filetto ed acciuga del Cantabrico. Gli enzimi attivati dal riso fermentato inteneriscono le carni e le “puliscono” totalmente dal sangue. La texture del filetto di piccione è perfetta, tanto che alla vista sembra praticamente crudo.
Colori, correnti e anima
All’ora del tramonto, la spiaggia di Portonovo, ai più nota come la Baia Verde, nella riviera del Conero dove si erge il Clandestino, il cielo si tinge dello stesso colore del mare. Per pochi istanti ogni giorno l’orizzonte, la linea tra cielo e mare, è invisibile. Migliaia di chilometri più a sud, a Capo di Buona Speranza, in una spiaggia di ciottoli le correnti calde di Agulhas dell’Oceano Indiano e quelle fredde di Benguela dall’Atlantico si incontrano sfiorandosi e si mescolano creando un po’ di turbolenza. Una fusione che mantiene salde due densità e sfumature di blu differenti. Era il 1984, lo stesso della nascita della Madonnina del Pescatore, quando Moreno Cedroni ne resta folgorato nel suo viaggio in Sudafrica. Uno specchio dell’anima. La sua. Dove coesistono due flussi antitetici, quello della tradizione e della sperimentazione, che confluiscono nella sua cucina e vanno in scena assieme, in un’opera complessa, pur continuando a mantenere in ciascun atto le proprie peculiarità.
La Madonnina del Pescatore
Via Lungomare Italia 11
60019 Senigallia (An)
www.morenocedroni.it