Testo e foto di Gloria Feurra
Conservo un vivido ricordo della prima volta in cui chiusi il morso in un Trapizzino strabordante di tiepido e densissimo sugo di coda alla vaccinara. Correva l’anno 2014 quando, tra il variopinto corollario di food truck accorsi al Salone del Gusto a Torino, i miei colleghi romani dell’UniSG freschi di matricola non indugiarono un secondo sulla scelta della nostra prima tappa: “Maccome! Non lo conosci?”. Il recupero fu breve. Quell’illuminante e paradisiaco incontro mi sarebbe costato poi negli anni enne pellegrinaggi al Testaccio, dove ha sede l’edizione 0 di quello che è diventato un successo seriale, contando oggi un totale di 10 locali (5 solo a Roma e a seguire Milano, Firenze, New York, Ladispoli e Latina).
Breve sunto di chi dietro quel triangolo di pizza ha costruito un piccolo impero: Stefano Callegari. Classe ’68, a metà degli anni duemila qualcuno lo acclamava come “l’uomo che (re)inventò la pizza”. E pensare che all’esordio curriculare come sgargino in forni e cucine lasciò il passo a una carriera ben diversa. Per quindici anni Callegari fu assistente di volo presso la compagnia di bandiera ma, perspicace, colse in tempi non del tutto sospetti la perturbazione nell’aria. Congedata la cabin crew life, parrebbe comunque che l’imprinting di volare alto sia rimasto integro: le tecniche apprese quasi un ventennio prima si affinano e si arricchiscono fino a quando, nel 2005, la sua prima creatura, Sforno, prende vita a Cinecittà. Il resto è storia (e Pizza Cacio & Pepe e Testa Rossa, vd. sotto).
L’idea della tasca di pizza bianca alla romana colmata generosamente dei sapori della capitale da portare a spasso sbrodolando e canticchiando è invece del 2008. Chiamalo, se vuoi, apoteosi dello street food. Robe che a raccontarlo uno direbbe “ma guarda che idea strampalata” e verrebbe da azzardare due scenari, ma agli antipodi: successo plateale o fallimento immediato. Indovina un po’ com’è andata? E quando un’idea strampalata diventa un’idea successo, la rotta verso Manhattan diventa una prassi non codificata da seguire. Ma nel Lower East Side, seppure l’offerta resta prossima a quella originale – dove si addiziona una schietta selezione di vini e dove si allunga la lista con antipasti e proposte healthy – rassicurando noi aficionados con gli iconici trapizzini e i supplì, quello che cambia rispetto alla primigenia capitolina sono le dinamiche – ça va sans dire – e, curiosamente, gli spazi. Rispetto alle modeste dimensioni della sede primaria accessoriata di a) un’essenziale bancone b) un frigorifero da cui acchiappare autonomamente la birra e c) i serpentoni chilometrici fuori, il Trapizzino a NYC si declina in termini di Espresso bar diurno, e Wine bar la sera. In un locale ad angolo (tra Orchard St. e Rivington St.) i circa 40 coperti siedono illuminati dalla luce delle ampie vetrate tra legni caldi, pareti di mattoni grezzi a cui s’incorniciano le foto di una Roma placida e saturata. Se il clima è spiccatamente diverso – e del resto, quanto stolto sarebbe fare il verso al Testaccio nel LES? – il sapore è quello che ricordi nel tepore estivo della Città Eterna, e al fatto che il personale di sala pronunci peculiarmente “Picchiapò” non fai più neppure caso.
Camminando per una dozzina di isolati verso Nord-Ovest, tra Lafayette e Prince St., a SoHo, t’imbatti in una vetrina con scritto cubitale le 3 parole probabilmente più conosciute al mondo dopo “Ok” e “Coca-Cola”: LOVE. ROME. PIZZA. E magari un attimo di scettiscismo ti coglie, in una città impestata di Italian sounding, ma poi se aguzzi la vista e sbirci oltre il vetro, che mi venga un colpo! Callegari, in persona! Ecco, l’ha fatto di nuovo, scegliendo questa volte due delle altre forme geometriche che gli riescono alla grande: quadrata (al taglio) e tonda (nel piatto). Si chiama La Rossa, e propone alcune delle sue signature pizze. Quella cotta con i cubetti di ghiaccio al centro, a simulare l’acqua di cottura indispensabile per il processo della Cacio e pepe, che sulla pizza si addizionano in uscita; quella con la mozzarella marinata nel Campari, la testa in cassetta, le patate e orange twist, passata agli annali come Testa Rossa; la Greenwich, base di fiordilatte con stilton e riduzione di porto. Le ritrovi con quella bellezza difettosa del cornicione annerito fuori, e dentro arioso (“ché preferisco farvi mangiare una pizza ben cotta e digeribile, anche se non perfetta da vedere”), dove ogni ingrediente ha il sapore che vorresti avesse: netto, vero, buono.
Non manca la carrellata di supplì, tre insalate per non tagliar fuori le più attente ai conti calorici fashion addicted che popolano il quartiere, qualche antipasto, due dolci. Per ora vige silente la policy del BYOB, ma la licenza per gli alcolici è in arrivo, e visti i trascorsi nelle scelte pioniere di birre artigianali e vini naturali oltreoceano, scommetto che ci sarà da divertirsi pure di più. E giacché qua il frenetico frullo newyorchese è tra quelli più stereotipici, non si sbaglia nel posizionare all’ingresso un bancone a vetrata contenente, come in uno dei tanti concept store prossimi, dei bijoux di pizza al trancio tanto accattivanti agli occhi quanto appaganti in bocca.
Si vocifera de La Rossa come di una puntata pilota di una serie già scritta, e che una parte della sceneggiatura troverà ambientazione più a Sud, nella soleggiata Florida. Il protagonista resta lo stesso, e sull’happy ending, bè, è come averla già vista.
267 Lafayette Street
New York , NY 10012
USA
Tel: +1 917 262 0302
reservation@larossa.love
144 Orchard St
New York, NY 10002
USA