Testo di Alessandra Piubello
Foto cortesia del Consorzio della Vernaccia di San Gimignano
Fa freddo a San Gimignano, il cielo è grigio e il sole non vuole uscire a salutare la diciottesima anteprima della Vernaccia di San Gimignano. Ciononostante, la “città delle belle torri” si staglia in tutta la sua fulgida bellezza, mostrando il profilo caratteristico delle quattordici torri rimaste, sulle settantadue dei tempi medievali. Camminare nel borgo antico per raggiungere il museo De Grada che svetta a fianco della Torre Grossa, la più alta della città, è un viaggio nel fascino del Medioevo. San Gimignano, sito Unesco dal 1990, tra le sue opere d’arte ci presenta la Vernaccia, intimamente connaturata a questo incantato luogo d’altri tempi, rimasto pressoché intatto. Questa è la terra eletta per la produzione dell’unico vino bianco Docg della Toscana, ottenuto per un minimo dell’85% da vernaccia e per la restante parte dai vitigni non aromatici considerati idonei dalla regione Toscana, con una quota massima del 10% nel caso si vogliano utilizzare sauvignon e riesling italico. La realtà vitivinicola di San Gimignano è caratterizzata da una forte integrazione con il territorio, con i suoi valori ambientali e culturali: i produttori a ragione si sentono i custodi di uno dei paesaggi più belli del mondo.
La Vernaccia di San Gimignano è un vitigno autoctono che vanta una storia secolare: il suo nome sembra derivare dal termine latino vernaculus che significa appunto “del posto, locale” e si hanno documentazioni storiche a partire dagli inizi del XIII secolo, anche se le origini, come le leggende dal fascino intrigante, sono misteriose. Forse è giunto in Italia dalla Grecia, in ogni caso è solo in queste terre che attecchisce, tanto è vero che nei secoli successivi si ribellerà a qualsiasi tentativo di trapianto in altre regioni. Già presente sulle tavole di papi e re, fu citato, unico vino ad esserlo, da Dante Alighieri nella Divina Commedia, nel canto XXIV del Purgatorio, dipinto dal Vasari negli affreschi del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio e poi nominato nelle righe scritte da autori del calibro di Cecco Angiolieri, Boccaccio, Geoffrey Chaucer. Dopo la grande fortuna dell’epoca medioevale e rinascimentale, della Vernaccia si perdono le tracce fino al secondo dopoguerra del secolo scorso, quando i viticoltori di San Gimignano riscoprono il valore dell’antico vitigno. Mario Soldati, nel corso del suo viaggio nel mondo dei vini italiani compiuto negli anni Sessanta, si fermò a Pietrafitta per assaggiarla. Fu talmente colpito che così scrisse: “Non esiste in Italia niente di simile, paragonandolo a tutti gli altri bianchi, stupisce… E’ profumato, sapido, liscio, seducente”. In effetti nel 1966 la Vernaccia di San Gimignano diventa il primo vino bianco italiano ad ottenere la Doc per poi passare nel 1993 a Docg.
Molto lavoro è stato fatto, a partire dal 1972, dal Consorzio, che da un lato ha recuperato una storia illustre, ma dall’altro ha anche operato per elevare il profilo con scelte impegnative volte a valorizzare la produzione vitivinicola di questa stirpe di ‘costruttori di chiese e piantatori di vigne’.
I terreni destinati alla produzione della Vernaccia di San Gimignano si sono formati sui depositi pliocenici marini e costituiti da sabbie gialle (tufo) ed argille gialle che risultano, a loro volta, spesso stratificate su argille più compatte e presenti in profondità, chiamate argille blu. Inoltre, sono suoli fortemente caratterizzati dalla presenza di sabbia e quasi privi di scheletro, favorevoli quindi alla penetrazione delle radici delle piante. Proprio il tufo è l’elemento pedologico caratterizzante dal punto di vista viticolo-enologico per la sapidità che conferisce ai vini che ne derivano.
La degustazione
È con grande gioia che la presidente del Consorzio, Irina Strozzi, dal museo De Grada, saluta il ritorno ai banchi di assaggio dei produttori: “Un momento molto sentito perché il mondo del vino trova la sua naturale esplicitazione nella condivisione, nello scambio, nel contatto. Abbiamo raggiunto uno dei più alti numeri di partecipanti degli ultimi anni, con 41 aziende e 96 vini in degustazione”. Nelle sale del museo De Grada, serviti da efficienti sommelier, finalmente alla temperatura giusta dopo anni di sofferenze, abbiamo dunque potuto assaggiare i vini da poco imbottigliati dell’annata 2022, oltre a quelli della 2021 e alle Riserve, che spaziavano dalla 2021 alla 2018.
Qualche nota sulle vendemmie sotto i riflettori, la 2022 e la 2021. La ‘22 è stata caratterizzata da estrema siccità e venti caldi, con grandinate – fortunatamente rade – nel periodo di giugno e luglio. Finalmente a fine agosto l’arrivo delle piogge ha equilibrato l’andamento climatico. La 2021 è stata anch’essa calda, con picchi di calore estremi, gelate tardive e grandine in luglio che hanno contribuito a diminuire la produzione di uve. Il calore costante lungo tutto il periodo estivo, seguito dalle piogge autunnali che hanno consentito ai grappoli di maturare lentamente e con gradualità, con buoni livelli di acidità e gradazioni alcoliche non eccessive.
Fra le Vernacce del 2022, ancora molto giovani e ancora difficilmente inquadrabili a causa del loro recentissimo imbottigliamento, abbiamo apprezzato La Lastra con il suo corredo aromatico di tiglio, agrumi, erbe officinali, e un palato armonioso, tra pienezza e freschezza, con una persistenza di tutto rispetto.
Proseguiamo la nostra lista dei migliori assaggi con Il Colombaio di Santa Chiara Selvabianca dal naso variegato, con sentori di salvia, agrume, zafferano e un sorso vivo, fresco, dal saporito arco gustativo fino al lungo finale. Panizzi ha un profilo aromatico di pera, pesca, ginestra e frutti tropicali. La ricchezza del dettaglio è già intuibile nonostante la gioventù, mentre struttura, purezza complessiva e sguardo al futuro sono caratteristiche riconoscibili della firma Panizzi. Profilo olfattivo di ginestra, susina e agrume per Tenuta Le Calcinaie. La trama gustativa è fine, precisa e già materica. Sapido, gode di una progressione autorevole e di un allungo finale nitido. Riesce ad essere già equilibrato, il tempo non potrà che giocare a suo favore.
Per l’annata 2021 segnaliamo Alessandro Tofanari Sassa dal ventaglio olfattivo ampio e complesso, con note di camomilla, pietra focaia, agrume, nocciola. Il sorso è sapido, vibrante, profondo. Allungo finale decisamente persistente ed appagante. Montenidoli propone due belle interpretazioni con Tradizionale e Fiore. Due vini fuori dal coro, con caratteristiche uniche e dalla personalità ben distinta. Il primo profuma di spezie, di erbe aromatiche, di pepe bianco, di pietra focaia. In bocca è intenso, voluminoso e deciso nel suo carattere. Il secondo esala dal calice sentori di tiglio, agrumi, erbe officinali. All’assaggio dimostra tutta la sua finezza, la sua levità, la sua purezza espressiva. Terre di Sovernaja Viti sparse ha un bouquet di susina ed agrumi, pesca bianca e note salmastre. Un brivido salino lungo e continuo ravviva l’assaggio dalla trama ben strutturata e sapida.
In questi anni di assaggi abbiamo imparato che la Vernaccia di San Gimignano si esprime nel tempo, è sorprendentemente più complessa e attrattiva negli anni e mostra una notevole longevità. Per chi non ha mai avuto l’occasione di assaggiare Vernacce di dieci, quindici anni, vi invitiamo a farlo. Ci ringrazierete.