Testo di Eugenio Signoroni
Foto di Eugenio Signoroni e cortesia di Antonio Chiodi Latini
C’è stato un tempo non troppo lontano, diciamo 4 o 5 anni fa, durante il quale sembrava che tutti saremmo diventati vegetariani o vegani. I libri di ricette non si occupavano che di cereali, legumi e verdure dell’orto, il foraging era un’ossessione ancor più che una moda, alcune città, come quella nella quale vivo, promettevano che nel giro di qualche anno avrebbero avuto l’etichetta vegan friendly e i ristoranti a tema comparivano a ogni angolo come le lumache dopo la pioggia.
Oggi quella bolla – fortunatamente dico io – è esplosa e di quell’indigestione verde è rimasto il riverbero che però, come spesso accade, è la parte più interessante e solida. Al di là dei proclami, infatti, il mondo vegetale ha definitivamente abbandonato il ruolo di contorno al quale per anni è stato relegato e tuberi, radici, frutti e foglie hanno sostituito o ridimensionato il ruolo di carni e pesci nei menu di moltissimi ristoranti. Capita ormai sempre più frequentemente, infatti, di trovarsi in ristoranti che pur non dichiarandosi vegetariani hanno una proposta che nei fatti lo è e di leggere menu dove carne e pesce sono niente più che comprimari.
“In futuro saranno le verdure la componente principale del piatto e le carni (magari in forma di intingoli, sughi o altro che al momento non possiamo prevedere) saranno contorni o elementi di completamento del piatto”. Era ottobre del 2020 e Diego Rossi, un cuoco che, almeno nei primi tempi, ha messo carni e interiora al centro del proprio progetto – se non fosse sufficientemente chiaro basti ricordare che il suo locale milanese si chiama Trippa – pronunciava questa frase a una sala per certi versi spiazzata ma che a ben pensarci, aveva appena finito una cena dove le proteine di origine animale non erano certo mancate, ma erano state, in effetti, poco più che un condimento.
In questa nuova cucina verde c’è però anche chi, ben prima che tutto ciò diventasse una moda, ha deciso di scommettere esclusivamente su una proposta a base di prodotti dell’orto e del bosco. Antonio Chiodi Latini, per esempio, chiama la sua cucina vegetale integrale. Una formula attraverso la quale lo chef torinese vuole manifestare la sua idea di un esclusivo utilizzo di verdure, legumi e tuberi locali e di stagione, senza ricorso a sostituti della carne o a ingredienti prodotti a partire dalla soia o da altri prodotti la cui origine è spesso ignota e comunque lontana.
Il suo è allo stesso tempo un ritorno alle radici della cucina italiana più popolare, che aveva nei semplici prodotti dell’orto le proprie fondamenta, e uno slancio verso un futuro nel quale le verdure possano smettere di essere mortificate. I suoi piatti cercano costantemente di evidenziare le note più vivaci, saporose e colorate (metaforicamente e non) di qualsivoglia ortaggio, si tratti di una patata, una verza o un topinambur. Ma non solo, la continua ricerca tecnica e tecnologica gli consente di aggiungere tocchi di giocosità, sorpresa e bellezza ai propri piatti.
Il menu assaggiato in una delle serate di Buonissima – la manifestazione svoltasi a fine ottobre che aveva l’obiettivo di far diventare Torino per qualche giorno la capitale della gastronomia mondiale – è stato una perfetta rappresentazione di questa idea. Tra i tanti piatti della cena che voleva celebrare le verdure del bravissimo coltivatore valdostano Federico Chierico (www.paysageamanger.it) per esempio c’era La rossa francese, uno dei piatti simbolo di Antonio Chiodi Latini: un finto raviolo nel quale l’involucro è una sottilissima fetta di rapa bianca e il ripieno è una purea di patata vitelotte, condito con salsa tamari, olio di canapa e una polvere ottenuta dalla buccia del tubero.
Una preparazione che è allo stesso tempo un’illusione ottica e palatale: se infatti a livello visivo si è certi di trovarsi di fronte a un classico raviolo dalla sfoglia sottilissima e cedevole il palato non solo rivela l’inganno ma inverte a livello gustativo e testurale le aspettative poiché la pasta normalmente dolce e morbida è qui piccante e croccante e il ripieno è dolce e terroso e ha quasi più il compito di smorzare il boccone che non di aggiungergli sapore.
Verza e pastinaca, invece, è stato un omaggio alla verdura simbolo dell’inverno, la verza, trasformata in una lamina luminosa e brillante a sovrastare e aggiungere fragranza alla cremosità quasi balsamica della pastinaca. Zucca e mandorla era invece un gioco e, di nuovo, un’illusione poiché la zucca, dopo essere stata marinata in zucchero e sale per 24 ore, come normalmente avviene per il salmone, viene passata in pastella e fritta, risultando così nel piatto scioglievole e compatta, elemento principale e contorno, quasi un dolce ma ancora un secondo.
Proprio come un altro piatto firma dello chef, Apnea, nel quale una mousse di cioccolato fondente è accompagnata e spezzata nella sua intensità da un’eterea e inattesa spuma di cavolfiore.
Antonio Chiodi Latini
Via Antonio Bertola, 20/B
10122 Torino (TO)
Tel: +39 011 026 0053
www.antoniochiodilatini.com