Testo di Tania Mauri
Foto cortesia
La chef slovena da sempre sostiene i produttori locali e, con questa giovane coppia – un po’ hippy – garantisce al suo ristorante 2 stelle Michelin approvvigionamenti di frutta e verdura fresche e genuine tutto l’anno.
Cambiare vita si può. Sono sempre di più le persone che vorrebbero una vita diversa, ma non trovano il coraggio e spesso non sanno da dove cominciare. Per farlo è necessario trovare uno stimolo, un motivo per fare un salto nel buio e stravolgere tutto: un nuovo paese, una nuova lingua e cultura, un nuovo lavoro, una nuova esistenza. Un salto che non sempre si ha la forza di affrontare perché non si dispone degli strumenti giusti e delle conoscenze necessarie per sostenerlo.
Talvolta occorre una guida, un esperto, qualcuno in grado di dare consigli e istruzioni o che semplicemente ispiri la scelta. Oppure talvolta ci vuole semplicemente un incontro casuale, un luogo particolare e un’amica speciale. Come è successo a Jeanne a Matteo che hanno avuto il coraggio di percorrere una nuova strada, cambiare lavoro e trasferirsi in campagna. È il sogno di molti e coinvolge soprattutto coloro che, pur avendo un lavoro sicuro o avendo iniziato la propria carriera professionale, sentono la vita di città troppo stretta e decidono di andare alla ricerca delle proprie origini e di un rinnovato contatto con la terra.
Jeanne è canadese, fa studi antropologici, ha una grande passione per i viaggi, la natura e i vini naturali. Matteo è italiano, bolognese per la precisione, ma vive a Londra dove lavora come general manager presso il ristorante Primeur. Galeotta è la città inglese che li farà incontrare, e innamorare, il 18 aprile 2016 a una fiera di vini naturali: Jeanne stava dietro al bancone di un viticoltore piemontese con cui lavorava all’epoca e Matteo stava facendo un giro per scoprire nuovi produttori.
Tra loro scatta una sorta di percezione dell’Io dell’altro da cui, immediatamente, nasce una profonda affinità elettiva delle loro anime. Presto però si rendono conto non era quella la vita che faceva per loro – la relazione a distanza, i tanti impegni, lo stress della grande città, il non sentirsi pienamente realizzati – e così decidono di spostarsi in Slovenia, una terra ricca e generosa, “per il vino, i bianchi macerati, il terroir, il desiderio di iniziare qualcosa insieme in un posto estraneo a tutti due. Non è una nuova vita quella che abbiamo cercato ma è la realizzazione di ciò che siamo e del nostro vissuto. Il nostro è un percorso, non una svolta” racconta Jeanne.
“Non ci si improvvisa agricoltori”, ma con coraggio e passione riescono nel loro obiettivo di poter ritrovare una nuova armonia con la natura e trasformare la loro vita. Trovano un terreno a Srednje, un piccolo paesino che si affaccia sulle Alpi Giulie poco distante dal confine italiano dove c’è questa fattoria della Prima Guerra Mondiale che nessuno voleva affittare, una casa un po’ fatiscente che è stata assemblata e riempita da loro con elettrodomestici trovati al mercato delle pulci – come la cucina a legna su cui cucinano e scaldano l’ambiente – belle ceramiche scheggiate, fiori di campo essiccati, colori alle pareti e pentole recuperate. Dal loro incontro è nata una bambina (vivace e sveglia dalle gote rosse) Lou, che parla tre lingue (italiano, francese e inglese ma presto imparerà, per forza di cose, lo sloveno) e li aiuta tra orto e animali, e, da meno di un anno, è arrivato Romeo, un bimbo paffuto e sorridente.
“Poter far crescere i nostri figli così, con poche cose e molta vita ricca di natura, è una cosa meravigliosa. La loro eredità non sarà una casa o un terreno da coltivare ma sarà il frutto dell’esperienza vissuta qui, delle cose imparate, del mangiare sano e genuino, del ricordo dei paesaggi magici che possono ammirare ogni giorno, del saper fare lavori manuali… questo è quello che vogliamo lasciare ai nostri figli e solo vivendo qui, e così, lo possiamo fare” ribadisce Jeanne. Abbandonata in parte l’idea del vino, cominciano a coltivare un orto, a cucinarsi il pane, a fare formaggio e yogurt con il latte delle loro capre. Il loro incontro con Ana Roš è stato determinante. “All’inizio abbiamo conosciuto Walter Kramar, che del ristorante si occupa dei vini e dei formaggi.
Così quando abbiamo iniziato a coltivare gli ortaggi l’abbiamo contattato per sapere se potesse essere interessato. Un mese dopo, nel febbraio 2020, Ana ci ha invitati a parlare del nostro progetto e scambiarci idee. Da subito si è instaurato un rapporto di fiducia e di stima: a maggio le portavamo le prime verdure!” ricorda Matteo. “Lei è, ed è stata, la nostra più grande sostenitrice, ci viene a trovare, ci sprona ad andare avanti, ci aiuta con ogni mezzo, ci fa conoscere nuove realtà e valorizza al massimo il nostro lavoro. Per lei coltiviamo, in metodo biologico e biodinamico, i 14,7 ettari che abbiamo e ci adattiamo alle esigenze della sua cucina. Ana è una grande chef e sta facendo un grandissimo lavoro sul suo territorio, ma per noi è e rimane un’amica preziosa, una persona affidabile dal cuore grande e generoso”.
Le loro coltivazioni seguono le stagioni, per cui in questo periodo hanno appena acquistato i semi e si preparano per la semina. Durante l’anno coltivano un po’ di tutto e vanno alla scoperta di quello che cresce meglio su questi terreni: dalla senape giapponese al maiz morado mexicano, passando per cipolla di Tropea, i piselli francesi, i pomodori americani e il basilico indiano. Ovviamente lavorano anche le varietà autoctone e quelle dimenticate, fiori commestibili, grani, erbe aromatiche, petali, erba cipollina e radici. In due anni hanno seminato circa 350 diverse varietà tutte da semi antichi o recuperati. Raccolgono anche tanti frutti – prugne, pere e mele con cui fanno il sidro – e noci da un vecchio frutteto abbandonato. Quando non lavorano in campagna – la loro giornata inizia all’alba e finisce al tramonto ma d’inverno le giornate sono corte – si dedicano alla legna, al mettere le verdure in salamoia, alla raccolta delle castagne, al fare il pane e rinfrescare il lievito, a giocare con i bambini.
“Le difficoltà svaniscono quando si sta all’ aria aperta, si suda, si sente il sole, il vento del Monte Matajur e quello del Mediterraneo sulla pelle, quando gli occhi vanno oltre l’orizzonte e spaziano sui ghiacciai perenni. È sempre un’emozione quando si tocca la terra con le mani, si vede germinare una pianta, si raccoglie un melone, si mangiano e bevono i frutti del proprio lavoro. Noi crediamo in quello che facciamo e ci piace. Lo facciamo a nostro modo, studiando, creando e sperimentando. Non è tutto rosa e fiori: qualche volta ci arrabbiamo con la natura, uno contro l’altro, contro la casa che sta in piedi in qualche modo ma siamo anche consapevoli che da tutta questa rabbia possiamo solo imparare e migliorare. Le vere difficoltà sono quelle che ti fanno perdere tempo, il grigio degli uffici, i ritmi disumani dell’industria, la burocrazia, le mascherine e le carte da compilare, il non poter avere un sistema accogliente e inclusivo che dà valore a quello che si ha realmente” chiarisce Jeanne. E conclude “le scelte che facciamo sono tante, ogni giorno… La vita per noi è così, un insieme di cose che ci piacciono e ci intrecciano in un progetto comune. Oggi questa ci sembra l’unica cosa giusta da fare, in linea con i nostri ideali. Ci fa sentire bene, coerenti, completi”.
La loro passione e la loro ampia conoscenza oggi si traducono in materie prime di altissima qualità che ogni giorno finiscono nei piatti di Hiša Franko, piatti che raccontano la cucina slovena e i suoi produttori.