Testo di Greta Contardo
Foto cortesia di Encuentro de Los Mares
Chiudi gli occhi, stai mangiando una sorta di biancomangiare. Senti note sapide, mandorlate, vai in Sicilia con il pensiero, ma anche in Giappone. Un boccone di gelato e la morbidezza di un sapore caramellato, morbido, ti fa sorridere. Che buono pensi, che viaggio. Apri gli occhi, stai mangiando un dessert a base di morena, quel pesce anguilliforme che tutto avresti pensato tranne che potesse risultare così pazzesco nelle vesti di dolce. Nello specifico è il Mochi di morena, gelato di soia e miso, squame fritte, uno degli ultimi assaggi del menu “a tutto mare” di Angél Leon, il paladino del mare che a Cadiz – da anni – sta facendo una grande rivoluzione iodata. Che ora, grazie a una grande e spasmodica ricerca, riesce a servire un menu 100% marino, anche nei dolci. È Idoia Lacambra, giovane cuoca-pasticciera alle redini del “sorprendente e rischioso” comparto dolci di Aponiente, a presentare la morena nella seconda cena del congresso Encuentro de Los Mares a Tenerife. Inattesa, curiosa, a suo modo sconvolgente. È la rappresentazione de “il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni” (Alessandro Baricco), ma il mare può avere infinite interpretazioni.
“Lavoriamo a stretto contatto con il pasticciere-ricercatore-consulente David Gil, gli offriamo degli spunti (o viceversa). L’obiettivo è cucinare davvero quel che viene dal mare anche in versione dolce. E lo facciamo riutilizzando tutto quello che non trova impiego nella sezione salata. Una sfida grandissima con immensi risultati. Non si tratta di pasticceria vera e propria, piuttosto di cucina con lo zucchero”. Dagli studi sugli ingredienti, sulle texture e sulle possibili trasformazioni di David nel suo laboratorio di Barcellona nascono le basi per la costruzione di dessert mai visti prima. E la morena come diamine ha fatto a diventare un mochi-biancomangiare? Spiega Idoia: “La loro pelle è magica, perché ha un grande eccesso di grasso – molto più del tonno rosso e di altri pesci grassi – quello che abbiamo fatto è stato provare a trasformare la pelle, prima di tutto eliminando qualsiasi odore e sapore con un passaggio in latte e cannella di circa 72 ore. Rimane così una base neutra che ha perso tutti i connotati gustativi del pescato e che rendiamo ‘mochi’ con una cottura in osmosi”. Insieme una panna acida calibra le morbidezze e il gelato di soia e miso apporta quella sensazione riconoscibile di dessert. Al gelato però sono state aggiunte le squame fritte della morena, “confettate” con effetto mandorlato. Con stupore e meraviglia, forse non c’è modo più dolce di far ragionare sulla impellente necessità di difesa del Grande Blu.
Ragionare sul futuro analizzando il passato e concentrandosi sul presente era la missione della sesta edizione del congresso interdisciplinare Encuentro de Los Mares, tenutosi dal 16 al 19 giugno a Tenerife. Suolo vulcanico e roccioso in contrasto con il blu dell’Oceano, l’isola – la più grande delle Canarie – ha fatto da splendida cornice ai tre giorni di incontri, approfondimenti, lezioni e scoperte. Un’isola che ha nel turismo la sua attività principale accogliendo 6,5 milioni di visitatori ogni anno e che sta puntando a una revisione del modello turistico in ottica sempre più sostenibile e a favore dello sviluppo locale. Encuentro de Los Mares è un congresso olistico che abbraccia scienza, settore primario (pesca) ed enogastronomia e li mette in relazione. Perché il mare è anche business, ma prima di tutto deve essere sostenibile. E per riflettere sulle sfide da attuare per la conservazione degli oceani, sono stati chiamati ospiti da tutto il mondo, con formazioni diversissime per non lasciare nulla al caso. Quest’anno il tema scelto è stato Blue Health, riconnettere il legame tra oceano e salute umana, con un evidente focus nell’approccio nutrizionale-scientifico che pone l’attenzione sulla necessità di recuperare gli oceani e le loro specie per poter avere una migliore salute consumando “cibo blu”. Nel corso di tre giorni si sono alternati più di una trentina di relatori per approfondire la difesa della cultura del mare dai settori della scienza, della pesca o della gastronomia in diversi spazi dell’isola di Tenerife, nelle località di Arona, Adeje, San Miguel de Abona e Granadilla.
L’importanza degli alimenti acquatici nel contesto nutrizionale della salute è stato il centro, con interessanti input sulla necessità di rivedere il nostro Blue Food System a partire dall’ Acquatic Food Pyramid che dobbiamo interpretare proprio come abbiamo fatto con quella terrestre, quindi puntando alla maricoltura (corrispondente alla nostra agricoltura), incentivando il consumo di alghe. Sapevate che il consumo di alimenti marini ha grandi benefici anche sulla salute mentale (oltre che su quella cardiaca e in generale sul benessere fisico essendo fonte di notevoli vitamine, proteine, grassi e Sali essenziali). Così come abbiamo scoperto che l’uomo ha una relazione intrinseca con il mare da ben prima della notte dei tempi (come spiega Carlos Duarte, curatore della sezione scientifica del congresso). E che l’inclinazione artistica dell’uomo, la creatività, è stata in qualche modo incentivata dall’ocre rojo l’arte, e che questa cosa rivela importanti spunti sulla nostra dieta e sulle chiavi della nostra salute. Insomma, l’evoluzione dell’uomo passa per le conchiglie.
Sono arrivati cuochi da tutto il mondo, dalle Filippine al Polo Nord passando per l’Italia, ciascuno con la propria geografia marina commestibile e con notevoli riflessioni. Rafa Zafra (Estimar, Barcellona e Madrid) ha raccontato dell’importanza della collaborazione tra scienza e gastronomia che lui sta attuando nel progetto GastroBIO: un mar de conocimiento, insieme al biologo marino Arnau Subías, perché la conoscenza approfondita del prodotto – a partire dall’anatomia, dalla pesca – è la chiave per l’innovazione e la sostenibilità. Chele Gonzales, da Manila nelle Filippine, ha narrato dell’ecosistema in cui vive, in cui l’uomo è a strettissimo contatto con la natura. Le Filippine sono un arcipelago con una delle più grandi biodiversità marine del mondo. Un incontro con una comunità di pescatori che vivono isolati e che il loro stile di vita è quello di raccogliere, pescare e consumare direttamente poiché non ha un sistema di refrigerazione. Preparazioni come il kinilaw, una sorta di ceviche filippino, è uno degli escamotage per vivere senza refrigerazione, con immediato consumo – salutare – di pesce. Il kalamansi, frutto locale – quasi un lime – ha la particolarità di uccidere i batteri e diventa essenziale con la sua potenza in questo stile di vita, ma sta scomparendo. E questo non va permesso.
Dal progetto ‘Nnumari dedicato alla salvaguardia del Mediterraneo, parte l’intervento di Pino Cuttaia (La Madia, Licata). “Il mare è il mio orto” racconta Pino, mentre fa un piccolo interessantissimo ragionamento sul ruolo del cuoco contemporaneo che in quanto custode di gesti, fa le veci della mamma. “È l’unica figura che ha il tempo di cucinare”. Il mare di Pino è legato al gesto domestico e in questo caso al profumo alla marinara. È la Minestra di finto pesce, a portare con sé tutta la carica del gesto e della memoria. È una minestra in cui il pesce non c’è ma è ricreato con la sapiente doratura dell’aglio in olio, a cui poi si aggiungono il pomodoro pelato, i capelli d’angelo e mandorla e uova per raccontare con la texture un crostaceo che non c’è. Si chiama cucina dell’illusione e fa parte della tradizione intrinseca siciliana dei luoghi di mare, che nei giorni di mare grosso, il mare continuavano a percepirlo al palato. La cucina di Cuttaia è una cucina “che la mia vicina di casa mangerebbe”, come dimostra anche il Tonno e conserva che racconta quel momento dell’anno in cui il tonno entra nel Mediterraneo e il pescatore fa le conserve. È un cuoco maturo Pino Cuttaia, è “cresciuto insieme all’ingrediente” e lo testimonia l’imperfezione perfetta del seme del limone accidentalmente caduto e volutamente lasciato nel piatto, proprio come farebbe una mamma.
C’è chi ha enfatizzato l’importanza di conoscere la dispensa del proprio ambiente, terrestre e marittimo, per metterla in luce, darle valore. Uno di questi è Gianfranco Pascucci del ristorante Al Porticciolo a Fiumicino. A Fiumicino, tutto sa di mare, crede fermamente Gianfranco. Che spiega come il mare non sia solo “acqua, ma anche la terra che lo circonda”, e se ne prende cura per ottenere il meglio. Oltre a essere il più grande porto italiano per il commercio del pescato, a Fiumicino si trovano una serie di realtà eccellenti –allevatori, coltivatori e pescatori – che Gianfranco Pascucci ha saputo mettere in rete in un’ottica di valorizzazione olistica.
Quella di Gianfranco non è semplicemente una cucina di pesce. Il cuoco è l’artefice di una “cucina di mare” più diversificata rispetto alla tradizionale cucina marinara, con un’attenzione particolare alla purezza del concetto. “È una cucina locale che ha un rapporto intimo con il mare.” Ad esempio, una volta si chiese: “Che sapore ha una duna?” E dopo diverse ricerche, scoprì erbe interessanti che ora non solo danno sapore ai suoi piatti, ma ne diventano anche autentici ingredienti. Chef intuitivo, ascolta e rispetta il mare trasformandolo in piatti che parlano attraverso odori, sapori ed estetica, per risvegliare la sensibilità del commensale. Ma prima di tutto, questi piatti sono buoni.
Collaboratore del WWF, Pascucci è impegnato nella difesa del suo territorio attraverso i fornelli, unendo terra e mare. Ha un rapporto stretto con i pescatori parlando con loro. dei pericoli che minacciano il suo amato mare è emerso che quello degli scarichi di plastica è sicuramente tra i principali. Da questa riflessione è nato l’emblematico piatto Mare di plastica, nato per denunciare il degrado delle spiagge e soprattutto per sensibilizzare l’uomo a non invadere la bellezza dei nostri fondali con l’abbandono della plastica. Fusilli al dente saltati con burro di seppia (preparato con brodo di seppia ridotto con Cachile maritima) e ricoperti di sottili fettine di seppia marinate con acqua e sale. Il piatto viene completato con pezzetti di nocciola, fave di cacao, puntini d’arancia e una crema di mandorle e miele, per aggiungere un tocco di torrone. Infine, il piatto viene avvolto, in modo quasi impressionante, da falsi fogli di plastica commestibile (composta da amido di mais) per trasmettendo al commensale il messaggio di “quello che ci attende in futuro se non ci prendiamo cura del mare.” Impattante, un piatto che testimonia il sostegno di Gianfranco per la tutela del mare e della natura tutta, in un circolo virtuoso di crescita e di preservazione del delicato eco-sistema del mare.
Dalla Norvegia sono arrivate le testimonianze degli energici Ola Klepp e Alberto Lozano. Il primo a Stavanger “in linea d’aria di fronte all’Inghilterra” ha ragionato sulla connessione tra cuochi e impatto e sulla possibilità di realizzare un impatto positivo attraverso l’uso del prodotto autoctono per fare pedagogia sul consumo di pesce essendo sostenibili. Nel suo ristorante K2 la cucina è strettamente circolare con prodotti provenienti dalla Norvegia al 78% certificati bio. Regola numero uno: non si butta via niente. Il menu del K2 racconta questa scelta con un menu che declina un solo ingrediente proteico in 10 piatti per usarlo in ogni sua parte. Un ottimo modo per sensibilizzare i commensali.
Il ristorante Huset di Alberto Lozano, invece, si trova nelle Isole Svalbard, in Norvegia, praticamente al Polo Nord. Alberto ha lasciato la sua Albacete per l’Artico, in uno dei luoghi più inospitali al mondo dove il cambiamento climatico sta arrivando più velocemente. Questa drammatica situazione, insieme alla sua preoccupazione per l’utilizzo di prodotti e materiali di scarto, lo ha portato a creare un legame con gli esperti residenti di quel luogo ai confini del mondo per analizzare i problemi. Uno tra tutti è rappresentato “nemici misteriosi”, che altri non sono che i ritardanti di fiamma. Perché? “Sono sostanze chimiche che rallentano l’esplosione, con gli anni sono volatili e, come tutti, vanno al Nord. Essendo organici, aderiscono al tessuto adiposo e, innanzitutto, allo zooplancton. E così passano di grasso in grasso, da quel pesce grande che mangia quello piccolo, poi alle foche… Anche al più grande predatore, che è l’essere umano”, ha spiegato. Anche se “non se ne parla quasi”, lo chef lancia anche un avvertimento: “Ciò che sta accadendo ora lì, nell’Artico, accadrà qui, nel delta dell’Ebro o in Galizia, perché, alla fine, siamo tutti una cosa sola”. Lozano è molto preoccupato perché il ghiacciaio che unisce le Isole Svalbard ha perso un chilometro in otto anni e scomparirà nel 2050, dividendo l’isola su cui vivono, ma modificando anche il corso delle correnti. Molte delle sue preparazioni al Huset ruotano attorno alla foca, “il nostro maiale artico. Parlo con orgoglio di quella proteina che consideriamo la più sostenibile”. Lozano ha fatto riferimento anche alla sua caccia, attorno alla quale esistono molti miti: “È la più regolamentata: mi serve una foca, il cacciatore va e torna con essa. “La trattiamo con il massimo rispetto possibile, le diamo una morte dignitosa e viene trattata in modo selettivo”.
Al biologo marino Daniel Pauly è stato assegnato il Premio Sartún in questa sesta edizione per essersi distinto nella tutela dell’ecosistema marino. Pauly è diventato una figura essenziale nel panorama internazionale nella lotta contro lo sfruttamento eccessivo della pesca e il suo instancabile lavoro scientifico a favore di questa protezione degli oceani. In una lezione tra passato, presente e futuro dei mari, Pauly ha esordito con il concetto: “tutto dipende esclusivamente dalla riduzione delle emissioni di gas serra” per la conservazione degli ecosistemi. Il gas serra è il problema che più impatta sul futuro dei nostri Oceani.
È il momento per l’azione, quindi. ” “Se i nostri figli continueranno a mangiare come fanno, vivranno meno dei loro nonni e genitori” è l’allarmante pensiero di Rosaura Leis, presidenta del Comité Científico Fundación Dieta Atlántica. Ma come ben dice Pauly, è ora di “imparare a vivere nel pianeta in cui siamo e essere la specie invasiva”. Gli esseri umani hanno la responsabilità e la capacità di invertire i danni causati negli oceani. Alla prossima edizione, nel 2025, a Tenerife.