Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia
Rivivere il passato del popolo etrusco attraverso il lavoro dell’Azienda Agricola Bio Tarazona Miriam ad Arezzo.
Oltre il manto di erbe selvatiche tra cui crescono i preziosi vitigni centenari dell’Azienda Agricola Bio Tarazona Miriam ad Arezzo, c’è una terra il cui odore narra una grande storia, fatta di amore, dedizione, di natura libera di esprimersi, di custodia verso un territorio dal glorioso passato. Quando nel 2000 Francesco Mondini, vignaiolo e marito di Miriam, decise di lasciare il suo precedente lavoro per dedicarsi alla vita in campagna partì da un’intuizione: intrecciare natura e cultura. “Volevo creare un prodotto originale, differente dagli altri che potesse celebrare anche la storia di questa terra” racconta Francesco.
“Ripercorrendo la storia sappiamo che secoli e secoli fa ad Arezzo sorgeva una Locumonia ovvero una città etrusca, un popolo estremamente evoluto e fondamentale per la nostra cultura vinicola. Affascinato da tutto questo pensai di ricostruire nell’azienda agricola che mio nonno acquistò nel 1960 la stessa vinificazione etrusca realizzata nel 750 a.C. Il primo passo è stato creare un ambiente ricco di biodiversità e quindi portare ogni produzione in permacultura affinché le viti stesse potessero prosperare al meglio. In seguito, abbiamo avviato una serie di studi per riprodurre questo vino il più fedelmente possibile all’originale ma adattandolo alla nostra contemporaneità”.
Insieme all’archeologo Maurizio Pellegrini direttore didattico del Museo di Villa Giulia a Roma e sostenitore del progetto, fecero una serie di tentativi – e annessi errori – fino a quando nel 2003 il vino iniziò a prendere sapori sempre più interessanti e sempre più adatti al palato moderno. Fu solo nel 2013 quando l’UNESCO riconobbe Patrimonio Intangibile dell’Umanità la Vinificazione in orci (Qvevri) in Georgia che ebbero il consenso e le autorizzazioni necessarie per poter produrre il primo vino vinificato alla maniera etrusca. Un metodo, quello ideato da Francesco, che abbiamo ripercorso insieme a lui con lentezza, passo dopo passo, camminando tra i meravigliosi ulivi (da cui ricava un olio straordinario), i suoi preziosi vitigni e numerosi alberi da frutto.
“Si parte dalla raccolta a mano dell’uva. Qui abbiamo sangiovese, canaiolo, ciliegiolo, albana e trebbiano e malvasia per un totale di mille viti. Tutto avviene in modo naturale. Quando occorre fare delle potature passo ‘ferita dopo ferita’ a mano con il pennello il ramato affinché si cicatrizzino e non rimanga spazio all’acqua e ai batteri di infilarsi e creare danni alla pianta. Per me la cosa più importante è che la natura possa esprimersi e andare avanti da sola. Quello che posso darle è un supporto senza essere invasivo”. Il mosto viene fatto fermentare naturalmente, con i soli lieviti indigeni, dentro a degli orci costruiti da artigiani locali seguendo il modello etrusco e coibentati internamente con cera – prodotta dalle sue arnie – resina e altri componenti naturali. Da questo prodotto base nasceranno in seguito sette tipologie di etichette, tra cui quelle realizzate secondo il metodo etrusco.
“Il vino viene quindi spostato nella “Collina degli orci”, un piccolo promontorio adiacente ai vigneti, dove riposerà all’interno di buche profonde tre metri per uno, due o cinque anni. È poi quindi fondamentale svinare e imbottigliare a seconda del momento lunare più propizio per poi lasciarlo riposare ulteriormente in cantina”.
Gli occhi di Francesco si illuminano quando ci spostiamo in questo luogo dove avviene l’ultima fase di produzione. Qui conserva anche i vari premi ricevuti in questi anni, a tratti molto duri. Nel 2015 riuscì a registrare il Metodo Mondini e, dopo tanta diffidenza da parte del settore verso il suo lavoro, nel 2019 ricevette un riconoscimento ufficiale dall’Unesco, vincendo il primo premio del concorso nazionale e internazionale La fabbrica nel paesaggio con la seguente motivazione: “Per la tutela e il miglioramento del paesaggio naturale e culturale, nel rispetto delle vocazioni territoriali, avendo garantito un’alta qualità estetica dell’intervento e dimostrando la capacità di costruire in modo colto e al tempo stesso produttivo il proprio luogo di lavoro. Grande attenzione è riservata inoltre all’equilibrio dell’ecosistema tradotto in un paesaggio al tempo stesso poetico e ricco di memoria”. Inoltre, iniziò un’intensa collaborazione con la facoltà di archeologia dell’Università di Siena e di Pisa che ad oggi si estende anche all’Università della Spagna per continuare anche a livello internazionale la ricerca.
Mentre continua il racconto tra un assaggio di corbezzoli, kiwi, cachi vaniglia e una serie di altri deliziosi frutti la cui biodiversità è talmente ricca da divenire casa per tanti animali selvatici del territorio, il Sole sta per tramontare e, piena di bellezza negli occhi, con la mente inizio a vagare e a immaginare come potrebbe essere stata la vita qui per il popolo etrusco. Francesco mi viene in aiuto come se mi avesse letto nel pensiero: “Erano rivoluzionari. Gli schiavi non venivano né chiamati né considerati come tali ed erano anzi trattati quasi al pari di tutti gli altri cittadini e cittadine. Questo valeva anche per la donna. Andava a cavallo, poteva votare e persino dare il cognome ai figli. Faceva quindi parte della vita cittadina. Inoltre, vivevano in armonia con la natura poiché verso di essa nutrivano un profondo rispetto e consapevolezza di esserne parte. Adesso siamo andati avanti con la tecnologia, ma abbiamo perso la capacità di conoscere e dialogare con ciò che ci circonda. Se chiedi, ad esempio, a una persona dov’è la stella polare non lo sa. Con gli Etruschi purtroppo è morto un modello di società esemplare che ancora ai giorni nostri fa fatica ad affermarsi. Dobbiamo ritornare alle nostre origini e il mio progetto va proprio in questa direzione”.
Francesco ti sorprende. La natura gli ha mostrato anche il suo lato più cruento (come uno shock anafilattico da puntura di diciotto api delle sue arnie), ma non c’è freno nel suo desiderio di continuare a preservarla, a conoscerla, ad amarla. Ed è proprio questa grande sensibilità che gli ha permesso di dare vita a un vino così speciale. Roastbeef con erbette aromatiche e burro, scottato su fiamma, pecorino fresco, tutto del contadino, vengono serviti su una tavola accogliente dove le sue bottiglie, spesse e scure, svettano. Il sapore del vino Etrusco è spiazzante, ma è nel continuare a esplorarlo che si accede a una maggiore sorpresa. Più aria prende più inizia a svelare diverse e curiose qualità fino a quando ti accorgi che la bottiglia è finita, risultato collettivo, la lucidità ancora sorprendente e il sapore indimenticabile come l’accoglienza di Francesco e la meraviglia di questo luogo.
Etruscany Wine
Loc. Antria, 32/C
52100 Arezzo (AR)
Tel: +39 347 775 5822
www.etruscanywine.it
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