Testo di Sara Porro
Foto cortesia di Park Hyatt
È esistita un’epoca in cui il concetto di ristorante di grande albergo era perfettamente codificato: servizio professionale e sollecito, tovaglie lunghe fino a terra, carta dei vini “profonda” (come si suol dire con vezzo da enofili) menu di ispirazione francese con concessioni internazionali. Ma in Italia non amiamo cenare al ristorante d’albergo e i nostri grandi alberghi hanno faticato a ospitare ristoranti all’altezza. Negli ultimi anni è parso che il vento stesse cambiando e grandi catene di alberghi di lusso – l’apripista fu Mandarin Oriental – hanno preso a reclutare chef molto noti, che portavano lustro all’insegna con le loro stelle Michelin.
Adesso, segnali di riflusso della marea: l’esempio più eclatante è stato quando il nuovo e lussuosissimo Portrait Milano, parte della Lungarno Collection, ha cancellato lo scorso anno i piani di apertura di ristorante gourmet, portando all’addio dello chef Alberto Quadrio; preferendo per la ristorazione un semplice bistrot, in aggiunta al format internazionale di steakhouse di lusso Beefbar. Sempre a Milano, il favoloso Park Hyatt – fresco di celebrazioni per i vent’anni dell’albergo – ha invece intrapreso una strada con degli elementi di originalità: un nuovo ristorante di lusso, ma discreto.
Park Hyatt ospitava fino a tre anni fa Andrea Aprea con il Vun, due stelle Michelin. Uscito lui – verso l’ultimo piano della Fondazione Rovati, con il ristorante che porta il suo nome – l’hotel ha deciso di non puntare su un altro chef celebre e anzi di cambiare anche il nome del ristorante: che è diventato Pellico3, cioè il civico da cui si accede direttamente al ristorante (stessa scelta di Mandarin Oriental, che ha un ingresso dedicato al ristorante Seta, per evitare l’effetto “ristorante d’albergo”). La scelta è ricaduta su Guido Paternollo, classe 1991, giovane già in senso strettamente anagrafico ma in particolare per la sua singolare carriera: Paternollo è laureato in ingegneria e il suo primo lavoro è stato in Ducati. Solo successivamente ha deciso per un radicale cambio di vita: il suo ingresso in una cucina professionale è stato a 24 anni, età quasi geriatrica per questo mestiere, al Mudec da Enrico Bartolini (sarà proprio quest’ultimo a fare il suo nome al Park Hyatt). A questa prima esperienza professionale segue molta Francia: nel 2017 da Marc Veyrat a La Maison des Bois in Alta Savoia; poi da Yannick Alléno al Pavillon Ledoyen a Parigi dove accetta una retrocessione a commis. Alléno gli trasmette l’amore per le salse e un approccio libero agli abbinamenti tra ingredienti: resta in cucina per due anni, fino al 2019, per poi arrivare al Plaza Athénée di Alain Ducasse, dove approfondisce il lavoro sulle verdure e l’elemento vegetale.
Molti maestri, dunque, eppure – come spesso capita agli chef arrivati alla cucina già adulti – Paternollo interpreta con grande personalità il suo ruolo di cuoco (preferisce questo termine a “chef”, che gli pare indicare un ruolo all’interno di una gerarchia, e non la persona che cucina). All’interno del perimetro – formale, ma anche sostanziale: non tutti gli ospiti sono lì per un’esperienza gourmet – di un grande ristorante d’albergo, Paternollo si muove con un’irrequietezza dosata, che rinvigorisce l’impostazione francese e classica. Ne risultano piatti di grande bellezza, artistici nella presentazione e molto concentrati nel gusto: esatti, nel senso della precisione; ma anche nel senso del participio passato del verbo “esigere”.
Qualche esempio: tra i piatti firma di Paternollo ci sono il Risotto all’alloro, anguilla laccata, caviale siberiano, limone fermentato; lo Spaghetto, burro all’acciuga affumicato, ricci di mare e finocchietto; e il Tortello, ricotta di pecora, ‘nduja, melograno. Si riconosce di fondo una partitura classica nell’opulenza, negli ingredienti pregiati, nella tecnica; ma la freschezza, in particolare, viene affidata a ingredienti originali e la lezione francese è molto bilanciata dal Mediterraneo (c’è anche lo zampino di Ducasse, ovvio); come nell’Astice blu, zucchine, millefoglie di fiori di zucca, tapenade di olive taggiasche.
Paternollo non è diventato cuoco facendo sua la rigidità del canone della struttura francese, ma piuttosto abbracciando la progettualità dell’ingegnere, il mestiere che doveva fare e che, a modo suo, fa ancora: crea piatti che – come ponti d’epoca romana – mantengono un perfetto equilibrio tra le forze cui sono sottoposti, mostrando nella vitalità e nelle altezze il peso mai eccessivo.
Pellico3
Via Silvio Pellico, 3
20121 Milano (MI)
Tel: +39 02 88211236
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