Testo di Claudia van den Berg Morelli
(English text below)
La storia ormai la conosciamo tutti. Tutto è iniziato quando, nel 2004, dodici chef hanno firmato un manifesto chiamato Nuova Cucina Nordica e hanno promesso di creare un nuovo modo di lavorare incentrato su purezza, stagionalità, etica, salute, sostenibilità e qualità. Queste parole chiave dicono tutto e sottolineano il fatto che non si trattava solo di cucinare con ingredienti locali e di focalizzarsi solo su ciò che avveniva a porte chiuse in cucina. Si guardava invece all’intero sistema alimentare e alla catena del valore alimentare, come vediamo chiaramente indicato nel decimo e ultimo punto del manifesto, che recita:
“Unire le forze con i rappresentanti dei consumatori, gli altri artigiani della cucina, l’agricoltura, la pesca, le industrie al dettaglio e all’ingrosso, i ricercatori, gli insegnanti, i politici e le autorità di questo progetto per il beneficio e il vantaggio di tutti nei Paesi nordici“.
Sono convinta che le parole “unire le forze” siano un elemento chiave di questo movimento che è riuscito a far conoscere la cucina nordica all’estero e, in particolare, a rendere la Danimarca una destinazione gastronomica di prim’ordine. Nonostante le critiche sulla realizzazione del manifesto, in cui alcune donne chef e consulenti che avevano contribuito al processo sono state escluse dalla firma finale del documento (al loro posto sono stati privilegiati chef uomini di spicco), ha dato il via a un significativo cambiamento trasformativo.
Un cambiamento trasformativo significa fare le cose in modo completamente diverso, non solo fare un po’ di più o un po’ di meno di quello che già avviene. Significa spazzare via un vecchio sistema e ricominciare con nuove regole, nuovi modi di lavorare e nuove norme sociali. Si tratta di rimodellare la cosiddetta “normalità” e coinvolgere diversi settori e strati della società. E quindi – come ha fatto la Danimarca? La forte influenza politica dei principali portavoce del manifesto, insieme a una chiara visione dei potenziali benefici (economici) di un settore turistico in crescita e all’appoggio di grandi aziende multinazionali sono alcuni dei fattori principali che hanno probabilmente contribuito a ottenere l’approvazione politica (e di nuovo, economica) necessaria per trasformare questo progetto in realtà. Nel 2005 il Nordic Council – un forum di cooperazione tra i Paesi nordici – ha inserito il New Nordic Food nell’agenda politica. Da allora, il sostegno ai processi bottom-up e all’innovazione nel settore dei servizi alimentari è stato una priorità per la cooperazione nordica.
In Danimarca, questo boom ha avuto un impatto su più livelli, il più evidente quello dell’enorme crescita del turismo legato alla vibrante scena gastronomica. L’aumento del numero di nuovi ristoranti e di menu raffinati, insieme al clamore suscitato dalle stelle Michelin e dai 50Best Restaurants, ha fatto sì che i locali di alto livello, in precedenza riservati agli ultraricchi, siano diventati luoghi di riferimento anche per i giovani viaggiatori buongustai. Parallelamente, Copenaghen ha attratto molti talenti internazionali ed è diventata un vivace polo di innovazione e sede di startup nell’ambito FoodTech. Il Kitchen Collective, ad esempio – situato nel dinamico Meatpacking District – è una casa di innovazione alimentare inclusiva, democratica ideata da Mia Maja Hansson. Gestisce un programma di incubazione e crea il terreno di prova perfetto per nuovi aspiranti imprenditori del settore alimentare, alcuni dei quali vengono dall’estero per sviluppare e testare i loro prodotti proprio nella capitale danese.
A un livello più sottile e profondo, il movimento nordico ha creato una nuova identità alimentare nazionale basata sulla sostenibilità e sulla buona salute, che continua a crescere e a rinascere. Claus Meyer – uno dei leader e creatori del manifesto, in modo nordico (diametralmente opposto alla gloria che il movimento d’avanguardia spagnolo di elBulli continua a cercare) – ha dichiarato che dobbiamo andare avanti e parlare meno della Nuova Cucina Nordica. Deve essere vista come la nuova normalità, non come una sorta di marchio di successo da conservare per 200-300 anni; è un veicolo che ha permesso di raggiungere un nuovo livello di coscienza.
Oggi il Nordic Council continua a plasmare il futuro dell’alimentazione attraverso un approccio olistico alla Food Policy. In tempi floridi è facile dimenticare l’importanza dell’alimentazione e delle politiche alimentari, ma guardando indietro al corso della storia umana, diventa evidente che le pratiche adottate in passato abbiano plasmato drammaticamente la civiltà umana. Oggi più che mai, il modo in cui produciamo e consumiamo cibo si intreccia con le complesse questioni del degrado ambientale, del cambiamento climatico, del benessere e della salute degli animali. È quindi l’ora per una seconda ondata di cambiamenti trasformativi.
In questo contesto, il governo danese ha recentemente pubblicato il primo piano d’azione nazionale in assoluto, basato sull’alimentazione vegetale, che include una strategia per aumentare il consumo di alimenti vegetali e incrementare la produzione di proteine vegetali nei prossimi anni, con la costituzione di un Fondo di oltre 90 milioni di euro. La concessione sosterrà progetti che aumenteranno l’interesse degli agricoltori e delle aziende a produrre più alimenti a base vegetale, non solo a beneficio dei danesi, ma anche all’estero (l’agricoltura danese rappresenta fino a un quinto delle esportazioni totali della Danimarca). Tuttavia, a differenza della prima rivoluzione del settore alimentare, nel contesto agricolo esistono importanti lobby, interessi e leggi che devono cambiare. Organizzazioni come Foodprint Nordic (un’associazione no-profit con sede a Copenaghen) si concentrano sulla promozione di questo cambiamento, costruendo nuove infrastrutture per cambiare il modo in cui il cibo viene coltivato e per garantire un suolo sano e alimenti rigenerativi in futuro. “Questa seconda trasformazione è più difficile della prima – spiega la sua fondatrice, Cindie Christiansen – la Danimarca è in gran parte agricola e sia la cultura che le strutture politiche degli agricoltori risalgono a molto tempo fa”. La cooperazione – il famoso “unire le forze” di cui si parlava già all’inizio degli anni Duemila – sarà la chiave di questo cambiamento. “Se la Danimarca vuole essere protagonista in questo settore, dobbiamo garantire il coordinamento, la collaborazione, l’apprendimento reciproco e le politiche alimentari integrate”, afferma Marin Lysák, coordinatrice di CLEVERFOOD, un’azione di sostegno al coordinamento finanziata dall’UE. “Per trasformare il sistema alimentare, è necessario un sostegno che vada oltre il periodo di finanziamento di ciascun progetto, in modo da garantire che non si estinguano al termine del finanziamento, arrestando la trasformazione tanto necessaria del nostro sistema alimentare”.
Ritengo che Cindie Christiansen e Marin Lysák parlino a nome del settore in generale quando affermano che è giunto il momento di aggiornare il Manifesto per creare nuove linee guida per la gastronomia del futuro. Dopo quasi vent’anni, è ora di affrontare i temi dell’ambiente di lavoro, della parità di genere e della sostenibilità sociale nel mondo del cibo. Seguiremo con curiosità come la Danimarca assumerà la guida nel plasmare i prossimi decenni dei nostri sistemi alimentari europei, verso un futuro più sostenibile, resiliente, sano e paritario.
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ENGLISH
Denmark leading the next transformative change in the food system
Text by Claudia van den Berg Morelli
We all know the story by now. It all started when twelve chefs signed a manifesto called the New Nordic Cuisine in 2004 and vowed to create a new way of working which focused on purity, seasonality, ethics, health, sustainability, and quality. These key words say it all, and underline the fact that it’s not just about the local ingredients and what happens behind closed doors in the kitchen. It looks at the whole food system and food value chain as clearly stated in the tenth and final point of the manifesto – it goes:
“To join forces with consumer representatives, other cooking craftsmen, agriculture, fishing food, retail and wholesale industries, researchers, teachers, politicians and authorities of this project for the benefit and advantage of everyone in the Nordic countries”.
I’ve come to believe that the words “join forces” are a key element of this movement which has managed to put Nordic Cuisine on the map, and more specifically has made Denmark a top gastronomic destination. Despite the controversy on the making of the manifesto, where a number of female chefs and consultants who took part in the process were ultimately excluded from the signing of the manifesto (instead high-profile male chefs were prioritized), it kickstarted a significant transformative change.
Transformative change means doing things differently, not just a little more or less than what is already happening. It means sweeping away an old system and kickstarting new rules, ways of working and social norms. It’s about reshaping the so-called “normal” and must involve many different industries and layers of society. So how did Denmark achieve this? A strong political influence of the key spokespeople of the manifesto, together with a clear vision of the potential (economic) benefits of a growing tourism sector and the endorsement by large multinational companies likely helped gain the political (and again, economic) endorsement that was needed to turn this into a reality. In 2005 the Nordic Council – a forum of cooperation between Nordic countries – took over the baton and put the New Nordic Food on the political agenda. Since then, support for bottom-up processes and innovation in the food-service sector has been a priority for Nordic cooperation.
In Denmark, this boom has had a multi-layered impact, the most obvious one being the huge growth in tourism related to the bustling food scene. The rise in number of new restaurants and fine dining menus, together with the hype around Michelin Stars and 50Best Restaurants, has made it so that the previously high-end places reserved for the ultra-wealthy have become go-to places even for the younger foodie traveller. In parallel, Copenhagen has attracted a lot of international talent and become a vibrant innovation hub and the home to FoodTech startups. The Kitchen Collective, for example, situated in the buzzing Meatpacking District, is an inclusive, democratic, and agenda-setting food innovation house, founded by Mia Maja Hansson. It runs an incubator programme and creates the perfect testing ground for new and aspiring food entrepreneurs, some of which come from abroad to purposefully develop and test their products in the Danish capital.
On a more subtle and deeper level, the Nordic movement created a new national food identity based on sustainability and good health, which continues to grow and revive itself. Claus Meyer – one of the leaders and creators of the manifesto, in a Nordic fashion (diametrically opposed to the glory that Spanish vanguard movement of El Bulli continues to seek) – stated that we need to move on and talk less about the New Nordic Cuisine. It needs to be seen as the new normal, not as a sort of successful brand to preserve for 200-300 years; it is a vehicle that has allowed to reach a new level of consciousness.
The Nordic Council today continues to shape the future of food through a holistic approach to food policy. In prosperous times it’s easy to forget the importance of food and food policy, but looking back at the course of human history it has dramatically shaped human civilisation. Today more than ever, the way we produce and consume food is intertwined with complex issues of environmental degradation, climate change, animal welfare and health. It’s high time for a second wave of transformative change.
In this context, the Danish government recently published the first ever national plant-based action plan with its strategy on how they can transition towards a richer plant-based food diet and boost plant-protein production in the next years, including a Fund for plant-based foods of over 90 million euros. The fund will support projects that will increase the farmers’ and companies’ interests in producing more plant-based foods, not only for the benefit of Danes, but also abroad (Danish agriculture accounts for up to one fifth of Denmark’s total exports). However, unlike the first revolution of the food sector, in the farming context there are important lobbies, interests and laws in place that need to change. Organisations such as Foodprint Nordic (a purpose driven not-for-profit based in Copenhagen) are focused on fostering this change by building new infrastructures to change the way food is grown and to secure healthy soil and regenerative food in the future. “This second transformation is trickier than the first” – explains its founder, Cindie Christiansen – “Denmark is largely agricultural, and both the culture and the political structures of farmers go way back”. Cooperation – the famous “join forces” which was already mentioned in the early 2000s – will be key for this change to happen. “If Denmark is going to be on the map as a leading player in this space, we need to ensure coordination, collaboration, mutual learning and integrated food policies”, says Marin Lysák, co-coordinator of CLEVERFOOD, an EU-funded coordination support action. “In order to transform the food system, support is needed beyond the funding period of each; to ensure projects do not die out when the funding ends, halting the much needed transformation in our food system”.
Finally, I feel that both Cindie Christiansen and Marin Lysák speak for the industry at large when they say that the time has come to update the Manifesto to create new guidelines for future gastronomy. After almost twenty years, it’s time to tackle the topics of work environment, gender equality and social sustainability in the food world. I look forward to following ad learning how Denmark will take the lead in shaping the next decades of our European food system, towards a more sustainable, resilient, healthy, and equal future.