Testo e foto di Tania Mauri
Il frico è una ricetta originaria del Friuli preparata semplicemente con patate e Montasio, formaggio Dop di latte vaccino a pasta semi-dura di varie stagionature. Ci sono diversi modi di cucinarlo e la ricetta varia a seconda dei luoghi e delle vallate della zona alpina e prealpina del Friuli Venezia Giulia, più precisamente della Carnia, e della cucina friulana, ma è diffuso anche nella vicina Slovenia e in Carinzia, dove prende il nome di frika.
Fino alla fine dell’Ottocento il termine in uso di questo piatto aveva l’accento sull’ultima vocale: fricò. Tra la metà dell’Ottocento e soprattutto nel Novecento la lingua italiana ha contaminato il friulano parlato e, gradualmente, l’accento venne portato dalla “o” alla “i”.
Il frico è preparato con i formaggi d’alpeggio che racchiudono tutto il sapore dei pascoli e delle erbe di montagna, con il loro profumo aromatico, che si intensifica con l’aumentare della stagionatura. Dal gusto particolarmente deciso, sembra una frittata filante di patate ed è servito come antipasto o secondo piatto e può essere servito con lo speck, con le mele, la zucca, i pomodori o le erbe aromatiche, rosolato nel burro, nel lardo o nell’olio, arricchito con cipolla o porro tagliati finemente.
Tradizionalmente il frico croccante con la polenta fredda era il pasto tipico dei boscaioli, ideale per il lavoro duro nelle fredde montagne alpine, ed era preparato per consumare i ritagli di formaggio definiti “strissulis” che rimanevano in eccesso dopo la sagomatura delle forme. Oggi è possibile mangiarlo nei ristoranti, nelle sagre, in malga ma anche in posti inaspettati come il Bar Ai Sette Nani, un originale mini-baita con affaccio sui Laghi di Fusine.
A raccontarci come farlo, cuocerlo e mangiarlo è Stefano Vuerich, patron del ristoro: “La nostra è una ricetta tramandata dai nonni, precisamente dalla bisnonna, che viveva a Val Aupa, un paese vicino a Pontebba, ed è fatta solo con patate e formaggio. Guardando come lo facevano ho imparato in maniera autodidatta. Le patate crude vengono tagliate finissime, schiacciate e cotte pian piano nella pentola a cui aggiungiamo man mano il formaggio, esclusivamente Montasio, da quello più stagionato, 6 mesi, al più fresco, 3 mesi, fino al primo sale, che ha 20/30 giorni al massimo. Non c’è burro ma solo il “grasso” del formaggio che crea la peculiare cremosità mentre l’amido delle patate gialle, meglio se vecchie, aiutano a legare. Viene mescolato e cotto sul fuoco a legna, precisamente quello della cucina economica, perché così il calore sulla pentola rimane omogeneo, cosa che non accade con la fiamma del gas che ha una cottura non uniforme. Poi cotto così ha un sapore molto particolare. La cottura dura circa 30 minuti e viene fatta il giorno prima. Poi viene messo sottovuoto e scaldato per circa 60 secondi quando dobbiamo servirlo ai tavoli. È un piatto pesante ed è adatto all’inverno, ma noi lo facciamo tutto l’anno. È molto saporito, ha una crosticina croccante molto gustosa e noi lo abbiniamo a una polenta fatta con farina di Gemona, grezza, che al palato rimane ruvida”.
Questo “bar”, che fa anche panini e piatti tipici, è gestito da Stefano da 9 anni. Nel 2022 ha intenzione di ristrutturarlo così da renderlo agibile anche d’inverno, quando qui sono sommersi dalla neve, ampliandolo, con 20 posti a sedere al chiuso e una cucina vera e propria.
Ai Sette Nani
Fusine in Valromana (UD)
Via Laghi, 10