Libertà, gusto e divertimento nella Gastronomia Urbana di Perdomo, Press e Piras a Milano
Testo e foto di Lorenzo Sandano
“Sapere che c’è una via d’uscita ti aiuta a restare dentro.
Mi spiego? Altrimenti sarebbe la follia”
Il Capitano è fuori a pranzo e i marinai prendono il comando – Charles Bukowski
A volte – mi piazzo anche io in questo insieme – tendiamo ad arrovellarci sul valore dell’esperienza gastronomica di pregio. Sperticandoci a rincorrere l’unicità del luogo, il momento o il contesto più lussuoso per evadere dall’ovvio, godendo a tavola. Ci sta, per carità, ma rischiamo di lasciarci dietro la bellezza di quello stacco quotidiano dalla routine che (in diverse fatture) va incidere nel bene e nel male sulla vita di tutti. Ora, non sarò il primo a parlare di Exit – eclettica gastronomia urbana per buongustai di ogni appetito, stanziata con successo nel centro di Milano – ma più che mai durante l’ultima visita ho compreso il significato di questo poliedrico spazio. Una via d’uscita, ricamata sul bisogno individuale di ogni avventore, che distribuisce su ennemila livelli e fasce orarie il concetto più vicino alla felicità psicofisica. Sottovoce, ma tuonante. In un formato underground & mainstream che suona all’unisono su una scala enogastronomica senza limiti.
Alla regia di questo supersonico spazio, val la pena ribadirlo, troviamo mente, passione e know-how di una triade ristorativa d’eccezione: Matias Perdomo, Simon Press e Thomas Piras. Le tre colonne portanti del ristorante Contraste. Personalità che hanno da sempre reso concreta la tesi del “fare” in virtù del riempirsi la bocca di parole evanescenti. Essere invece che sembrare di essere, nel lavoro e nella vita. E infatti con Exit hanno fatto… Centro. Perché questo insolito proto-chiosco fine dining – aperto ininterrottamente dalle colazioni (dolci/salate) alla cena, passando per merenda e aperitivo – sintetizza brillantemente fattori inscindibili dalla gioia del ristoro quotidiano: convivio, accoglienza, libertà e divertimento. Che tu sia un uomo d’affari in disperata ricerca di riparo dal pressing giornaliero; un abitudinario aggrappato al rito della colazione come alla coperta di Linus; uno studente bramoso di aperitivi vertiginosi o un gastrofissato (come il sottoscritto) che vuole saccheggiare carta di vini (di assoluto spessore) e vivande, senza il peso di vivere un ristorante pettinato. Exit è la porta da spingere con veemenza, per accedere alla soluzione evasiva a portata di (quasi) tutto.
Come ulteriore motore propulsivo e apparentemente inesauribile – alle spalle del fotonico trio sopraccitato – troviamo Stefano Scaroni: imprenditore gourmand, iperattivo in diversi campi e settori, che si distingue per l’umiltà inversamente proporzionale al suo potenziale. Ma soprattutto per un cuore grande, un istinto passionale e uno spirito avveniristico rivolto al mondo della ristorazione. Merito anche suo, se si è portata a termine la folle/lucida impresa di rilevare un baretto di quartiere, abbandonato in una piazza a due passi dal Duomo, per elevarlo a quel fulcro virtuoso e scoppiettante che è oggi Exit. Tra le suggestioni c’era quella appunto di uscire dai ritmi caotici della giornata senza paletti di orari o di scelta mangereccia, ma al tempo stesso senza perdere quell’energia adrenalinica che spesso solo il caos riesce a conferire. Caos che qui, diviene ordine da decifrare in scioltezza: tramite un team affiatato, agile e coeso in ogni applicazione del progetto. Dall’accoglienza di Valeria Lorusso e Samuele Brambilla in sala; alla gestione di cantina e bar affidata rispettivamente a Marcello De Candia e Onofrio Viscione. Ai fuochi, un altro figlio predestinato di quell’istinto caotico e ponderato che segna l’identità del locale. Ovvero Claudio Rovai: cuoco lucchese da passaporto, ma cosmopolita nell’animo. Dopo un periodo a stretto contatto con Perdomo al Contraste, in procinto di partire per l’Australia, viene placcato con la proposta di gestire quella che agli esordi doveva essere una cucina da gastronomia fredda. Eggià, perché oltre all’evidente problema fisico/gestionale di un locale posto nel centro di una piazza – che espone costantemente da ogni lato e sotto gli occhi di tutti il moto operativo e gli eventuali deficit di una squadra – inizialmente vi erano anche dei limiti burocratici sulle possibilità di portare calore nella microscopica cucina.
Rovai però, si capisce all’istante, è forse poco loquace ma dritto e determinato ai fornelli. Arrivati i permessi necessari, ci ha preso gusto: confezionando una linea di piatti snella, godibile e perfettamente centrata con la filosofia del locale. Su supervisione non invadente di Matias (che assaggia e monitora ogni menu, ma gli lascia carta bianca nello sviluppo delle portate), Claudio compone esercizi dove la parola chiave è godere. Ma il sottotitolo contempla grandi basi tecniche; studio avanzato su contrappunti, contaminazioni e abbinamenti moderni; intensità minimalista condensata con classe su massimo 3/4 ingredienti. In fibrillazione palatale, da passaggi materici e di bontà struggente come il Pane burro e alici o la Terrina di foie gras homemade (comme il faut); basculando senza elucubrazioni ingombranti al corroborante ed evoluto Crudo di ricciola affumicata, con carote e finocchio in agro in consommé di iberico.
Una lucente e sontuosa Animella glassata con zucca e amaretti da ululati di piacere; l’Anatra cotta magistralmente, con crema bruciata di royale di fegato all’arancia (guardando al contemporaneo, ma pensando classico); un conturbante Maialino al caffè con, capperi e cavolfiore affumicato dalla grintosa cadenza amara/sapida/dolce/fumè (da aggiungere); o ancora una futuristica lettura del Riso giallo alla milanese, con stinco e crema allo zafferano in grado di ammutolire tradizionalisti di ogni ceto o età. Ma l’apice si tocca solleticando le radici toscane dello chef, perché la sua Trippa di vitello simil-fiorentina, è da sincera e brutale commozione gustativa. Prima dei dolci, la sferzata umami (dolce/acido/sapido) di Pomodoro, passion fruit e acciughe resetta il palato, riportando appetito in uno schiocco di mascella. Per poi approdare con il medesimo entusiasmo famelico dello start, su una tonificante Pera al vino tutta da scoprire e su un ennesimo, frizzante cenno di toscanità come Cantucci, uva e vin santo.
Nel mentre – accuditi simbolicamente dalle pareti con ampie vetrate – vi renderete conto che dall’ora di aperitivo siete approdati al dopocena senza capacitarvene affatto. E guardandovi intorno, potreste essere in qualsiasi parte del globo, oltre a Milano naturalmente. Non è becero illusionismo o condizionamento forzato. Piuttosto lavoro sodo, condiviso e trasmesso alla grande, da un team che offre una via d’uscita per rimanere dentro voi stessi. E non vale poco, ve lo assicuro. A ribadirne il successo, oltre l’evidente folla di aficionados, troviamo già in cantiere una replica di questo format, in programma sempre a Milano nel 2020. Il tema questa volta sarà la pasta, perché come suggerisce fermamente Matias: “È l’alimento più importante, delicato, evocativo per gli italiani. Ma anche capace di sottrarre maggior tempo ed energia a qualsiasi cuoco in servizio. Dopo anni a vivere il conflitto di come distruggerne la forma, per riplasmarla senza danneggiare me e il suo significato, ora voglio concederle un contenitore a sé”. Se l’evasione urbana di Exit era già propensa al divertimento, una ricca dose di carboidrati e zuccheri complessi non può che suggerire allegria sin dal principio. Aspettiamo trepidanti, consapevoli che sarà una nuova radiosa via d’uscita per ritrovarsi. A tavola.
EXIT gastronomia urbana
Piazza Erculea, 2
20122 Milano (MI)
Tel: +39 02 3599 9080
www.exit-milano.com