Illustrazioni di Carla van den Berg
We’ve asked a couple of Economists that we know from different countries to tell us their view on the European Union.
Testo di Ilaria Mazzarella
“Europe will not be made all at once, or according to a single plan. It will be built through concrete achievement which first create a de facto solidarity”.
Shuman, 1950
Un progetto ambizioso
Sono trascorsi più di sessantatré anni da quel fatidico 25 marzo 1957, quando i Capi di Governo di Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda e Lussemburgo apposero la firma sui Trattati di Roma, dando vita alla Comunità Economica Europea e avviando un lungo percorso di integrazione economica e politica che avrebbe portato alla nascita dell’Unione Europea con la firma dei Trattati di Maastricht nel 1992.
Ispirati dal sogno di un pacifico futuro condiviso, i membri fondatori dell’UE si sono imbarcati in un viaggio ambizioso di integrazione, accettando così di risolvere i conflitti irrisolti attorno a un tavolo piuttosto che nei campi di battaglia. Il passato travagliato che ha contraddistinto la prima metà del XX secolo con le due Guerre Mondiali ha lasciato il posto al più lungo periodo di pace che si ricordi in Europa Occidentale: 500 milioni di cittadini hanno potuto godere di un clima di stabilità in regime di democrazia in una delle aree economiche più prospere del mondo. Le immagini delle battaglie combattute nelle trincee e dei campi a Verdun, o del continente separato dalla cortina di ferro del Muro di Berlino, sono stati sostituiti da un’istituzione comune, un faro di pace e stabilità.
Per generazioni, l’Europa ha infatti rappresentato il futuro. È stata il luogo in cui i cittadini godono di una straordinaria diversità di culture, idee e tradizioni in un’area che copre quattro milioni di chilometri quadrati. Un’unica grande comunità fondata sullo Stato di Diritto, contraddistinta dal principio di dignità umana inviolabile come base dei diritti fondamentali, uguaglianza tra cittadini di fronte alla Legge e democrazia rappresentativa. Dove gli Europei possono viaggiare, studiare e lavorare attraversando i confini nazionali senza cambiare valuta o fermarsi alla dogana. Dove esiste il mercato unico più grande del mondo e la seconda valuta più utilizzata. Dove risiede una delle maggiori potenze commerciali, donatrice di aiuti umanitari per lo sviluppo internazionale. Quella Unione Europea che ha ricevuto il premio Nobel per la pace 2012 per aver “contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace”.
UE, limiti e lacune
Si dice che nella vita si possono fare tante cose buone, ma poi si viene giudicati sempre per quella unica cattiva. Non è forse questo il triste destino che ha caratterizzato gli ultimi anni dell’Unione Europea? La memoria di alcuni è assai corta. E conseguentemente sono stati sollevati molti dubbi. È un’istituzione troppo distante e poco rappresentativa dei singoli? Con la nascita dell’appellativo PIIGS – romanzato magnificamente nella recentissima serie Diavoli con Alessandro Borghi e Patrick Dempsey – si è creata una frattura indelebile tra alcuni degli Stati membri? E che fine ha fatto la nostra sovranità nazionale? Cosa sarebbe cambiato se non fossimo mai entrati nell’UE? Spinta da un sentimento populista che ha preso sempre più piede, serpeggia una non troppo convinta, ma sempre più insistente, proposta di ItalExit. L’opinione pubblica nazionale scettica e disillusa – quando non apertamente ostile – aizza gli animi tuonando: non sarebbe meglio tornare alla Vecchia Lira? Quando il progetto è ambizioso è facile deludere le aspettative. È quasi matematico non riuscire ad accontentare tutti. E forse è vero che l’UE non è stata sempre all’altezza del suo ruolo. Ma è pur vero che noi, noi Italiani dico, da soli, di certo non potremmo andare molto lontano senza affondare nella nostra già compromessa situazione economica.
Perché è pericoloso pensare di uscire dall’Europa?
Immediati gli effetti sulla bilancia commerciale: con una moneta nazionale svalutata, aumenterebbero le esportazioni e sarebbero meno convenienti le importazioni (c.d. svalutazione competitiva). Ma non è una buona notizia: nell’era della post-globalizzazione l’economia non è più incentrata sulla sola vendita di prodotti finiti (c.d. modello della Global Value Chains). È vero che l’addio all’euro allenterebbe i vincoli di bilancio con la UE, accusati di frenare il potenziale di investimento del paese. Ma il paese dovrebbe comunque attingere a capitali in arrivo dai mercati finanziari, che nutrirebbero un elevato scetticismo e ciò aumenterebbe la difficoltà di rifinanziamento del debito. Oltretutto, da quando è stata costituita l’UE, lo scenario internazionale ha subìto diversi cambiamenti e nemmeno il più ricco dei Paesi europei (la Germania, per capirci) sarebbe oggi in grado da solo di muoversi con autorevolezza sullo scenario internazionale e confrontarsi alla pari con le grandi potenze globali, Stati Uniti e Cina in primis. Come potrebbe gestire poi fenomeni complessi come la lotta al cambiamento climatico, il terrorismo internazionale, la cyber-security o il rapporto con i giganti del web? Figuriamoci una media potenza come l’Italia. Oltretutto il nazionalismo non regolato da istanze sopranazionali, historia magistra vitae, è molto pericoloso e può produrre danni incalcolabili.
Crisi di fiducia dell’Unione Europea
Il referendum del giugno 2016, che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, è la più evidente manifestazione dei dubbi che avvolgono il destino dell’Europa. La mancanza di fiducia del progetto europeo è da imputare principalmente a due fattori: da una parte il ricambio generazionale – coloro che non hanno vissuto in prima persona i benefici della costituzione dell’UE – e dall’altro gli eventi che hanno caratterizzato l’ultimo decennio, periodo particolarmente difficile e turbolento: crisi finanziaria globale culminata nel 2008, che ha scatenato, a sua volta, crisi del debito sovrano; fragilità politica, nel momento in cui sono state messe in dubbio la capacità di agire dell’Europa unita e la sua reputazione e sono emerse divergenze interne sempre più difficili da sanare.
Ed è così che crisi economica, alto tasso di disoccupazione, impoverimento della classe media, a cui si aggiungono oltre alla Brexit, il terrorismo internazionale, l’emergenza umanitaria dei migranti che si riversano sulle coste dei Paesi meridionali dell’Unione (Italia, Grecia, Spagna) e, in ultimo, per non farci mancare niente, la pandemia da Covid-19, hanno generato una crisi di fiducia nei confronti delle Istituzioni europee da parte dei cittadini. È logico dedurre che la mancata fiducia nell’UE è anche il risultato di campagne politiche (elettorali?) martellanti che hanno spesso reso l’Europa un comodo capro espiatorio, trovando più agevole in termini di consensi scaricare le responsabilità dell’inadeguatezza dei governi di fronte alle complessità dei nuovi e molteplici fenomeni legati alla globalizzazione.
Minacce alla stabilità dell’Europa
È importante ricomporre le debolezze strutturali dell’area Euro perché il contesto geopolitico a cui far fronte ha tutto da guadagnare dall’indebolimento dell’Europa: una Cina sempre più risoluta, la politica aggressiva della Russia, l’Islam radicale che in Medio Oriente e in Africa svolge un ruolo importante e le prese di posizione dell’amministrazione americana sono tutti elementi che riempiono il nostro futuro di incognite. E tutto ciò mentre internamente si stanno combattendo sentimenti nazionalisti e xenofobi.
Uno dei miei discorsi preferiti in assoluto lo ha pronunciato Mario Draghi al Global Investment Conference di Londra nel 2012, allora Presidente della BCE: “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”. Whatever it takes, dovremmo ricordarcene più spesso.
È inevitabile riconoscere che l’Europa – competitiva, unita, resiliente – non solo ci conviene, ma anche che è proprio all’interno di una dimensione europea che potremo difendere meglio i nostri interessi nazionali. Tornare a vedere la dimensione europea come una straordinaria opportunità piuttosto che una matassa di vincoli, un moltiplicatore piuttosto che un sottraendo della nostra sovranità. Come recitava il presidente Donald Tusk ai 27 leader dell’UE sul futuro dell’Unione: “Uniti si vince, divisi si perde”.
Fonti: White Paper, CeSPI, ilSole24Ore
Words by Chelsea van Hooven
To me, Europe has always represented unity while retaining the unique heart of its member countries. I grew up in the 90’s going to school in Germany and traveling throughout Europe with my family and my formative years showed me not only how beautiful Europe is but also taught me so much about different cultures. Even though each country is so rich in its own culture, over the past decade, we have seen that through rapid globalization, countries have integrated and been more accepting of their diverse landscape of habitats and this is richly represented in the gastronomy world.
The importance of a strong Europe has never been greater than in this time of the coronavirus pandemic. On the negative side, we have seen in the past in Europe how populism advances toxic new xenophobia, one that threatens to fracture our societies. With the onset of the Coronavirus pandemic, trust in governments has diminished The virus is a big setback for borderless travel, which offers populists another opportunity to underline the importance of national border controls. This threatens the whole of Europe: those who take advantage of people’s anger through false claims promise everything possible and its opposite.
From an economical standpoint, the virus has been a great shock. Coronavirus hit us and within a few days, the social-economic damage presented itself. Consumers have been forced to put the focus on price instead of the quality of goods. Europe weaknesses in global trade structures have not only become painfully visible in the medical field but also in the global food markets and the whole industry is in turbulent times.
Trade restrictions are causing havoc in supply chains and seasonal harvest workers are scant in Germany, Spain, Italy, and France causing produce being unharvested and much-needed food left to rot in fields. This has exposed too many who were previously unaware as to how fragile the business of getting food from farm to table is. A supply that relies primarily on regional economic cycles, worldwide, would make regions more resilient in crises. Local added value would strengthen local small and medium-sized agricultural holdings. This pandemic is clearly showing us that our current food system as we know it results to a great degree in the exploitation of workers and of itself nature, The pandemic is also giving us the opportunity to consider this closely and make the needed changes.
I believe that if we let go of our fears and protectionist approach and go back to our core values of the EU, we can come out of this pandemic stronger and more united. To achieve this, there must be a genuine program wherein all EU Member States are involved. There must be a large-scale investment in the future NOW. We need to focus on topics such as climate change, technological sovereignty, strong accessible health, and social systems, as this will be vital in the future. Let’s unite and strive for a digital and green future with far greater equality in Europe, as the pandemic has demonstrated to us just how fragile and unequal societies can be.