Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Compagnia dei Caraibi
Alessandro Salvano fa il lavoro più bello del mondo: a 26 anni infatti è il Wine Hunter (e incidentalmente anche il Sales Wine Manager) di Compagnia dei Caraibi, società leader per le importazioni di spirits. Origini piemontesi, nonni “che si spaccavano la schiena per fare il vino”, Alessandro è il selezionatore delle referenze di Elemento Indigeno, catalogo internazionale di vini offerto per ora solo in versione B2B. Per avvalorare la ricchezza dell’offerta e l’originalità delle scelte, nel corso di una serata presso il The Doping Bar di Milano – posto all’interno dell’Aethos Hotel – Salvano ha proposto un’esperienza di degustazione alla cieca di 8 etichette accomunate da produzioni limitate per quantità (il cileno di Clos Santa ana viene prodotto in sole 8000 bottiglie, di cui 600 comprate da Salvano) ma eccellenti per qualità.
Tra le proposte dell’eclettico catalogo, che comprende 27 paesi, 74 produttori (e oltre 330 etichette) Salvano ha offerto all’assaggio 3 rossi e 3 bianchi e tra questi ultimi, ha scelto un prodotto di Giorgi Natenadze. Si tratta di un produttore georgiano che, dopo aver ritrovato vitigni soffocati dalla foresta, vinifica lasciando macerare i grappoli in anfora con le bucce. Ne risulta una bevanda torbida e dell’aspetto vagamento orange in cui gli accenti agrumati si smorzano bevendo e il cui sapore che migliora a ogni sorso. A seguire, chi scrive ha provato un bianco accogliente della cantina giapponese Katsunuma e un californiano di Martha Stoumen Wines. Stupefacente il Metamorphika di Costador, in Catalogna, che oltrepassa i confini cromatici e tassonomici tra bianco e rosso spiccando per il colore ambrato e l’incredibile odore di peperone verde, legato alla microvinifazione in tonajas (anfore) con macerazioni a grappolo intero.
L’idea sottesa alla degustazione offerta, volutamente “sfidante”, è che sia possibile esplorare con la curiosità dei neofiti anche un mondo apparentemente noto come quello del vino. In questo senso The World is Wine non è solo il payoff del progetto di Elemento Indigeno, Bensì, una vera e propria dichiarazione d’intenti, un viatico a un’esplorazione sensoriale che tralasci preconcetti e aspettative. Il catalogo contiene etichette che spaziano dai 40 euro a bottiglia – del citato Katsunuma – ai 7 di un Malbec australiano, pure biologico, in un’ottica inclusiva che si prefigge di convertire le masse (di acquirenti) e uscire dai propri confini mentali.
L’originalità non comporta necessariamente l’eccentricità, per quanto alcune delle referenze si collochino in quella zona burocraticamente indefinita – e dunque a rischio di eterodossia anche gustativa – che è il vino naturale. Il punto di partenza di Elemento Indigeno, infatti, è l’idea che i nostri vini, come prima cosa, “siano piacevoli nel momento della degustazione, portare emozioni e stimolare pensieri e convivialità. In più ci siamo proposti di far conoscere vini che derivano da persone appassionate, quasi fanatiche della qualità” prosegue Salvano.
Che, proprio perché è sicuro delle bottiglie che ha vagliato, accenna alla possibilità, una volta che il catalogo troverà un suo sbocco nell’e-commerce, di riproporre a tutti gli acquirenti le mistery box già presentate a proprietari di ristoranti ed enoteche. Si tratta di una proposta in linea con la vocazione cosmopolita e insieme didattica di questa selezione del meglio da tutto il mondo: tuttavia, suona un po’ curioso che la proposta di una box arrivi a supportare un approccio al vino out of the box.