Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia di Contrada Govinda
È un ristorante con annesso panificio o un panificio con piatti da asporto? Contrada Govinda, locale che assomma i talenti di Davide Longoni (l’“antropologo” della neo–panificazione”) e Tommaso Melilli (chef e scrittore) è due cose in una, un laboratorio di cucina e di panificazione, in una logica inclusiva che si svolge attorno ai vegetali e che non propone alternative, tra piatti e pane, o tra verdure o carboidrati, ma le contempera simultaneamente.
La duplicità, la volontà di tenere insieme cose apparentemente distinte, balena già dal nome: Contrada, dall’antico nome di Via Valpetrosa, ovvero contrada dei Grifi, dove alloggia l’omonimo palazzo cinquecentesco che è sede del locale; e Govinda, uno dei nomi del divino Krishna, perché sotto alle sale riservate alla ristorazione alberga ancora un tempio del movimento Hare krishna. E dato che la comunità religiosa è rimasta la proprietaria degli spazi, la nuova avventura di Melilli – Longoni ha dovuto rispettarne i precetti dietetici: niente alcolici, no ad aglio e cipolla, no a cioccolato e caffè, no a tutte le proteine animali.
Raggiunti piccoli compromessi sul caffè e sui formaggi, la cucina si è orientata verso “una cucina vegetale complessa che guardasse a quella di altri popoli per le cotture e l’uso delle spezie” ci racconta Melilli. Le materie prime invece sono quasi tutte locali e pregiate; come la roveja, un legume simile al pisello di provenienza umbra, usato per la minestra al latte di cocco (eccezione alla regola: il latte di cocco è un prodotto biologico made in Thailandia); o come il broccoletto di Custoza – un Presìdio Slow Food – o la mela antica dell’Etna, usata in abbinamento con carciofi e cardo gobbo. La scommessa è duplice: da un lato non far sentire la mancanza di proteine animali e carboidrati (a parte il cestino del pane) che solitamente sono il pilastro del pasto italiano. Dall’altro, smussare la potenza delle spezie per adattarla al palato dei clienti odierni, per quanto, ricorda lo chef, nella cucina europea rinascimentale esse fossero ben presenti e il loro declino sia iniziato in seguito, in parallelo con la loro adozione da parte della nascente borghesia.
L’equilibrio del Sedano rapa al curry, una sorta di versione vegetariana del classico petto di pollo, è infatti sottile ed elegante; il Risolatte alla cannella con panettone senza uova è indistinguibile dalle versioni tradizionali. Capita poi che alcuni piatti del menu – come la Ribollita con fagioli dolcini che costano moltissimo, ma hanno una buccia peculiare che si mantiene in cottura – finiscano poi confezionati nei panifici a marchio Longoni, in un’economia circolare in cui il pane si è fatto piatto e le pietanze sono vendute insieme ai panificati.
La carta del ristorante cambia ogni mese e mezzo, a seconda della stagionalità e degli esperimenti che hanno convinto l’equipe multietnica che lavora in cucina: una georgiana, un venezuelano e un giapponese i quali, chiarisce lo chef, fanno proposte in autonomia come il Borsch di recente entrato in carta. I prezzi sono più elevati che nel bar (il menu degustazione costa 28 euro) ma non impegnativi come nell’alta ristorazione: l’obiettivo è di “sensibilizzare” chi lavora in una zona centralissima, presidiandola e facendo cultura del buon cibo in un luogo deputato agli scambi commerciali. In più, il talentuoso duo di promotori intende sostituire a pause pranzo veloci e con poca attenzione alla qualità soste altrettanto rapide ma che gratifichino il gusto, la salute e il senso estetico.
L’idea è coraggiosa e inedita, specie da parte di Longoni, i cui punti vendita di solito si situano in aree in ascesa per trainare e soddisfare il consumo consapevole della clientela “hipster”. Qui invece si tratta di sedurre un pubblico salutista ma frettoloso, catechizzandolo quasi a sua insaputa con prodotti e piatti rispettosi dell’ambiente, ma anche sfiziosi, in cui le verdure prendono posto al centro del pasto. Non è esclusa dal ragionamento la parte panificio: “in fondo anche il grano è un vegetale”, rimarca scherzosamente Longoni.
Per ora l’apertura serale di Contrada Govinda è riservata a eventi speciali, anche perché l’assenza di alcolici parrebbe limitare la socializzazione. Ma chi scrive spera che il progetto prosegua e ampli le fasce di apertura, magari differenziando i prezzi tra pranzo e cena. Non sappiamo se Contrada Govinda cambierà la percezione del centro di Milano, riscattandone l’immagine da Mecca del fast food o da tappa per turisti danarosi. Tuttavia, apprezziamo l’idea di una cucina pensata, che fa dei limiti uno stimolo alla creatività, e della salubrità e sostenibilità un presupposto per il gusto. Che poi è un po’ quello che predicano gli Hare krishna; ma qui il tutto è colorato di un accento più sensuale che spirituale.
Contrada Govinda
Via Valpetrosa 5
20123 Milano
Tel: +39 02-49542241
www.contradagovinda.com