Testo di Luca Martinelli
Foto cortesia di Slow Food Editore
Carlo Bogliotti me lo dice senza giri di parole: “È il libro che son più contento d’aver fatto da quando dirigo Slow Food Editore”. Sfogliare le 448 pagine dell’Atlante gastronomico dei Presìdi Slow Food aiuta senz’altro a capire il perché: il libro che racconta i 349 Presìdi del nostro Paese è un viaggio nelle meraviglie della biodiversità, è un itinerario inedito e non scritto che invita ad andare alla scoperta, è un continuo evocare geografie solo apparentemente marginali, quelle di minuscole valli alpine e di aree interne degli Appennini, un’Italia che vien voglia di conoscere e che – grazie a questo volume – appare per tutti a portata di mano.
Aprendo a caso due pagine dell’Atlante, è facile capire che ci troviamo di fronte al racconto di una rivoluzione di successo – iniziata nel 1996 quando nacque all’interno di Slow Food il progetto dell’Arca del Gusto – e all’idea di dover identificare, catalogare e, anche, tutelare la biodiversità che contribuisce al nostro cibo, per salvarla dall’estinzione.
Dopo un quarto di secolo, il “Presidio Slow Food” (i primi sono nati nel 2000) esiste anche sulla Treccani, che lo descrive come una “istituzione promossa dall’associazione internazionale Slow Food, a tutela della biodiversità alimentare, per sostenere piccole produzioni eccellenti che rischiano di scomparire, recuperare tecniche di lavorazione tradizionali, salvare dall’estinzione razze autoctone e antiche varietà di ortaggi e frutta”.
Questo mondo è descritto dall’Atlante in modo analitico: tutti i Presìdi italiani (in tutto il mondo sono oltre 600, ma questa è un’altra storia da raccontare) sono raccolti e descritti per l’appartenenza a 18 categorie (da “cereali e farine” a “vini e vitigni”, passando ovviamente per “latticini e formaggi”, protagonisti a Bra di Cheese, dal 17 al 20 settembre) e suddivisi per regione.
Leggendo l’Atlante, però, a me è partito il trip della fantasia: ho provato a immaginare tanti possibili modi di usarlo. Il primo gioco che mi è venuto in mente è quello di accompagnare al volume una mappa dell’Italia, per geolocalizzare i Presìdi, un poster da appendere in casa per identificare con una puntina tutti quei gusti e quei sapori di cui portiamo con noi il ricordo, nel naso e nel palato. Ma anche nell’udito, dato che ogni presidio è una persona.
Non ho potuto fare a meno di tornare in Puglia, quando in compagnia del professor Pietro Santamaria – responsabile del progetto BiodiverSO – andai a conoscere i contadini che conservavano il seme della carota di Polignano. Quindi in Friuli, tra le stanze dell’Ecomuseo delle acque del Gemonese dove ho assaggiato per la prima volta il Pan di Sorc, invitato a partecipare ad un incontro in cui si parlava di come salvare il paesaggio (agrario) dall’aggressione del cemento.
Poi in Irpinia, in quello scrigno che è la macelleria di Mario Carrabs, dove trovi i vasetti in conserva del Brocollo aprilatico di Paternopoli. Ma anche – ed è il ricordo più prossimo, di questo mese di agosto – sui Monti Sibillini, a comprare il Pecorino nel caseificio di Marco Scolastici, che mi aveva commosso con il suo libro “Una yurta sull’Appennino”, il racconto del suo inverno di neve dopo il terremoto del 2016, lassù intorno al Santuario di Macerato, un altipiano a oltre mille metri tra i Comuni di Ussita, Visso e Pieve Torina, in provincia di Macerata.
Un altro gioco possibile, è andare a ritroso nella memoria, partendo da quella più prossima: qual è l’ultimo ricordo, legato a un Presidio Slow Food? Facile, per me: è il Peperone Quadrato della Motta di Costigliole d’Asti (AT), uno degli ultimi nati nell’agosto del 2021, assaggiato direttamente a casa di Stefano Scavino, giovane contadino visionario che ha avuto un ruolo fondamentale nel recupero di questa tradizione agricola.
Sfogliare l’album dei Presìdi, poi, è un modo per tornare a casa: a Castelvecchio, in provincia di Pistoia, si coltiva il fagiolo di Sorana: passo l’estate a camminare in mezzo ai piccoli fazzoletti di terra dove anche alcuni tra i miei vicini di casa coltivano questo splendido fagiolo, piccolo e dalla buccia sottile, ne seguo l’evoluzione in campo. La settimana scorsa erano stesi davanti alle case, stavano terminando l’essiccazione al sole. In Lucchesia, dove sono nato, ho la fortuna di frequentare l’orto di Federico Martinelli, a Saltocchio: lì d’estate c’è il Pomodoro canestrino di Lucca, che da solo fa il pasto. Il Fagiolo rosso di Federico (“Nicobio”) o quello di Guido Favilla, invece, sono il regalo che scelgo per gli amici che vengono a trovarmi da tutta Italia. I più fortunati mangiano anche, d’inverno, la mia zuppa di farro alla garfagnina, rigorosamente cucinata col fagiolo rosso.
Questo libro è uno scrigno di ricordi ma è anche, è importante sottolinerarlo, estremamente vivo: le ultime ottanta pagine lo rendono imprescindibile per chi – oste, cuoco, chef – ambisca a portare la biodiversità e la qualità nel piatto. Per ogni Presidio c’è un elenco di tutti i produttori (contadini, trasformatori) coinvolti, con indirizzi mail e numeri di telefono a cui attingere per valorizzare la filiera corta Slow Food.
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