Intervista con lo chef svedese Martin Berg, direttore culinario del progetto
Testo di Sara Porro
Foto cortesia di Arket Cafè
Lo scorso luglio, il brand di design e lifestyle nordico ARKET – parte del gruppo svedese H&M – ha inaugurato il suo primo flagship store in Italia. Si trova a Milano, all’interno del The Medelan di Piazza Cordusio, dove – prima dell’imponente ristrutturazione, che ha portato qui dentro anche il ristorante Horto – si trovava la sede della banca Credito Italiano.
Al piano terra del negozio si trova anche un Arket Café: caffetteria che serve bevande e dolci di ispirazione nordica, ma anche un piccolo menu di proposte salate. Tutto è vegetariano, con una rappresentanza vegana solida. Il “direttore culinario” – l’head chef, in sostanza – è lo chef svedese Martin Berg, un passato alla guida di ristoranti stellati, che nel 2004 fu tra i primi firmatari del New Nordic Manifesto, il documento che contribuì a fondare l’approccio di cucina che ha segnato gli ultimi due decenni dell’alta gastronomia globale. Abbiamo incontrato Berg a Milano, in occasione dell’inaugurazione ufficiale del caffè, a un evento dedicato alla stampa e ai creator social.
Cos’è un Arket Café?
Esistono Arket Café in 17 paesi diversi – molta Europa, ma anche in Asia – e a grandi linee, il concept è sempre lo stesso: non cambiano i punti fermi di come lavoriamo, il rifornimento di ingredienti, la provenienza del caffè, che è sempre specialty biologico. Alcuni Arket Cafè hanno solo caffetteria e dolci, molto dipende dalla posizione e dalle dimensioni dello store. Ci riforniamo da produttori locali per le verdure fresche, ma per il resto il menu è lo stesso, con l’eccezione di alcune limited edition di pasticceria: a Goteborg e Stoccolma è molto popolare un caramel bun che non riusciamo a togliere dal menu.
Dov’è la produzione?
L’organizzazione è piuttosto complicata. Sarebbe facile avere 25 bar in una sola città, ma abbiamo 25 caffè in tutta Europa, uno a Parigi, uno a Milano, due a Londra… Quindi abbiamo escogitato un modo di lavorare che ci permette di produrre impasti crudi – come il pan di Spagna o le basi per i bun – che vengono surgelati prima di lievitare e poi spediti congelati: lievitazione e cottura avvengono in ciascun caffè. Lavoriamo così per due motivi: il primo, vogliamo essere molto specifici con gli ingredienti che utilizziamo: sono tutti biologici e provengono dalla Scandinavia e molti sono varietà antiche di cereali, frutta e verdura. Vogliamo ispirare altre aziende a usare ingredienti che siano buoni per il suolo, per la salute e per il pianeta. Secondo, riusciamo a evitare gli sprechi: invece di ordinare 40 cinnamon bun da una panetteria locale, venderne 10 e sprecarne 30, possiamo cuocere solo quelli di cui c’è effettiva richiesta.
Cosa si vende di più?
Il cappuccino.
Ovunque, non solo a Milano?
No, no (ride) Milano non è tra i posti dove vendiamo più cappuccini. Anche perché altrove la gente lo beve tutto il giorno…
E qui invece solo al mattino.
Esatto! Al secondo posto c’è il Cinnamon bun con i semi di zucca tostati e tritati sopra: è da sempre in menu e ne facciamo delle versioni nelle diverse stagioni: in estate lamponi, e ora mele e spezie, e poi dulce de leche…
E sul resto del menu?
Facciamo insalate, poi una specie di wrap svedese – fatto con pane nero tradizionale – panini e in inverno zuppe. L’insalata ha quasi sempre alla base una crema di piselli gialli, che produciamo in Svezia con ingredienti locali, che ricorda un hummus. Poi aggiungiamo legumi e poi una verdura stagionale: in questo menu si tratta di finocchi arrosto. Poi aggiungiamo insalata in foglie, pickles… è un’insalata piuttosto complessa, un pasto completo.
Qual è il processo di apertura di un Arket Café?
Dunque, a monte ci sono le decisioni generali dell’azienda: come, ad esempio, quella di entrare in un determinato mercato. Quando una sede è confermata, allora il team del Café entra nel processo: parla con chi, sul posto, costruirà lo store, perché molto spesso i nostri interlocutori hanno lavorato solo sull’apertura di negozi al dettaglio, e non conoscono ciò che serve per un café. E poi c’è uno studio di mercato: approfondiamo l’area in cui saremo collocati, quali sono i prezzi e cosa si vende, eccetera. Questo non ci influenza al punto da cambiare quello che facciamo, perché manteniamo l’integrità del nostro concetto. Però potremmo dire: “Okay, abbiamo bisogno di una comunicazione extra su questo”. Oppure, potremmo chiederci come parlare del nostro caffè in Italia.
Beh, probabilmente la caffetteria più popolare a Milano è proprio di fronte a noi, dall’altro lato di piazza Cordusio: Starbucks. Quindi anche quel muro è crollato.
Non del tutto. Ho parlato con un’altra caffetteria che serve specialty coffee: erano contenti che fossimo qui anche noi, per aiutare a spianare la strada. Il caffè specialty non deve per forza piacere a tutti, è solo un altro modo di bere il caffè.
Prima di cominciare a lavorare per Arket, qual è stata la sua storia?
Sono cresciuto in campagna, un’ora a sud di Stoccolma. Nella mia famiglia – i nonni erano contadini – fare colazione e cenare insieme è sempre stato molto importante: qualcosa che in Svezia non è altrettanto comune rispetto all’Italia.
Posso interromperla per un secondo? A un certo punto su Twitter/X era diventato virale il fatto che in Svezia, se un bambino è ospite a casa di un amichetto ed è ora di cena, il bambino non viene invitato a cenare, e rimane in una stanza ad aspettare che il suo compagno di giochi abbia finito. È vero?
Purtroppo, sì. Non ovunque! Non è più così comune oggi, e di sicuro la mia famiglia non fa così. Ma negli anni 70 e 80 me ne stavo seduto nella stanza del mio amico in attesa che finisse di cenare.
Okay, torniamo al curriculum.
Ho cominciato a 14 anni, con gli stage scolastici. Lavoravo in panetteria, e immediatamente ho pensato: “Okay, questa è una cosa che voglio fare”. Poi sono andato alla scuola di cucina: lavoro già da 31 anni, ma mi diverto ancora, sono curioso e voglio imparare cose nuove, vedere e sviluppare. Il mio lato creativo non è mai morto e spero non muoia mai.
In mezzo, la nascita della cucina New Nordic.
Quando è iniziato tutto, io c’ero: nel 2004 lavoravo già da tempo nelle cucine dei ristoranti e seguivo già quei principi. Prima di entrare in Arket, nel 2016, ero stato l’executive chef di un ristorante con due stelle Michelin, poi ho avuto un ristorante con una stella Michelin e poi abbiamo avuto una piccola panetteria hipster. Ma il Manifesto ha dato a noi cuochi l’occasione per unirci: il punto di svolta è stata la valorizzazione degli ingredienti della Scandinavia, capire che, per esempio, i nostri mirtilli sono davvero, davvero buoni, se li paragoni ad altri. Il movimento New Nordic è decollato nella scena del fine dining, ma uno dei principi del Manifesto era portare il cambiamento anche altrove: nelle case di riposo e nelle mense degli ospedali, per esempio. Cominciare dall’alto, nel fine dining, e poi discendere a cascata. Questo è il passaggio che richiede più tempo ed è più complesso: per questo quando H&M mi ha chiesto di collaborare a un nuovo concept per un negozio ho pensato che fosse una grande opportunità. Mi sono detto: come posso creare un concept che abbia la sostenibilità e la qualità al centro? Sappiamo che dobbiamo mangiare più verdure per creare un mondo più sostenibile, non solo per la nostra salute, ma anche per il pianeta: mangiamo troppa carne. Ho voluto un menu basato su verdure, legumi, noci, cereali e lavorare solo con prodotti biologici. Vogliamo essere imitati, che le persone dicano: “Oh, guarda, questa catena sta facendo questo, dovremmo farlo anche noi”.
Arket Café
Via Tommaso Grossi, 9
20121 Milano (MI)
IG: www.instagram.com/arketofficial