Testo di Letizia Gobio Casali
Foto di Francesca Morandini e di Angela Simonelli
L’approccio modernizzatore verso la cucina classica si può intuire dal titolo del suo secondo libro: Le stories di #Artusi (Giunti). Un volume a metà tra il saggio storico e il ricettario, in cui vengono impiattate in maniera inedita, aggiornata à l’age de Instagram, le ricette canoniche de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891) di Pellegrino Artusi. D’altra parte, Angela Simonelli, 3 figli e una laurea in Architettura, non è una chef e ci tiene a rimarcarlo. Perché sta qui la peculiarità del suo approccio, riassunto nel volume A scuola di food design (Giunti): nell’applicare a un piatto non un criterio gustativo, bensì visivo, in cui l’esito finale viene preceduto da un progetto su carta, da uno studio sui materiali e sulle rispettive texture, da un piano di fattibilità e da prove di statica, proprio come si fa per un edificio.
Riportando la medesima impostazione dall’edile all’edibile, Simonelli si prefigge un risultato in cui la presentazione ricercata stimoli quell’aspettativa inconscia che sigla l’inizio di un’esperienza sensoriale appagante. Non a caso Ferran Adrià, chef del ristorante El Bulli di Caja Montjoi, sosteneva che “La cucina come l’architettura, si manifesta nella costruzione. Il cuoco, come l’architetto, si basa su una serie infinita di risorse creative che permettono di creare meraviglie dai materiali da costruzione di base”.
L’idea di utilizzare la sua competenza “costruttiva” in cucina Simonelli l’ha avuta nel 2015, anno in cui, da cuoca dilettante, ha vinto ben 10 concorsi amatoriali su 12. “Il primo assaggio avviene sempre con gli occhi, che giudicano prima ancora che si percepisca il profumo di un piatto” premette Simonelli. “E dato che in quei concorsi il verdetto era espresso su foto mandate dai concorrenti, ho capito subito che la ricetta contava fino a un certo punto, perché, pur con tutta la capacità di immaginare il sapore di un piatto senza assaggiarlo, la presentazione era determinante” ricorda. In premio le toccano dunque giornate nelle cucine stellate di Marco Stabile de L’ora d’aria di Firenze, di Moreno Cedroni de La Madonnina del Pescatore di Senigallia e dei pastry chef Iginio Massari e Luca Montersino. Assaggiando e cucinando con loro Simonelli viene folgorata sulla via della Gesamtkunstwerk, la degustazione plurisensoriale totale.
“Quelle giornate sono state una rivelazione perché ho scoperto che un piatto riuscito è quello che ti emoziona, e che l’estetica vi contribuisce in modo decisivo” spiega l’architetto. “Solo che non sapevo come si era giunti a quell’effetto. Così ho dovuto ripercorrere quel percorso a ritroso, decostruendo il risultato finale per decifrare le ragioni che avevano condotto a ogni particolare scelta di impiattamento”. Ogni piatto è stato dunque analizzato, smontato, ripensato per dedurne regole generali, grazie alle quali ora il suo libro è usato come manuale in numerose scuole alberghiere. “In cucina funziona come quando ci si avvicina a un dipinto” riassume Simonelli per illustrare il suo metodo.
“Il primo step è meramente contemplativo: occorre guardarsi attorno e segnarsi cosa ci seduce. In seguito, di fronte a un insieme di ispirazioni, si passa all’analisi degli elementi che conferiscono quella forza d’impatto. Poi occorre soffermarsi sui dettagli tecnici: se vuoi replicare una spennellata di salsa, dovrai capirne la precisa consistenza perché nel tuo piatto non si divida o risulti troppo liquida. Va poi considerato che un punto, specie se rosso o verde, attira l’attenzione, che il giallo trasmette al cervello una maggiore sensazione di dolcezza al palato, che le linee che passano dal centro di un piatto prevalgono sul resto, e occorre decidere come giocare con la forma del piatto, con i pieni e i vuoti, con gli elementi sviluppati in verticale. Così alla fine ciascuno trova il suo stile”.
Il presupposto di questa disamina progettuale è chiaro: la creatività in cucina non è il contrario, bensì l’esito di una pianificazione. E la gratificazione estetica, ancora più rilevante nella presentazione della pasticceria (che Simonelli affronta in un volume di prossima uscita), dato che un dolce è per definizione superfluo, sarà sempre più richiesta dalla prossima “classe digerente”: quella fascia di benestanti che, appena possibile, tornerà a frequentare i ristoranti non tanto per mangiare in compagnia, quanto per godere di un’esperienza che appaga i sensi, apre la mente e mescola con originalità emozione gastronomica e suggestione estetica. Perché la storia e la tecnica di una ricetta vanno sì studiate, ma anche adattate alla contemporaneità. E in fondo, come enunciava Gualtiero Marchesi a proposito del suo storico Raviolo Aperto, audace reinterpretazione di un grande classico della cucina italiana “la tradizione altro non è che un’innovazione che ha avuto successo”.
Dopo A scuola di food design (Giunti), Angela Simonelli ha scritto A scuola di food design in pasticceria – Dal cioccolato ai lievitati (Giunti), che sarà in libreria il prossimo 28 aprile.
L’autrice ha anche un sito: www.angelasimonelli.it e una pagina Instagram molto seguita @angelasimonelli_