Testo di Barbara Marzano
Foto di cortesia di Marco Varoli
“Un hardware gastronomico compatibile con qualsiasi software”. Manuali informatici, Treccani o Google? Chiudete tutto, la risposta va sfornata con cura. Marino Niola, antropologo e docente presso l’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, nonché supporter della Pizza Unesco World Petition, definisce così quella italiana che viaggia da sempre in tutto il mondo, che piace a tutti, romantica nella sua semplicità: la pizza.
Questo è l’incipit di Niola, che apre “Il mondo della pizza”, manuale firmato da Slow Food, che non è l’ennesima guida su come, dove e perché fare o mangiare la pizza, ma ci tiene a fare ordine in un panorama caotico, che mette in primo piano la sua storia ed evoluzione, con intervalli che danno modo di riflettere sulle tecniche e sugli strumenti della tradizione applicati alla contemporaneità.
Se è vero quindi che la pizza ha a sua disposizione infinite variabili di software, è vero anche che oggi i pizzaioli hanno hackerato l’hardware con le loro mani, le loro idee e canoni, ciascuno con una mission. Non è un caso che la pizza resti “pizza” a Istanbul, Tokyo o l’Havana, intraducibile, al palato come agli occhi, perché irrimediabilmente comune a tutte le culture del mondo. Comune a tutte sì, ma la paternità, se pur con sacrificio, è ufficialmente italiana dal 1991. Una sentenza lo ha infatti decretato basandosi su una lettura che suona familiare, l’Eneide. Virgilio racconta infatti il fatidico episodio in cui il giovane Enea, preso dalla fame, si mangiò anche la propria mensa, una parola da sempre rimasta intradotta, fino appunto all’ardua sentenza. Per mensa infatti s’intendeva proprio il piatto. Non significa certo che Enea fosse solito cibarsi di ceramiche o terre cotte, ma che invece il suo piatto – la sua mensa – fosse commestibile: il piatto su cui appoggiava il cibo era infatti un composto di farina e acqua, che dopo il pasto sarebbe stato gettato via.
Antonio Puzzi: “È così che Enea, progenitore dell’italica stirpe, mangia la prima pizza senza nemmeno saperlo. Senza saperlo, fonda la nostra nazione, ma anche il ritratto della nostra cultura, la pizza.”
Antonio Puzzi, curatore del volume, racconta come la pizza nasca in modo del tutto spontaneo da un cibo di recupero, amante di diverse tecniche senza tradire mai il suo unico obiettivo: trasmettere una propria vision, qualunque sia l’idea o la farcitura.
“Quanto più ci si allontana dal Vesuvio, tanto più la pizza assume contorni sfocati”.Il punto di vista di Marino Niola racconta comequesto libro illustri la geografia territoriale della pizza, ovvero anche di quelle “contemporanee”, pur sapendo che di fatto questo termine significa tutto e niente. Slow Food si interroga infatti sul perché definire solo che un certo tipo di pizza può essere “buono, pulito e giusto”. D’altronde queste caratteristiche non sono insite nella territorialità del prodotto, lo dice l’Unesco, perché la tutela non è del territorio o della pizza, ma dell’arte del pizzaiolo, delle tante culture che hanno trasformato acqua e farina in qualcosa di spettacolare. Va riconosciuto quanto il gusto sia soggettivo, certo, ma allo stesso tempo quanto invece il buono, pulito e giusto, siano oggettivi.
Antonio Puzzi: “C’è stato un episodio che mi ha dato modo di riflettere. Qualche giorno fa sono stato in una scuola a parlare di pizza e, confrontandomi con gli studenti, gli ho chiesto quale fosse la loro pizza preferita. Nessuno ha saputo rispondermi con certezza, perché sono abituati a una pizza mordi e fuggi, fast, che di certo non li ha mai spinti a chiedersi da dove provenissero i prodotti con cui era stata farcita. È qui che dobbiamo intervenire”.
Ogni territorio ha la responsabilità del prodotto che ha tutelato, come ogni pizzaiolo ha la propria tradizione, cultura e storia della pizza, un prodotto che va riconosciuto come figlio della genialità del nostro popolo e dell’arte di ciascun pizzaiolo. In questo manuale emergono tutti i profili della pizza: le classiche, con una classifica stilata qualche anno fa ne “Il manifesto della pizza eatalyana” (scritto con Eataly), le pizze preferite dai pizzaioli, diversi esempi concreti di ciò che definiamo pizza contemporanea e un accenno sulle nuove frontiere, ovvero del modo in cui oggi si cucina sulla pizza. Pochi anni fa era infatti impensabile pensare di cucinare gli ingredienti prima di metterli sulla pizza. Poi Nino Selimaj, chef albanese che ha aperto un locale a New York, ha dato vita alla luxury pizza, con una base condita con sei diversi tipi di caviale e aragosta del Maine (Stato più a nord-est degli Stati Uniti), venduta alla modica cifra di 1000 dollari. Un lusso per pochi con origini poverissime, che fa eco alla tradizione del piatto di Enea, non altro che un mix di farina e acqua compattato in un disco, pensato appunto per servire del cibo.
Piccola avvertenza però: sulla pizza non vale tutto. Serve massimo rispetto per gli ingredienti e per i produttori, soprattutto oggi che si parla tanto di attenzione agli scarti e sostenibilità. Ogni prodotto che presta il suo nome a una pizza deve mantenere la sua identità, gusto e qualità, in modo da essere valorizzato e non diventare parte di una massa di ingredienti che affogano nell’impasto.
Cosa c’è allora tra le pagine di questo manuale? Pizze classiche, focacce, pizze contemporanee, fritte, in teglia, al tegamino o nel ruoto, oltre a una sezione dedicata al pane in pizzeria, 50 interpretazioni autoriali con indicazioni che permettono di riproporle anche a casa. Un ritratto della pizza ricco di sfumature, realizzato grazie al sostegno di Alfa Forni e Agugiaro & Figna, insieme a un coro di persone che ha creduto in un progetto editoriale che va a sconvolgere il panorama frenetico della nostra società, dove non si pensa più, ma si interviene solamente.
Antonio Puzzi: “Noi chiediamo di pensare, ed è qui che ti accorgi che puoi andare a recuperare qualcosa che si stava perdendo. Ogni pizza deve essere “socievole”, deve mettere in cerchio i prodotti ma anche le persone, quindi permettere attraverso una ricetta di far conoscere quello che è il mondo della pizza.”