Testo di Alessandra Piubello
Foto di Fabrice Gallina
All’esterno resti colpito da una nicchia in alto, una scultura a bassorilievo in terracotta del sensibile artista Darko, rivisitazione in chiave moderna di un’opera scomparsa. Ti fermi poi a leggere, da una lastra ben esposta su un piedistallo, la strana storia dell’ottocentesco pittore di Nimis, soprannominato Jàcun Pitôr. All’interno scoprirai i suoi affreschi in stile naïf, valorizzati da argute battute sottostanti.
Ancor prima di entrare Al Monastero perciò capisci che ti ritroverai in un luogo impregnato di storia. E che i proprietari, la famiglia Pavan, si sono presi cura di raccontarla, arricchendo il ristorante di tabelloni informativi sulle trasformazioni del locale nei secoli, di spiegazioni sulle tradizioni, di fotografie d’epoca. Passi dall’ingresso con il bancone per la mescita del classico tajut (bicchiere di vino accompagnato da stuzzichini) alla sala di Bacco con un grande affresco di Bacco, poi la saletta con pareti in legno e cotto a terra e il classico fogolar (caminetto) e poi ti ritrovi nella corte esterna, ristrutturata una ventina d’anni fa, dove il sole gioca con il pavimento a ciottoli e gli ombrelloni colorati. E qui splende anche il sorriso della padrona di casa, Cristina Pavan, pronta ad accoglierci con un bicchiere di vino dell’azienda di famiglia, La buse del lôf (in italiano “La tana del lupo”).
“Da piccola – racconta – volevo fare l’attrice e papà, che fondò il ristorante nel 1990, mi rispondeva di venire qui, che avrei potuto provare a recitare tra i tavoli del ristorante. Poi mi venne la voglia di diventare una viaggiatrice e lui mi controbatteva di venire qui, che il mondo sarebbe venuto qua, da me”. Papà Bepi, come viene affettuosamente chiamato, con i suoi settantacinque anni viene ancora a provare i piatti nuovi, ma ormai la struttura è in mano alle donne Pavan: mamma Annamaria, colonna portante in cucina, ora supportata da tre giovani cuochi (peraltro osservabili mentre lavorano nella nuova sala con cucina a vista ndr), Donatella, sorella di Cristina, in amministrazione e Cristina che ormai da ventisette anni ha preso in mano la gestione del locale e si occupa dell’accoglienza.
Ci consegna i menu su cui campeggia la scritta “Locale storico”. Mi viene spontaneo domandarle di raccontarci i trascorsi nel tempo del luogo. Apprendiamo così che le prime notizie certe risalgono al 1855, quando veniva chiamato Alla Speranza, un’osteria, celebre anche per i giochi, le goliardate (celebri i processi “per parola data e non mantenuta”, con relativi testimoni, giudici e collegio di difesa), le mitiche bevute, le pantomime accanto al fogolar e le cene tra cacciatori e assidui avventori. Poi nel 1959 divenne Al Fogolar, fino al 1990 quando Giuseppe Pavan lo fece diventare Al Monastero, prendendo ispirazione dalla conformazione del luogo: le volte a tutto sesto della corte interna suggeriscono, infatti, la presenza di un’arcaica struttura monasteriale.
Mente rifocillata, ecco che la pancia dà invece segni di impazienza. Il menu è vario, con piatti della tradizione rivisitati e attenzione alla stagionalità. Come antipasto scegliamo un gustoso prosciutto cotto della Dentesano Salumi e un poker di formaggi tipici. Come primo piatto opto per i cjalcions del Monastero, tipica pasta ripiena simile ai ravioli, con spinaci, pinoli, uva passa, ricotta affumicata. La pasta è morbida, giocata sui contrasti tra dolcezza, un tocco di amarezza e la spinta dell’affumicatura. Davvero golosi. Ampia la scelta dei secondi fra carne e pesce. Dimenticavo: la carta vini, oltre a quelli della proprietà presenta una quarantina di etichette locali. Per chi desidera pernottare, è possibile riposare in accoglienti appartamenti ricavati nello storico edificio da una sapiente opera di ristrutturazione.
Al Monastero
Via Ristori, 9
33043 Cividale del Friuli (UD)
Tel: +39 0432 700808
www.almonastero.com/_it/