Daniele Lippi, Benito Cascone & la rivalsa del fine-dining capitolino
Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Lorenzo Sandano e cortesia di Acquolina
Non sono poche le etichette gastronomiche che siamo abituati a mandar giù passivamente. Prendete il modello della cucina fine-dining. Se speso con approccio forzato, appare avvolto da un pulviscolo di rituali ingolfati, velleità e standard comportamentali che minano l’esperienza del cliente, risultando quasi respingenti. Con la crisi che ci siamo portati in groppa nell’ultimo anno, si è discusso molto sulla sostenibilità di alcune insegne di questo tipo a mio parere generalizzando concetti insindacabili alla base. Cosa intendo? Non è la formula che fa la differenza, bensì i contenuti. Una prova di come il concetto di fine-dining possa convivere insieme a una ristorazione agile e poco pretenziosa l’ho scovata a Roma, nel ristorante Acquolina dell’Hotel The First. Il contenitore potrebbe deviare questa mia tesi in apparenza, proprio per come siamo addestrati a etichettare le realtà d’hotellerie. Ma la regola di non giudicare un libro dalla copertina qui assume valore sovrano. L’indirizzo, affidato alla maestria coordinativa di Andrea La Caita, si è rimesso in sesto con scatto vigoroso dopo il tragico lutto dello chef Alessandro Narducci. Un’eredità raccolta con sentito rispetto dal giovane Daniele Lippi in cucina (forgiatosi nelle mura del Convivio con Angelo Troiani) e dal sagace registro di sala apportato da Benito Cascone. Restaurant Menager, quest’ultimo, che ha affinato le sue skills transitando per mezza Europa in celebri insegne stellate (Waterside Inn in Inghilterra; Chalet d’Adrienne in Svizzera; Alléno e Colagreco in Francia, solo per citarne alcuni). Questo tridente d’attacco, a sua volta dislocato nel concept informale del bistrot Acquaroof (posto al sesto piano della struttura) ha conquistato un’alchimia capace di rimuovere qualsiasi bollino vincolante dall’identità che si vuol trasmettere alla clientela. Nel mio caso, ha risvegliato un piacere sopito nel sedermi e gioire libero da sovrastrutture. Quelle che troppo sovente rischiamo di assecondare.
NARRAZIONI COMPLEMENTARI TRA SALA & CUCINA
Per comprendere il “fattore Acquolina” bastano due chiacchiere con Lippi e Cascone, tratteggiando un quadro già nitido e coerente di ciò che vivrete accomodati al ristorante.
“Prendere in mano la cucina dopo la scomparsa di Alessandro è stato inizialmente traumatico” racconta Daniele. “Ma superato quell’onere paralizzante è subentrata la voglia di spingere in avanti, anche in omaggio al lavoro che aveva impostato prima di me, portando in alto il suo nome con una personalità differente, ma con la medesima fame di poter raggiungere un sogno. Quello di coniugare la propria visione con una serie di traguardi professionali. Per questo mi sono adoperato nel tonificare il carattere di Acquolina raccontando usi e costumi del Mediterraneo. Un filo conduttore che sentivo molto mio, quello di poter attingere dal mare che ci bagna e che raccoglie testimonianze, anche antiche, dei paesi che vi si affacciano. Un’analisi che si divincola indissolubilmente da Roma, dal mare nostrum e dalle sue sfumature culturali più profonde. Abbiamo quindi sviluppato tre menu in questa direzione: con Periplo circumnavighiamo il territorio attraversando l’Italia, tramite preparazioni e ingredienti che la caratterizzano. Con Anabasi e Catabasi invece, ci spingiamo anche oltre confini, provando però a descrivere il moto che si orienta dal mare alla terra e viceversa. Una rilettura dell’inflazionato mare e monti, giocando con prodotti ittici che vanno a contaminare prodotti dell’entroterra. Citando proprio Alessandro, la vita deve essere sia di bosco che di riviera. Ho catapultato questa visione nel mio metro stilistico in chiave contemporanea, con portate di carne e pesce che si vanno a incrociare tra loro, sempre con un occhio rivolto alla cultura mediterranea”.
Dal canto suo, Cascone si è inserito con indole complementare nella ricerca culinaria di Lippi, modellando un team e una linea profondamente aderenti alla linfa stessa del menu. “Approdare ad Acquolina mi lasciava qualche timore esordiente per l’arretratezza della ristorazione italiana che mi veniva presentata dall’estero” spiega Benito. “Proprio grazie all’affinità sbocciata con Daniele e alla risposta mentalmente aperta della clientela mi sono ricreduto, riuscendo a trarre espedienti di crescita. La forza rintracciata nella squadra è stata fondamentale, soprattutto se si ragiona formando le persone con una logica interscambiabile, supportandole e stimolandole a dare il massimo in ogni comparto si trovino. Rimarco molto il focus sulla flessibilità del team in ogni possibile difficoltà. Un buon manager è tale se il contesto in cui si trova gli consente di potersi muovere al meglio. Condividere anche momenti extra-lavorativi, per rafforzare i rapporti e allineare il gruppo verso un affiatamento concreto e produttivo è la mia metodologia di lavoro. Trasmettere un’idea di ristorazione e di servizio in un clima sereno arriva senza dubbio anche al cliente. Mi sento molto fortunato a lavorare con profili che si sono mostrati predisposti al cambiamento e direzionati verso un obiettivo comune”.
Addentrandoci nel pratico del vissuto culinario, è palpabile l’attenzione rivolta al prodotto e al tatto estremo con cui viene comunicato all’esterno, senza mai scadere nell’abuso verbale.
“Sono cresciuto nella cucina del Convivio dove Angelo Troiani, mio mentore, mi ha instradato verso la selezione di produttori e materie prime a chilometro zero in tempi non sospetti”, rimarca Lippi. “Scovare piccoli artigiani, visitare aziende o mercati è una cifra stilistica che mi ha trasmesso sino al midollo durante la formazione. Per questo il menu di Acquolina è incentrato quasi integralmente sul valore di prodotti e produttori. Ogni portata è pensata per esaltarli, quasi come un’esigenza prioritaria. Credo che, a maggior ragione, ci debba essere un perfetto dialogo tra la narrazione di una ricetta e l’esecuzione che proviene dalle retrovie. Gli stessi piatti vengono concepiti e studiati in strettissimo rapporto con il team di sala per assicurare il risultato”.
Un aggancio culinario ripreso con destrezza fulminea dalla sala. “Nella narrazione del menu abbiamo investito il tempo della prima quarantena. Buffa opportunità per dare un’impronta più definita al ristorante, approfondisce Benito. “Non ho mai amato mitragliare il cliente con informazioni eccessive. Trovarmi faccia a faccia con l’ospite e saturarlo di nozioni mi appare pesante, quindi abbiamo individuato dei momenti cardine ove interagire con le persone, cercando di non disturbarle mai. Preservando discrezione nelle fasi di interazione narrante del menu. L’accoglienza ritengo sia anche una dote innata. In tal senso non sono totalmente in linea col metodo di adattare il proprio timbro a seconda di chi ho seduto davanti. Che siano giornalisti, tavolate business o coppie di giovani, preferiamo cercare di tessere un approccio di servizio univoco e funzionale per tutti. Abbiamo cercato di concentrare i passaggi di relazione con l’ospite nella prima parte del percorso gastronomico, lasciando poi una libertà maggiore al convivio e alla godibilità del ristoro. L’aspetto più critico è forse stato quello di confezionare un pairing con i cocktail e con il vino idoneo alle proposte di Daniele. Indispensabile in quest’ambito il confronto con il mio secondo – Andrea Menichelli – con il sommelier Francesco Aldieri e con il bar manager Alessandro Simeone. Tutti insieme, ci siamo concentrati molto sulle gradazioni alcoliche da distribuire e diluire nel pasto per rilasciare il giusto tono di freschezza ed equilibrio, anche attraverso le sponde di acidità e di sapori promosse dalla cucina. La ricerca di una tecnica perfetta però, a mio modesto parere, sottrae tempo al rapporto emozionale che si consegna al cliente. Il servizio perfetto non può esistere, il lavoro di una buona sala risiede nel rendere l’imperfezione qualcosa di unico e apprezzabile dal cliente”.
MENU ACQUOLINA
Ma qual è il frutto di questa intesa sinergica e complementare? Un excursus magnetico tra popoli, gesti e usanze mediterranee che si intrecciano mirabilmente, avanzando dal passato al presente. Esercizi diretti, saporosi, che smarcano vezzi stilistici o stratagemmi autocelebrativi. Pensando piuttosto a rispolverare cotture primordiali (brace, argilla, terracotta) o trasformazioni atte a nobilitare l’ingrediente come perno espressivo. Sensibilità esecutiva puntualmente spalleggiata dalle movenze virtuose della sala. Un mantra tangibile sin dallo start: con una Ricotta in fuscella messa a cagliare con acqua di mare e a prender compattezza direttamente dalla lampada del gueridon al vostro tavolo. La finitura del formaggio troverà infatti esito nella fase conclusiva del pasto, quasi come una lattiginosa clessidra casearia. Incalzano poi gli snacks, propulsivi nel gusto e nella manifattura: Tacos di mela, tartare d’anatra e maionese di alghe; Waffle di patata con baccalà mantecato e cipolla; Foglia di lattuga con crema di pistacchi e caviale.
L’appagamento si impenna ulteriormente con il Lardo di seppia: mutazione norcina del cefalopode, conciato e trattato come un lardo di Colonnata. Affettato ittico dalla solubilità assuefacente, soprattutto se spalmato sulla fragrante focaccia ai fichi in dotazione. Un tema, quello della panificazione, che si eleva nella foggia della pagnotta realizzata con percentuale di farina di ghiande a conferire profumi inebrianti. Micidiale in combo col burro smen (fermentato in anfora), che riprende con passo atletico arcaiche ritualità marocchine. Segue l’esplosivo binomio terra-mare della Ventresca di ricciola con sfoglie di fegato grasso, olio di nocciola e salsa fermentata di lenticchie e farro. Quest’ultima, contemplata proprio per dare risalto ai legumi locali in virtù della soia nipponica. Pulsioni umamiche e sinuose, che trovano perfetto compagno di viaggio nel Gin tonic all’alga spirulina, limone e rosmarino congegnato in fialetta dal bartender Alessandro Simeone.
Lo Spiedo di maccarello arrosto si completa invece con fagioli della Tuscia cotti lentamente in terracotta, nervetti di vitello e una sferzata elettrica di aceto di fragole homemade maturato oltre un anno. Non manca un’ode al carboidrato – snocciolata in tre fotonici primi piatti – che si propaga dalle formosità agrumate del Tagliolino con sogliola alla mugnaia, limone nero e caviale; al tannino fumoso e salmastro della Linguina con bottarga di tonno rosso e carciofi alla matticella (cottura recondita dell’ortaggio tra braci e viti); sino alla detonazione dolce/sapida del Tortello di pane “burro & acciughe” con ripieno di mascarpone, alici marinate e colatura. Santissima trinità. Il cocktail-pairing rifocilla e distende il palato, contemplando Vodka alle alghe, liquore al mastice, pompelmo rosa e lampone.
Come intermezzo vegetale, Lippi sceglie di cimentarsi con il Topinambur, impiegato a 360 gradi, a caccia di similitudini papillari con il carciofo: crema alla base dal cuore del tubero, esterno arrotolato e fritto con metodo della giudia, il tutto ricoperto da un battuto di prezzemolo, aglio e menta e dal fondo ridotto del topinambur stesso. Bullseye! La Guancia di pescato del giorno – cotta alla brace e laccata con grasso d’anatra – funge da passerella tra ecosistemi e grassezze distanti, unificate in bocconi di puro godimento (da azzannare rigorosamente con ausilio delle nude mani!). L’epilogo salato richiama brillantemente l’incastro simbiotico tra mare e terra. Anche nella composizione estetica, steccando un Filetto di anguilla arrostita con l’osso di una costina di maiale e nappandolo con salsa della domenica: una conturbante riduzione di costine, ça va sans dire.
Le lancette del tempo schioccano al ritmo delle gocce di latte che colano dalla fuscella posta al centro del tavolo. Perché è giunto il momento di spalmare la ricotta – ormai compattata – sul manto candido di un Maritozzo caldo, irrorato a sua volta con uno sciroppo di rum&pera plasmato come fosse miele. Ennesimo esempio del dialogo coeso che vige qui, giostrato con abilità tra cucina, sala e mixology. Rimarcando fino in fondo la solidità multidirezionale di questo ristorante: capace di veleggiare lungo ammalianti traiettorie mediterranee, slacciandosi con classe dall’etichetta vincolante del fine-dining.
Acquolina Ristorante
Via del Vantaggio 14
00186 Roma (RM)
Tel: 06 320 1590