Il Relais Chateau immerso nel verde e il Ristorante NOVE di Giorgio Servetto
Testo di Lorenzo Sandano
Foto cortesia di Villa della Pergola
Solo adocchiando una delle tante teche ricolme di cimeli e reperti che affollano la hall della struttura, si rimane incantati dalla valenza storica e dalla ricerca operata qui. “Questa collezione rientra nelle malattie che facciamo sbocciare in successione da anni” afferma ironicamente Alessandra Ricci mentre ci lascia immergere nella trama narrativa della Villa. Ce ne fossero di malattie così belle, aggiungo io. Perché il risultato – per quanto folle – lascerebbe inebetito chiunque. Siamo sulle colline di Alassio, dove il mare si vede ma non è protagonista. Per una volta non si impone la frenesia estiva degli stabilimenti balneari, ma la quiete estatica di un’oasi verde e di un albergo con ristoro che riserva molti più aneddoti di quel che potreste immaginare. Villa della Pergola – a oggi Resort Relais Chateau con monumentali giardini e ristorante stellato annesso – nasce da una vera e propria operazione di salvataggio ambientale e culturale. Quel che ora appare come una sorta di Eden a cielo aperto infatti è stato recuperato a partire dal 2006 tramite un’asta giudiziaria, acquisita da una cordata capitanata da Silvia e Antonio Ricci. Un progetto – attualmente perpetuato dalle figlie Francesca e Alessandra – che ha protetto questo patrimonio terreno da una pericolosa speculazione edilizia, restituendolo alla collettività in una forma restaurata e rispettosa delle sue fattezze originali.
A BRITISH TALE
La storia del resort si snoda attraverso un interminabile intreccio di successioni, intrighi amorosi, slanci passionali e personaggi eccentrici. Per i particolari consiglio vivamente di venire a scoprirli direttamente in loco, mentre io mi limiterò a fornire un’infarinatura generale. Prima di subire anni di abbandono, i Giardini e la Villa stessa rappresentavano un raro esempio colonico di parco anglo-mediterraneo ottocentesco adibito a dimora di villeggiatura dal Generale Montagu McMurdo e da sua moglie Lady Susan Sarah Napier. Le facoltose famiglie anglosassoni erano fortemente attratte dalle potenzialità della riviera ligure, soprattutto come rifugio nella stagione invernale. Così, dal 1875, McMurdo edificò i villini portanti dell’intera residenza (virando da uno stile anglo-indiano a elementi architettonici più eclettici e sfarzosi) e diede il via alla progettazione del suggestivo parco: assecondando l’andamento floreale delle colline tra aranceti, ulivi, carrubi, cipressi e piante ornamentali.
Nel ‘900 la proprietà passò prima a Sir Walter Hamilton Dalrymple – che arricchì il tessuto dei giardini con fontane, ninfee e piante esotiche – passando poi nel 1922 nelle mani di Daniel Hanbury: autore di un propulsivo accrescimento delle specie botaniche, innestate attingendo varietà da tutto il globo. Un assetto rigoglioso e a dir poco unico, che nel tempo ha fornito ispirazione a scrittori e artisti del calibro di Alfred Hitchcock, Henry Scott Tuke, Oscar Guy Green o del pittore Carlo Levi (di cui è ancora presente lo studio a due passi dall’attuale orto della Villa). Alla morte di Daniel e sua moglie Ruth Hanbury l’intero complesso rischiò di spegnersi sotto colate invasive di cemento, ma grazie all’intervento della famiglia Ricci, dell’architetto paesaggista Paolo Pejrone (per i giardini) e dell’architetto Ettore Mocchetti (per le stanze delle dimore storiche), la linfa della Villa ha ripreso a scorrere attraverso una nuova vita. Seguendo progetti in divenire che paiono non arrestarsi mai. “Ci sono voluti 6 anni solo per sistemare il parco” racconta sempre appassionata Alessandra. “E con un buon margine di follia e perseveranza abbiamo aperto la Villa nel 2009 seguendo una formula iniziale di B&B, perché non era affatto predisposta per l’hospitality. L’evoluzione dell’offerta è mutata in corso d’opera. Ampliando il team e fortificandoci grazie all’apporto della nostra direttrice Nadia Finelli, definendo la linea di cucina grazie al lavoro di Restaurant Manager di mia sorella Francesca. Migliorando ogni dettaglio e ridando lustro alle varie dimore che oggi si presentano come 15 suites. Ognuna corrispondente ai vari personaggi che hanno soggiornato nella proprietà in passato. Pezzo per pezzo abbiamo rimesso assieme i tasselli storici e architettonici dei quattro edifici principali che compongono la struttura: Villa, Villino, Casa del Sole e Casa Wisteria. Preservandone mobili d’antiquariato, acquerelli e dipinti vittoriani o edoardiani originali. Non cessiamo mai di accumulare nozioni e tracciati culturali che scandiscono l’intero complesso per proteggerli e poi divulgarli ai nostri ospiti. Io stessa che inizialmente ero timorosa per la portata dell’iniziativa, me ne sono infatuata dedicandomici completamente. Riscoprendo anche un pollice verde nella manutenzione dei giardini”.
I GIARDINI
Passeggiare per il parco della Villa – volutamente aperto al pubblico – è qualcosa che toglie il fiato. Più che un giardino si potrebbe parlare di un ecosistema a sé stante, in cui convivono tanti microcosmi floreali concatenati tra loro. Si procede in tornanti arborei levigati con perizia artistica: tra esposizioni di cactus; sconfinate tipologie di agrumi (cedri, chinotti di Savona, limoni, aranci, pompelmi, mano di Buddha); laghetti orientali popolati da fiori di loto e ninfee; ben 34 varietà di glicini (la più importante collezione italiana) e circa 500 esemplari di sontuosi agapanti (la più folta in Europa). Alle fondamenta di quest’opera titanica, è stata predisposta una potatura degli alberi sopravvissuti e una pulizia radicale dei detriti e delle piante infestanti. Messi in sicurezza i muri di sostegno, è stato creato un impianto di irrigazione e un convogliamento delle acque per contenere i consumi idrici. Le fasi di recupero, accrescimento e conservazione sono state promosse dal già citato Paolo Pejrone insieme a Silvia Arnaud Ricci: esaminando scrupolosamente le fotografie del periodo dei Dalrymple e degli Hanbury, per mantenere invariate le peculiarità della flora originale, reintroducendo specie botaniche pre-esistenti o addizionandone delle nuove in un prospetto armonico e ossequioso. Si dipanano così, in un dedalo di profumi e colori, colture mediterranee, indigene e tipicamente esotiche: pini marittimi, mirti secolari; la preistorica Wollemia Nobilis; mandorli; rose antiche; cipressi; alberi di avocado; palme; ortensie; bouganville; gelsomini; canfore e ortensie a perdita d’occhio. Un restauro che rende onore allo splendore del passato e che si arricchisce continuamente di nuove collezioni botaniche stagionali o piante rare: tutelando un’autentica meraviglia paesaggistica della Riviera e mettendo a disposizione di chiunque un ampio panel di visite guidate, workshop, laboratori o eventi speciali.
L’ORTO RAMPANTE
Tra le varie belle “malattie” messe in campo dalla famiglia Ricci, vi è quella di aver acquisito nel 2018 i terreni appartenenti alla famiglia di Carlo Levi (sì, proprio il celebre pittore) per far rinascere un orto in condizioni agricole a dir poco eroiche. Battezzato ‘Orto Rampante’ appunto. Si trattava di un’azienda risalente al ‘900, legata a una casa colonica ricondotta principalmente alla coltivazione di uliveti. Nel tempo pesantemente trascurata e lasciata in uno stato selvaggio, ridotta a una sorta di bosco incolto. A guidarci alla scoperta di questo ulteriore progetto di bonifica e recupero c’è Luca Lanzalaco, agronomo e gestore delle colture attuali. Luca ci spiega come, pazientemente, siano state ripulite le fasce di terreno (ben 4 ettari), ritrovando i vecchi uliveti, le vasche di raccolta dell’acqua e riportando a uso di orto le zone limitrofe alla villa dei Levi. L’intero sviluppo e innesto delle varietà agricole è stato avviato in sinergia con le esigenze del ristorante NOVE di Villa della Pergola, in uno scambio costante instaurato con lo chef.
Un’attenta ricerca di varietà antiche liguri, prodotti piantati con ottica sartoriale e processi sperimentali per sondare step by step la risposta naturale dei terreni. “Una coltivazione atipica, perché più gastronomica, rispettosa e meno commerciale” spiega Lanzalaco. “Seguiamo fedelmente il ritmo delle stagioni operando in un regime a tutti gli effetti biologico. Dalla cucina ci richiedono pezzature di verdure più piccole di quelle che si trovano comunemente in commercio. Dunque, le piante vanno monitorate costantemente e bastano 2 o 3 gradi in più per far sballare tutto. Grazie all’indirizzo fornito dalla ristorazione siamo riusciti a far crescere gli asparagi di Albenga, la patata Quarantina, le iconiche zucchine trombetta o i meno usuali ceci neri. Tante varietà di broccoli che prenderanno forma nei prossimi mesi. Settandoci con il timbro dei cuochi abbiamo inoltre curato su misura le erbe aromatiche, fiori eduli o i germogli; dalle varie tipologie di basilico sino alla mizuna o la senape rossa. Anche gli ortaggi più comuni, come melanzane, peperoni o pomodori costoluti, sono stati una scommessa perché siamo partiti dai semi e non dalle piantine come usano fare in molti. La manodopera è inoltre molto più complessa a causa dello sviluppo dell’orto su fasce verticali sorrette da muri a secco. Gigantesche per la tipologia di territorio e non facili da curare con i comuni mezzi agricoli.
L’impresa in atto è nuovamente olimpionica alla vista, perché restituisce potenzialità all’entroterra di Alassio recuperando una fetta immensa di collina affacciata sul mare. “È stato fatto tanto, ma c’è ancora tanto da fare” afferma Luca mentre ci porge una fragola dal sapore cristallino. “Rimangono delle fasce da ripulire dove potremmo piantare in futuro degli alberi da frutto e una zona climaticamente più fredda che si ricongiunge ai giardini della Villa che resta un interrogativo. Ma in fondo è proprio questo il bello di andare al passo con la natura e con i battiti spontanei che ne definiscono i prodotti”.
GIORGIO SERVETTO, LA RISTORAZIONE & IL NOVE
Fattore cardine di Villa della Pergola è anche quello ristorativo. Non solo perché vanta la recente stella Michelin del Ristorante NOVE, ma perché è spalmato a 360° su ogni livello di offerta presente nel Resort. Tutto ciò che vi passerà per il palato è coniato con logica handmade, cercando il più possibile di onorare un approccio a ciclo chiuso per quanto concerne l’approvvigionamento degli ingredienti. Dalle fenomenali colazioni del mattino (non perdete i lieviti, le torte o i salumi fatti in casa) alle proposte del light lunch o del room service (sandwich e piatti tradizionali confezionati a mestiere). Sfociando infine nella manifestazione più autorevole dell’attitudine culinaria condotta qui: quella del ristoro gourmet, che è talmente identitario da respingere etichette altisonanti. Un trattato puro di devozione ligure trascritto secondo diteggiature contemporanee. Il marchio è quello di un cuciniere outsider quale Giorgio Servetto: classe ’75, forgiato da un’incontenibile pulsione agreste per la sua terra e in particolare per il circondario di Sassello, dove tutt’ora si rifugia in cerca di ispirazione e materie prime pregiate.
Scuola alberghiera, tanta solida gavetta e solo un passaggio noto al Devero di Bartolini per lui. Zero trascorsi blasonati. Non servono. Contano piuttosto l’istinto innato, un rapporto primordiale avvalorato con ogni singolo prodotto. Una conoscenza, la sua, ramificata e ribollente di antiche ricette o di usanze territoriali dimenticate ai più. Servetto presenta un’insolita quanto incisiva mescolanza caratteriale: selvatico ed elegante nel tocco; pescatore ma anche cultore di prodotti boschivi e di caccia; cuoco fine-dining, ma amante di gesti arcaici e tecniche vecchia scuola (soprattutto di stampo francese). La sua è una cucina di concentrazione e profondità. Tenace, contaminata e gentile come la Riviera Ligure. Potrebbe trascorrere ore intere a parlarvi di come si cimenta nell’arte norcina insieme al suo amico macellaio Marco Merialdo; dei momenti trascorsi a raccoglier funghi; della sua matta idea di aprire una distilleria a Sassello con l’ausilio di un distillatore direttamente dal Kentucky; o ancora di come impiega ore e ore del pre-servizio tra i fumi di fondi bianchi e fondi bruni. “Se la materia prima alla base è valida, un buon fondo è tutto in cucina” dice. “Qui anche un banale pollo presenta una struttura e una portata organolettica da far paura. In tal senso la nostra linea è senza compromessi. Ci vuole pochissimo a rovinare ingredienti di questo spessore, molto meglio onorarli e cercare di farli esprimere al massimo con un giusto grado di modernità che non guasta”.
Dal verbo alla tavola, piombano conferme in sequenza. Il servizio scrupoloso e mai ingessato recapita il profumato cestino di pane casalingo e focaccia (vero must!), transitando poi per un’iperbolica Perla di amarena e paté di fegatini di coniglio; un Bon bon di patata Quarantina, parmigiano e rosmarino panato al carbone; un Gambero soffiato in gazpacho di ciliegia; la persistente Polpetta di totano e un Involtino di Fassona piemontese che preserva il ripieno della tipica cima alla genovese. Inizio col botto! Non cala di un millimetro il tono nei piatti seguenti, degustando portate estratte sia dal menu gastronomico che dalla carta: sensazionali, per texture e contrappunti vegetali, i Nervetti in insalata con salsa alla rucola e germogli; seguiti dalla sontuosa Trota fario (pescata e affumicata in casa dallo chef) che si districa in eleganza tra finocchi e arance colte dai Giardini della Villa. Non mancano influenze lontane e passaggi che interpellano tecniche più scenografiche, ma dirottate sempre in devozione del sapore: vedi il Riccio di mare ricostruito con alga kombu, bavarese all’aglio di Vessalico, zenzero e peperoncino (da spalmare come un paté iodato su fetta tostata di pane); o il proto-Taco con salsiccia di ventresca di tonno, ravanelli e laccatura umami di Patanegra ridotto in salsa. Quando si confronta con il minimalismo territoriale però, Giorgio concede concreti apici di godimento
Avanzando dal Brandacujun con panissa e pelle di stoccafisso crunchy, all’Assolo di fungo porcino di Sassello in ristretto dei suoi stessi umori boschivi. In successione, le meravigliose Lumache alla ligure in doppia cottura con sedano rapa e crema d’aglio, o l’impressionante (per intensità e trame salmastre) rilettura del Bagnun AKA zuppa di acciughe e pomodoro con galletta del marinaio al nero di seppia e lische di pesce crispy. “È da stamani che lo cullo sul fuoco” afferma compiaciuto. Immergendosi nei primi, si può acquisire appagamento polposo da semplici Stringhettoni con burro dolce, acciughe, aneto, bergamotto e pane bruscato; o con gli Gnocchi fondenti di patata Quarantina in emulsione di triglia e i suoi filetti appena scottati. Il Risotto al ciupin (zuppa di cozze, vongole e gamberi) è un destro in faccia di pura salinità marinara, condensata in una morbida e ammaliante mantecatura all’olio extravergine. I Pansotti “reverse” convincono con un ripieno setoso di noci pecan in pasta di bieta, borragine e acqua di robiola.
Manico poderoso riproposto nel main course: tra un Baccalà confit in guazzetto di budellini di stoccafisso alla ligure e zucchine trombetta dalle collaginose venature ispaniche; una vibrante Verticale di coniglio (sella, crocchetta, rognoni e fegatini) accompagnata da carote glassate al coriandolo, o la monumentale Capra dei Pirenei cotta alla brace, nappata con succulenta salsa bordolese, fagioli pigna al ginepro e cipolla.
L’Assoluto di limone e basilico dell’orto ritempra le papille prima dei dolci principali, modellati nell’estetica e nell’incisività. Scroscia (torta ligure all’olio di Taggia) con albicocche, cioccolato e menta; un Tiramisù riprodotto in foggia d’uovo con mascarpone pinoli e mandorle; infine, con una brillante provocazione locals only: Focaccia croccante e salata da inzuppare in un finto cappuccino a base di panera (semifreddo al caffè biologico). C’è il ritratto di Servetto e del suo legame inscindibile con i respiri agresti della Villa, della Liguria tutta, in ogni gesto plasmato dalla cucina del NOVE. E mentre lui ci confida che il suo day off lo passerà andando a pesca con i ragazzi della brigata, Alessandra ci spoilera che per il futuro c’è una nuova “malattia” in cantiere: restaurare e rendere agibile lo studio di Carlo Levi con ulteriori novità e progetti gastro-culturali connessi. Insomma, un ecosistema che non cessa mai di acquisire nuovi colori e punti di luce. Come un dipinto rigonfio di verde che rende omaggio fedele a questa splendida terra.
Villa della Pergola
Ristorante NOVE
Via Privata Montagu 9
17021 Alassio (SV)
Tel: +39 0182 646140
www.noveristorante.it