Il perché della decisione del Ristorante Giglio che ha provocato una reazione a catena di polemiche, ammirazione e simpatia.
Testo di Greta Contardo
Foto di Cook_inc.
La notizia è nota, in una settimana è esplosa, ha fatto il giro del mondo ed è arrivata pure fino a mia madre (che è il mio metro di paragone di quando qualcosa diventa effettivamente virale). Il Ristorante Giglio di Lucca ha restituito/rinunciato/ripudiato/rifiutato la brillantissima stella Michelin. O meglio, ha comunicato una decisione presa e dichiarata a chi di dovere già in primavera. Insomma, ha fatto quello che fanno tutti i ristoranti che sono seguiti da ufficio stampa: ha inviato un semplice comunicato stampa (tra l’altro ben fatto) che a differenza dei tanti che in redazione cestiniamo alla prima riga – perché riguardano nuovi menu rivisitati o cambi di tovagliato – ha catturato l’attenzione. Apriti cielo. Pioggia di elogi all’oltraggioso coraggio e critiche stellari, ne abbiamo lette di tutti i sapori. C’è chi dice che è una strategia di marketing, chi afferma che è una pagliacciata perché “le famigerate stelle mica si possono ridare”, chi “l’hanno fatto per pararsi il fondoschiena perché l’avrebbero persa nel giro di pochi giorni”, chi “hanno fatto bene perché non se ne può più di sti stellati”, chi “viva la libertà”, chi “si sono tolti un peso”, chi sostiene che avevano il ristorante vuoto e ora ce l’avranno pieno. E potremmo andare avanti a lungo se solo avessimo lo sbatti di aprire ogni commento che il magico mondo dei social ci concede di ammirare.
La sostanza è che ci interessa poco, che può essere vero tutto ma che molto probabilmente non è vero niente. Fatto sta che noi di Cook_inc. il Ristorante Giglio lo conosciamo molto bene – e pure da tempo – e ne abbiamo effettivamente visto e mangiato tante versioni e sinceramente le abbiamo apprezzate praticamente tutte. Contemporanee del loro tempo. Perché con questo ristorante condividiamo una città di provincia con le sue gioie e i suoi dolori. Abbiamo condiviso viaggi, organizzazioni di eventi, tanti momenti di svago e qualche delusione. E poi condividiamo un’amicizia sincera, di quelle fatte di scazzi e litigi perché quando c’è la stima reciproca ci sono pure quelli. Questo giustifica il fatto che ci sentiamo in diritto e dovere di parlare anche noi e di farlo con tutta la spontaneità che vogliamo. Abbiamo quindi deciso di parafrasare la nostra visione dei “ribelli di Lucca”, la loro costante metamorfosi (che poco ha a che vedere con la voglia di rivoluzione) e la vera verità dietro a questa decisione, che poi è quello che loro hanno dichiarato, che tutti hanno ascoltato ma poi hanno sentito il bisogno di indagare convinti dell’esistenza di un lato oscuro.
Benedetto, Lorenzo e Stefano in una foto del 2018 scattata per Cook_inc. 20
Essere in tre “bastardi”
C’era una volta il Giglio, quello che in pochi conoscevano: la lunga storia di un ristorante di stampo italo/toscano che mette radici negli anni Settanta e prosegue rigogliosa nei successivi decenni. Questa storia però ha un secondo inizio negli anni Dieci del Duemila, con la generazione di millennials che prende piede in cucina. Parliamo di Lorenzo Stefanini, Stefano Terigi e Benedetto Rullo, un’amicizia che profuma di famiglia in un contesto totalmente famigliare. I tre decidono di essere in tre, come i moschettieri, e questo deve esser letto già come un atto di coraggio. È il 2016 quando la nuova era effettivamente parte e per tutti i retroscena di questo Big Family Affair rimandiamo al bel articolo di Gloria Feurra nell’ormai lontano 2018 su Cook_inc. 20, il numero dedicato ai bastardi. Partiamo da quell’anno, dalla congiunzione di elementi e di personalità: due lucchesi esponenzialmente diversi e un romano che nulla ha a che fare con i due precedenti. L’unione delle componenti fa bingo. I tre iniziano un percorso caratterizzato dal non esser caratterizzabile, fatto di armonie di diversità che non si amalgamano ma si sommano. Sono una mescolanza di goduria. Cambiano i piatti così come le idee di cosa fare di quel ristorante. Sbucano i primi menu degustazione in fogli sfusi nelle pagine della carta, tra una caprese e un risotto alla parmigiana.
Tutto muta con naturale sequenza, la degustazione diventa il pretesto per il divertimento. In uno stesso menu si distinguono tre identità, tre punti di partenza e uno stesso punto di arrivo: la gola. Il tempo corre e loro pure, ma senza corrergli dietro: cucinano quel che gli pare, quel che li ispira. Il pane di Benedetto con l’immancabile supporto dello stoico lievito Pino rafforza la franchezza della voglia di fare le cose con senso e di farle bene. Al Giglio si ride, al Giglio si gode. È un equilibrio di spontaneità e cose fatte bene. Arriva la stella Michelin e manco la si cercava davvero. È il 2018 e mentre i tre Giglio Boys erano sul palco a ricevere il famigerato macaron, noi di Cook_inc. eravamo al Ristorante Giglio e stavamo mangiando arepas e pollo fritto, perché quelli erano alcuni dei piatti in carta. Gli anni successivi il Giglio ha continuato a essere “quel posto divertente dove sapevi di stare come non ti capita di stare spesso” perché la cucina era sempre uno spasso, la sala ti metteva e ti teneva a tuo agio e scegliere da quella carta vini decisamente personale era sempre un piacere. I piatti intanto cambiavano e alcuni diventavano iconici, il coriandolo diventava onnipresente dopo un viaggio nel Medio Oriente e all’interno di un singolo menu si riconoscevano le tre mani diverse, a volte nei sapori giapponesizzanti, a volte in quelli francesi. C’era un’armonia fatta di diversità un po’ bastarde unite dallo scopo comune: risultare in piatti di carattere, pochi ingredienti e ben definiti, pura gola.
Dopo la parentesi pandemica il Giglio è cambiato ancora, ma solo nell’estetica mai nell’essenza. Si sono aggiunte quelle sovrastrutture avvezze al fine dining, come gli amuse bouche e il pre-dessert, e la sala si è un pochino impinguinata, sono sparite le t-shirt a favore delle giacche da completo. “Abbiamo fatto il passo, abbiamo detto: a sto punto facciamo davvero” racconta Stefano. È andata male? Sinceramente no, il Giglio è rimasto quel posto in cui si stava sempre bene, però gli ingranaggi stridevano. “Con il senno di poi è stato un passo un po’ sbagliato, perché quel modo di essere non ci apparteneva. Però fa parte di un percorso, ed è servito a una consapevolezza maggiore”. Senza rinnegare niente.
I Giglio Boys a inizio 2024
“Stellato“
L’aggettivo stellato è controverso, identifica senza definire. Proprio questa capacità di definire qualcosa senza darne davvero una definizione riconoscibile si porta con sé sentimenti contrastanti. È un pregio esserlo, un lusso, così come è un peso, un continuo mettersi in discussione di esserne all’altezza che portano ad adeguarsi a degli standard che nessuno ha definito ma che tutti identificano come stellati. La percezione della clientela al riguardo però sta cambiando e sempre meno persone hanno veramente voglia di quelle convenzioni quando devono scegliere un ristorante in cui stare bene. Stellato è diventato sinonimo di “troppo caro”, di “solo per occasioni speciali”, di “che ansia stare a tavola tre ore”, di “quei posti dove non si può affrontare una conversazione perché ogni cinque minuti di interrompono con micro-bocconi e macro-storytelling”. Oggigiorno in una ampia fetta della società che mangia fuori questo termine incute timore. E anche da qui passa la scelta del Giglio di scucirsi di dosso quell’aggettivo.
Ristorante per tutti
Quella storia partita negli anni Settanta e cresciuta rigogliosa ha sempre narrato di un ristorante per tutti. Un ristorante che è sempre stato a forma di ristorante, con tovagliato e dettagli di charme, in cui l’aspetto non era discriminante e i turisti di passaggio per un piatto, un calice e via erano sempre i benvenuti così come le allegre famigliole lucchesi e i clienti di tutte le settimane che ci tenevano alla cenetta bella senza troppo impegno. Ridendo e scherzando noi di Cook_inc. l’abbiamo chiamato “la mensa” di Anna Morelli, per far capire la frequenza con cui Anna adorava pasteggiare a quei tavoli e portare chiunque fosse di passaggio a Lucca. La carta non ha mai abbandonato i menu, però l’aggettivo stellato nel tempo ha iniziato a far venire qualche scrupolo, a mettere un po’ di paura di provare quelle cose che abbiamo descritto sopra. Così i clienti di tutte le settimane hanno iniziato a venire solo nelle occasioni speciali, l’amico che passava per bersi un calice o un caffè al banco all’ingresso ha smesso di farlo perché “forse non si fa in uno stellato” e i ciclisti di passaggio hanno iniziato a sentirsi inadeguati nel sedersi in tenuta sportiva a mangiare un grandioso piatto di pasta.
Il Giglio è diventato un non-Giglio, al di là della cucina che manteneva l’essenza di sempre. Era un ristorante effettivamente diverso nella percezione esterna. Era un ristorante che non apparteneva più ai tre Giglio Boys. Gli stava scomodo, era stucchevole, noioso, inopportuno. Tra il sentire e il reagire c’è di mezzo il realizzare. Non dall’oggi al domani, ma con un po’ di tempo e ragionamento Lorenzo, Stefano e Benedetto sono arrivati alla conclusione: “è arrivato il momento di guardarsi, capirsi e reinventarsi. Vogliamo che il Giglio ci somigli, ci rispecchi, ci racconti. Vogliamo guardarci allo specchio e sentirci a nostro agio in quello che facciamo”. Vogliamo divertirci”. Senza rinnegare niente di niente, cambiare di nuovo. Perché il Giglio in fondo è sempre stato un ristorante molto fluido.
Un evergreen del Giglio, lo Spaghetto Comté e Vin Jaune (foto cortesia Ristorante Giglio) e il pane a lievito madre
È più un happening che un quadro
E quindi ora il Giglio com’è? Com’è sempre stato e completamente diverso. I tre si alternano la residenza in cucina perché negli anni alla famiglia Giglio si sono aggiunti Gigliola (luogo ibrido di cucina, pane e vino) e Bonny Pizza (la pizzeria all’italiana un po’ funky aperta insieme a Filippo Bonamici) e quindi essendo in tre è bene, bello e comodo interscambiarsi tra i tre locali. Sempre per quel fatto che ai Giglio Boys piace mutare.
Torniamo al ristorante Giglio. Le diversità di mani dei tre si sono amalgamate con il tempo (in fondo a stare insieme finiamo per assomigliarci) e le differenze di personalità si riconoscono nel lungo periodo. “Abbiamo un’idea comune di quello che deve essere il ristorante, poi c’è un resident che porta avanti la cucina in effettivo sulla linea guida di quello che si decide essere”. La cucina è concreta come lo era prima – e come qualcuno ha criticato – nel senso che è confortevole, ma quello che cambia dall’allure stellato è l’approccio. “Vogliamo rendere il posto più accogliente, servizio più informale, piatti di gola, con l’attenzione sul piatto per dieci secondi e poi attenzione al contesto, al tavolo, alla compagnia. Una situazione diversa rispetto a quello che contraddistingue un ristorante di ricerca, che è una cosa che amiamo perché siamo appassionati anche di questo, ma è bene che ci sia distinzione. Non è il nostro.
In fondo quello che hanno cercato in questo percorso non lineare è il loro linguaggio, “per fare un paragone con l’arte che fa parte della mia formazione – dice Stefano – si tratta più di un happening che di un quadro. Negli ultimi anni ci siamo molto ispirati a Gresca a Barcellona, un posto che ci piace da impazzire. Lì è tutto estremamente di qualità, ci sono professionisti di livello altissimo in sala e cucina ma è tutto molto easy going, l’approccio è semplice. Poi se vuoi puoi approfondire puoi farlo perché tutti conoscono ogni singolo dettaglio”.
Stare tutti bene è quello che conta adesso. Stare bene da clienti in un ambiente sereno e scomposto dove si mangia da voler tornare sempre. C’è la carta e il menu a mano libera che si discosta dal classico degustazione in tante portate e diventa una situazione all’italiana distinta in momenti: antipasti da condividere, un primo, un secondo a centro tavola e un dolce. Con piatti che cambiano a seconda del giorno e dell’umore e la sicurezza di voler avere un ristorante vivo non una sala museale. Spoiler, l’abbiamo provato questo nuovo sentiment e certifichiamo che è una figata e che è essere così slegati da imposizioni fa proprio bene a questo ambiente e si sente. È un Giglio a forma di Giglio quello di adesso, alleggerito da un peso emotivo (e chi se ne frega se la Michelin ancora li inserirà in Guida o bla bla bla le altre mille vicissitudini di questa vicenda). È il Giglio che vorremmo sempre, perché quel ristorante lo conosciamo bene e ci permettiamo di affermare così.
Lucca – vista su Torre Guinigi; foto per Cook_inc. 20
Benedetto un paio di giorni fa ha scritto su una storia di Instagram: “Il rifiuto della stella è stato un urlo iniziale che serve, certo, come atto comunicativo e provocatorio, ma soprattutto come gesto liberatorio che sia coraggio per proseguire un percorso di rinnovamento profondo della cultura dell’alta ristorazione. Ci siamo voluti far sentire è vero, ma perché abbiamo molto da dire, la stella presa e restituita è solo l’inizio di un percorso di cambiamento culturale sostanziale etico ed estetico della cultura del cibo”.
In definitiva, questa scelta riflette una libertà, non solo creativa ma soprattutto personale, che può essere compresa solo se si conoscono le persone, i pensieri e il percorso del Giglio. Per noi di Cook_inc., che abbiamo un rapporto profondo e genuino con il ristorante, questa mossa non è altro che un ulteriore segno della loro autenticità, una naturale evoluzione della squadra. Nel mondo delle stelle, delle recensioni e delle aspettative, il Giglio ha deciso di scegliere una strada diversa, che paradossalmente potrebbe riportarli più vicino alla loro vera essenza: un ristorante in continua trasformazione.
Ristorante Giglio
Piazza del Giglio, 2
55100 Lucca (LU)
Tel: +39 0583 494058
www.ristorantegiglio.com