Testo e foto di Lorenzo Sandano
24 ore di bacari, enoteche e ristori, in giro per “La Serenissima” con Francesco Brutto – “aperitivo e cena”
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Passeggiando a passo molleggiato tra ponti e canali, traspare sempre più la passione genuina che Francesco Brutto nutre verso Venezia: non c’è chiesa, mercato, galleria d’arte o canale che non conosca a menadito (approfondendo dettagli storico-culturali in scioltezza). O ci sta prendendo gusto nei panni della guida, oppure (tesi più realistica) ha vissuto assiduamente questa città con Chiara in ogni buco libero di tempo dal lavoro. Cerco di sabotare il suo romanticismo con fine bonario: prima costringendolo a scortarmi presso il Bacareto da Lele (posto iper-turistico che non vi consiglio, se non per tastare l’humus degli studenti a caccia di aperitivi low price); poi dirottandolo a ogni costo verso il Bar Alla Toletta, vista la mia assuefazione da tramezzini veneziani. In realtà questo paradiso di triangoli panciuti a base pancarrè e farciture traboccanti è apprezzato anche dal nostro cuoco, ma alla vista della mia ordinazione cospicua (circa 10 tipologie per due persone) e alla proposta di brindare con un Campari Spritz percepisco nitidamente il suo disappunto. Faccio overdose di tramezzini (davvero strepitosi!) e gli riconsegno le redini dell’itinerario con devozione.
Trattoria Al Bomba
Appena varcata la soglia, dal fascinoso appeal vintage, l’accento romano che mi accoglie è un bel trip dopo le bevute inanellate finora: scopro che Diego Lambertini (ex-sommelier alla Santeria di Roma) è oggi l’F&B Manager di questo intrigante progetto veneziano. Due soci, nonché amici, quali Tomaso Medici (già fautore di Ostaria Da Rioba, La Sete e Osti in Orto in laguna) e Simone Rosetti (prode ristoratore di quattro indirizzi in Romagna) hanno rilevato un’antica trattoria nel cuore di Cannaregio, rimettendola a nuovo nell’estetica e nell’offerta. Superato il bel bancone all’ingresso si accede alla sala principale in cui svetta un gigantesco tavolo sociale dalla capienza di 28 coperti: segnale di incoraggiamento alla condivisione spensierata sia di ottime bottiglie (la carta mette l’accento su vini di carattere) sia di piatti neo-tradizionali trattati in forma di cicchetti contemporanei e di pietanze conviviali.
Mentre la riconciliazione con Diego merita l’apertura di uno champagne, le sorprese non finiscono: Masa (lo chef nipponico che è già pronto ad ospitarci a cena più tardi) appare come un ninja per condividere qualche bevuta pre-servizio. Come smontare un luogo comune? Se si dice che i giapponesi hanno meno enzimi per reggere l’alcol, lui è l’emblematica eccezione che non conferma la regola. Sul tavolo dell’intimo cortiletto esterno piombano Saor di triglia con umeboshi e mandorle; Fritturine lagunari; Testine di vitello e kimchi; nonché Carpaccio di lingua, peperoni e salsa verde. Con altrettanta facilità il fantomatico duo Masa/Brutto tenta di svaligiare l’intera cantina del Bomba finché non scocca l’ora di cena e io ringrazio l’appetito infaticabile che accresce di pari passo coi volumi di vino ingeriti.
Osteria Giorgione da Masa
Arrivati all’ingresso dell’ultimo indirizzo, le aspettative sono altissime: durante tutto il giorno Francesco non ha fatto altro che descrivere questo luogo come il suo ristorante preferito di Venezia. Gli interni sono quelli rustici e calorosi di un’osteria datata, in cui legno e oggetti ancora trasudano le baldanze del passato. Ci accomodiamo al bancone che di colpo si tramuta in un omakase nipponico esportato in laguna. Masa si materializza dall’altro lato e ci impone un menu a mano libera, enfatizzando una sua mimica che mi rimanda al manga di GTO. Ma chi è lo chef Masahiro Homma?
Cuoco originario di Yokohama, dopo un’esordiente gavetta in Giappone viene attratto dai moti culinari della Penisola e vi si dirige per ampliare il proprio know-how. Racimola esperienze lungo l’intero Stivale sino a trovar quiete qui nella città delle gondole. Matura apprendistati elitari alla corte degli Alajmo e non si fa mancare passaggi da Al Ridotto; da Estro e da Zanze XVI, ma la vera svolta giunge in piena pandemia nel contesto più inaspettato: i gestori del tradizionalissimo Hotel Giorgione, decisi a switchare la propria osteria in un ristoro giapponese, gli propongono di diventare cuoco esecutivo nel 2020. Ora, io non sono un esperto della katei ryori (cucina casalinga Sol Levante style) del paese di Masa, ma vi assicuro che mangiare qui mi ha catapultato senza indugi sulle frequenze di sapori del mio viaggio in Giappone. Se ne avete modo, prenotate al banco e lasciate carta bianca: la gestualità coreografica di Homma, sommata alla levatura delle sue proposte, si enfatizza ulteriormente se vissuta dalla prospettiva chef-table.
Mollo Francesco e il suo collega armeggiare/confabulare tra bottiglie di vino procacciate da mezzo mondo (si beve alla grande, con – volendo – 2/3 assaggi di pairing per ogni portata), mentre mi concentro sulle meraviglie modellate nei piatti. Pesce freschissimo dall’Adriatico (e non solo) in una verticale elettrica di bocconi e pietanze da compartir a dir poco galvanizzanti, che alcuni si divertono a definire giappo-cicchetti. Impossibile elencare l’infinità di stoviglie, scodelle e piattini che vi appariranno sotto gli occhi, ma la metrica da samurai-freestyler di Masa nell’orchestrate ingredienti esotici e locali (tra fermentazioni, marinature, dry-aging e qualsivoglia tecnica contemplabile) non lascia spazio all’improvvisazione. Il Crudo del giorno (almeno 6 elaborazioni) già vi manderà in estasi le papille con stoccate chirurgiche come: Insalata con sashimi di ricciola affumicata al fieno, rapa e salsa vinaigrette di mela verde; Calamari in salamoia di sake e soia per 10 giorni; Ventresca di tonno rosso stagionata 3 settimane; Involtino di alga, riso e pesce spada marinato al sesamo. Poi, in un climax travolgente: Coda di rospo nanbanzuke (fritta e sott’aceto) in brodo nipponico; Riso con testa di ricciola “candita” in soia e zenzero”; Uovo stile tamago con asparagi, maionese al sesamo e katsuobushi; Cime di rapa, cozze affumicate e salsa di miso; Mazzancolle scottate cosparse da polvere delle loro teste; o un arrangiamento di Tempura di carciofi e radicchio tardivo con salsa tosazu, affiancata dal mitologico Pollo fritto “karaage” per cui perdere la dignità al primo morso. I Gyoza di gamberi homemade in salsa ponzu (con side di maionese allo shiso) sono ormai un signature per l’assuefazione che provocano a chi li mangia; ma anche la Guancia di ricciola alla brace con riduzione di soia e limone fermentato o il caleidoscopico Cirashi Sushi di anguilla laccata e pepe sansho si imprimono all’istante nella memoria per esecuzione, prodotto e profondità.
E quando pensi che l’indole prolifica di Masa non possa innalzarsi più di così, lui ti stende con un revival preso dal suo primo menu all’apertura dell’osteria: una mirabolante Pancia di maiale stufata “kakuni” e friggiteli arrosto, che dal canto del suo minimalismo visivo irradia il palato con polifonie di contrappunti e testure suadenti a cui è dannatamente bello arrendersi. Mentre sollevo lo sguardo dal piatto – quasi riemergendo da un sogno – scorgo parate di sugheri e bicchieri reduci dalla serata insieme a un Francesco Brutto imperterrito nell’architettare un tasting fatale di sake. Arrivano anche i ragazzi di Vino Vero a sbicchierare per il fine-servizio, quale riprova del sincero legame fiorito tra le realtà cittadine. E mentre si dissolve l’ipotesi di un cocktail conclusivo al Mercante (che vi metto comunque in lista) voglio chiudere l’itinerario con questa istantanea schietta e vivace di umanità condivisa da Giorgione, potenziata da un Masahiro allegrotto che rivendica la cittadinanza veneziana dopo oltre sedici anni trascorsi qui. Quanta bellezza, quanta bontà scoperta grazie a Francesco. Questa sì, è proprio l’unica Venezia dove vivrei.