Testo di Cristina Ropa
Foto cortesia di Simone Rosetti
Tra sognatori e sognatrici ci si riconosce. Quello che ti muove nel compiere ogni azione, riflessione, decisione è un qualcosa che viene dal profondo, che non lascia niente al caso, che si nutre di emozioni già vissute per poi crearne di nuove e amplificarle, trasmetterle come se fossero piccole pepite d’oro capaci di illuminare ogni cosa intorno, di influenzare ed emanare per osmosi un’armonia, un’energia meravigliose. Ci si riconosce, sì. Riconosco in Simone quell’essenza così come lo sforzo, l’impegno, il duro lavoro per poterla plasmare in materia, in luoghi dall’atmosfera accogliente e avvolgente, luoghi dove essere umano e natura si intrecciano per celebrare quanto di più bello ci possa essere: la vita, quella autentica, che viene dalle cose semplici, genuine, sincere.
Sono sei i locali in cui Simone Rosetti è riuscito a infondere il suo spirito sostenibile e cosmopolita di cui mi ha parlato davanti a un vino biologico spagnolo dalle eccezionali qualità l’Arenas de Santyuste Esmeralda Garcia e due piatti dai sapori inaspettati e sorprendenti: sgombro marinato con capperi e cetrioli e Pleurotus arrostito con qualche goccia di cren che mi sconnettono da tutto e mi catapultano in un’esperienza gustativa che sì, mi fa sognare. Siamo nella Cantina Letteraria, di ultima nascita. Un progetto realizzato con Paolo Emilio Persiani Editore in Via Mascarella a Bologna, un luogo dove libri, prodotti del territorio e vini naturali si incontrano e si raccontano. Una melodia sulle corde più sensibili ed esploratrici dell’essere umano che accompagna ogni bottiglia stappata, ogni libro aperto, ogni piatto gustato a scoprire nuove emozioni, nuove consapevolezze e inevitabilmente nuove parti di te. Un imprenditore, Simone, globe trotter sempre alla ricerca di stimoli, di avventure da condividere, un giovane che attraverso il riconoscimento del talento altrui, con umiltà e tenacia, è riuscito a fare di ogni sogno una realtà.
In dieci anni hai aperto sei locali e fondato la società Romagna Gourmet di cui fanno parte la Ca’ de Be’ di Bertinoro, l’Enoteca Pisacane di Cervia, il pastificio La Sprunela di Castiglione di Cervia, la Vineria del Popolo di Cesena e il laboratorio di panificazione naturale Yeast Panelab di Pinarella. Tutti luoghi dove l’attenzione verso la sostenibilità è presente in ogni dettaglio. Come sei riuscito a realizzare tutto questo?
Tutto parte da quando ho avuto il pieno appoggio, non economico poiché i finanziamenti li ho trovati da solo, ma emotivo della mia famiglia. Loro mi hanno dato la completa libertà di scegliere quello che volevo fare. Mio babbo e mio zio erano geometri e mio nonno aveva un’impresa edile. Io ho studiato all’Istituto per geometri poi durante la mia adolescenza mi sono avvicinato al mondo della ristorazione facendo le stagioni al mare. Finita la scuola ho intrapreso quella direzione. Un’altra cosa fondamentale sono state le persone che ho incontrato in questi anni. Ogni esperienza che fai, ogni sbaglio, ti da sempre qualcosa. Prima ho iniziato come dipendente poi sono passato a lavori dove avevo più libertà come quando facevo il sommelier o il maître nei ristoranti in riviera e mi permettevano di scegliere le carte dei vini o di organizzare la sala. Ogni volta questo scambio mi ha dato la possibilità di crescere. Altro aspetto fondamentale per me è stato viaggiare. Negli ultimi vent’anni ho avuto la possibilità di vedere buona parte del mondo. Da lì ho preso spunti, idee, determinazione e ho avuto anche la possibilità di alleggerirmi, di rilassarmi per poi tornare più carico. Nel momento in cui non sei sempre focalizzato sul lavoro ma ti stacchi puoi vedere anche soluzioni ai problemi che tutti i giorni non vedi.
Qual è la filosofia che sta alla base di ogni tua attività?
È nata in evoluzione con il mondo del vino e si basa sul forte rapporto che ci deve essere tra l’essere umano e la terra. Sono cresciuto con le verdure di mio nonno che venivano dall’orto. Con mia nonna poi la domenica facevamo i cappelletti e le tagliatelle in casa. Ho voluto riportare tutto questo anche nelle mie attività. Oggi vedi tanta comunicazione basata sui principi della sostenibilità ma poi all’interno dell’attività non è così. Io ho preferito prima farle le cose e poi comunicarle con le foto anche se preferisco che sia il ragazzo o la ragazza che ti serve a spiegare che quel pomodoro viene dall’orto. Ha un effetto più immediato, più reale, più ricco. È un racconto. Uguale per quanto riguarda la ricerca dei vini. Cerco di scoprire nuove aziende vinicole e quindi nuove etichette da mettere in carta. Questa, ad esempio, che stiamo bevendo viene dalla Spagna. È di una ragazza giovanissima che ha iniziato a produrre da qualche anno. Come noi non mettiamo niente nella terra del nostro orto anche in questi vini non ci sono sostanze chimiche di sintesi o di solforosi. Eppure sono perfetti, puliti.
Qual è stato il momento più difficile in questi anni?
Quando ho iniziato a non essere più presente fisicamente in un locale e ho dovuto imparare a delegare. Ho fatto corsi di formazione con un mental coach che mi ha spiegato come gestire le varie attività oltre che frequentare i classici corsi da food and beverage manager. La parte che mi serviva di più allenare però era quella legata al lavorare con le persone. In ogni locale ci deve essere la mia filosofia, la mia idea anche quando non ci sono. Il percorso di formazione oltre a farlo io lo hanno fatto anche i responsabili aziendali poiché anche loro hanno altre persone da gestire. Questa è la forza della nostra azienda: dare la libertà alle persone di prendersi i loro tempi lasciando anche a loro la possibilità di viaggiare, di girare perché la stessa cosa che posso fare io possano farla anche loro. Se crescono loro cresce anche l’azienda.
Essendo il viaggio un elemento fondamentale per la crescita della tua attività, che tipo di approccio hai quando ti avventuri alla scoperta di nuovi luoghi?
Per me parlare con le persone e scoprire le culture è la cosa più importante. Entrare dentro al loro modo di vivere. A volte ho viaggiato anche per tanti mesi da solo con lo zaino in spalla. Mi è servito tantissimo perché andare a parlare per capire è una scoperta che ti porterai poi sempre dentro anche nel momento in cui torni. In più adesso negli ultimi anni cerco di scoprire anche la parte culinaria del paese che visito. Di recente sono stato in Messico e mi sono interessato a scoprire come veniva fatto il mole poblano nelle campagne di Oaxaca così come sono andato alla ricerca delle piante dell’agave quelle indigene difficili da trovare.
Dove si può vedere nelle tue attività questo imprinting del viaggio e della diversità delle culture?
Innanzitutto, si può percepire nell’atmosfera. Mi piacciono gli ambienti caldi e verdi quindi il richiamo alla natura lo si trova sempre. Poi ogni locale ha uno spunto da un viaggio. Se vieni in quello a Cervia è palese perché è un tapas bar, sembra di stare in Andalusia. Stai dentro al locale e pensi “Non sono a Cervia”. Tutte le ceramiche di rivestimento del banco, il legno, i ripiani sono fatti come i locali di Siviglia. Si vede a occhio. Il locale di Cesena ha invece uno stile più nordico, sembra più di stare a Copenaghen. Mi è sempre piaciuto arredare. È una parte del geometra in me che è rimasta. Infatti, i lavori per gli interni li seguo io con l’aiuto di un architetto e di artigiani molto bravi che lavorano il ferro e il legno e che mi seguono da anni. Anche in questo caso tutto è sostenibile. Cerco di utilizzare sempre solo materiali di recupero. Non trovo coerente avvicinarsi alla natura in tutto e poi deturpare per costruire. Quindi tutti i mobili e i locali sono recuperati, spesso sono aree in disuso che i Comuni hanno messo a bando per finalità di ristrutturazione. Anche quella parte è fondamentale perché la filosofia che sta alla base deve essere completa. Quello che trovi nel piatto lo trovi nell’idea e lo devi trovare anche intorno a te.
Il vostro impegno nei confronti della sostenibilità è forte ma spesso è difficile riportarlo proprio in ogni singolo aspetto di un’attività imprenditoriale. Voi ad oggi quanto siete riusciti a fare?
Nei miei locali, ad esempio, non trovi un filo di plastica monouso. Sono anni che non la utilizziamo. Nella terra non diamo prodotti chimici, come ti accennavo, usiamo seriamente i prodotti di stagione e quindi non prediamo il mare quando non è il momento. L’intento è quindi di utilizzare prodotti che si autoriproducono e non quelli che consumano il nostro mondo. Penso che questa sia la cosa fondamentale e cerchiamo di trasmetterla nei nostri menu. Allo stesso tempo andiamo sempre alla ricerca di produttori che facciano la stessa cosa. Se cerco di lavorare in una certa maniera ma poi vado da un allevatore di galletti che utilizza il sistema intensivo che senso ha? Tanto vale che cerchi il produttore che li alleva facendoli stare bene, nutrendoli in modo naturale. Non ce n’è uno ma è una serie di fattori che nell’arco degli anni vanno approfonditi, sistemati e affinati.
Avete proprio tutto sostenibile? Anche i bicchieri?
Sì tutto. Per la produzione di bicchieri anziché comprare da aziende all’ingrosso dove avviene il trasporto di materiale dalla produzione al magazzino di stoccaggio per poi essere mandato alla marca per mettergli il logo portarlo in magazzino e alla fine rivenderlo al consumatore, sono andato direttamente dalla fabbrica del vetro. Ho preso un bancale, l’ho pagato meno e ho rifornito tutte le attività. Ho evitato in trasporti non hai idea di quanto. Cerchiamo di fare anche questo. Quando posso ad esempio prendo gli animali interi così evito in trasporti, evito in stoccaggi e quindi in dispersione di energia. Abbatto il costo anche. Oggi serve la manualità, serve il saper fare, serve l’arte. Se tu hai una persona in casa, in azienda che è capace a farlo sei a posto. Meglio investire sulle persone che ti permettono di avere un risparmio sia in termini economici che di sostenibilità.
Come mai secondo te nel mondo dell’imprenditoria c’è tutto questo green washing?
Perché è più facile. Ti serve qualcosa? Vai al supermercato. È questione di pigrizia. È comodo avere tutto e subito. Bisogna cercare di capire come utilizzare al meglio il tempo. Questo fa la differenza in tutto. Nel tempo per sé ma anche nel come quel tempo viene utilizzato per fare del bene. A sé stessi e al mondo, a quello che stiamo vivendo. Non ce ne vuole di più, basta solo ottimizzarlo.
Trasformare la pigrizia significa fare quello sforzo in più per tirare fuori la propria creatività. Un atteggiamento che possiamo riportare in ogni cosa. È impegnativo ma anche molto entusiasmante e in più facciamo del bene al Pianeta.
La cosa più difficile sono le idee. Noi facciamo un’infinità di brainstorming perché per me le idee sono fondamentali. In un mondo che tende a zittirti le persone perdono la voglia di dire la propria opinione. O se la dicono lo fanno in modo sbagliato ovvero tramite social. Quando vedo che i ragazzi e le ragazze hanno paura a esprimersi dico loro: “Guardate che la mia idea rispetto a un locale o a una scelta aziendale è la mia ma se mi dite anche la vostra idea che siete in dieci avrò poi dieci idee e potrò scegliere qual è la migliore!”. È importantissimo questo scambio, dar loro fiducia, ascoltarli. All’inizio non ero così. Pensavo che se avessi dato fiducia poi avrebbero potuto fregarmi poi ho cambiato pensiero. Quando mi sono totalmente fidato di loro hanno iniziato a dare molto di più. Perché hanno iniziato a prendere loro stessi delle decisioni. Questo fa emergere la loro personalità, la loro identità e si sentono più sicuri nel lavorare e gestire altre persone. Io, ad esempio, se vedo che in un locale c’è qualcosa che non va non lo dico mai sul momento. Al massimo ne parlo con il responsabile e poi sarà lui a dire quello che c’è da fare. Se intervenissi direttamente sarebbe come se lui non ci fosse. La sua autorità va a quel paese. Ho iniziato a fare consulenze per altre aziende perché mi sono accorto di quanto una realtà lavorativa possa cambiare con poco. Bastano due o tre accorgimenti da parte del titolare. L’ho visto proprio parlando con altri amici imprenditori e raccontando come reagisco e mi occupo di determinate cose.
Come riesci a mantenere l’armonia e l’equilibrio tra così tante persone?
Se c’è qualcuno che non si sente parte non c’è neppure bisogno di licenziarlo perché si auto esclude in un gruppo così forte. Negli anni poi ho imparato a delegare e ho avuto la fortuna di aver trovato persone molto brave nel loro lavoro. Una delle prime cose che mi ha detto il coach è stata: pensa a come potrebbero fare gli altri quella cosa che hai sempre fatto tu, perché forse tra di loro c’è qualcuno che riesce a farla anche meglio di te. Mi sono accorto che questo approccio ha fatto la differenza. Se fosse per me, ad esempio, i locali sarebbero tutti in perdita. Io offrirei a tutti perché sono fatto così. Non ci posso fare niente. Se vengono amici voglio farli stare bene. Poi mi hanno fatto notare che affinché il locale andasse bene dovevo guadagnare! I primi anni infatti ero in rimessa. Poi una persona ha iniziato a controllare bene i conti e a dirmi se potevo muovermi in quella direzione oppure no in merito alle spese. Ora c’è una persona che mi segue le risorse del personale e una il problem solving. È tutto in continua costruzione. Siamo in un periodo di evoluzione con nuove idee. Vorrei aprire una pizzeria gourmet e poi ho il sogno di aprire un ristorante dove fare alta cucina. C’è già la location ed è spettacolare.
Si percepisce quanta passione metti in ogni cosa che fai. Tutte le volte che apri un locale è come se concretizzassi un sogno.
Praticamente sì. Ho un’amica che mi dice che sono un consumatore di emozioni. Ho sempre bisogno di adrenalina. Sono appena tornato dal Messico e tra una settimana andrò in Francia. Questo week end ho trovato un buco al ristorante Venissa e andrò lì. Ho bisogno in qualche modo di sfogare, di staccare.
È l’animo dell’esploratore, di scoprire, di scavare per aprire la mente e crescere.
Per me è fondamentale. Che sia andare a una visita in cantina o a pranzo da uno chef. Già mi basta quello per rigenerarmi. Mi vedono sempre in giro e quindi chi non conosce realmente il lavoro che c’è dietro potrebbe pensare anche che io non faccia nulla. Una volta mi dava fastidio ma ora sono arrivato a un momento della mia vita a 40 anni in cui mi sento molto zen. Ho raggiunto un equilibrio. Il mio coach dice che se non sono in forma, se non sono al 100% non mi devo far vedere nei locali. Se andassi a parlare con i responsabili quando sono giù lo trasmetto non sai a quante persone. A lui ma anche a tutte le persone che entrano in contatto con lui.
Come fai quindi a essere sempre al 100%?
Mi basta anche solo aprire una bottiglia di vino. Ho imparato negli anni che la ricerca della felicità sta nelle piccole cose ed è quello che cerco di trasmettere anche ai miei collaboratori e collaboratrici. Dico sempre loro che se si mettono l’obiettivo della felicità nelle cose irraggiungibili non saranno mai felici. Siate contenti delle piccole cose, poi magari crescono.
La felicità riguarda la dimensione interiore della nostra vita. Ed è proprio partendo da dentro che si possono cogliere le sfumature del qui e ora e stare bene. È importante vivere ogni istante con pienezza.
I viaggi in Asia mi hanno cambiato tanto e ho avuto anche un lutto importante in famiglia. Quando pensiamo ogni giorno che abbiamo dei problemi c’è chi si focalizza e non riesce a uscirne. Quello che cerco di trasmettere è di pensare subito a una soluzione. Diventa un modo di vivere molto più fluido e si diventa positivi. Quando facciamo le riunioni l’importante è parlare di positività. Il dire le cose giuste sulla base di quello che può davvero servire.