Testo di Barbara Marzano
Foto di Alberto Blasetti e Chiara Schiaratura
È difficile finire un puzzle, unire tutti i pezzi e comporre l’immagine che ci aspettiamo. A meno che non si ragioni per conoscenza, come se quella stessa immagine fosse già apparsa nella testa quasi spontaneamente. È pratica quotidiana per Rigels Tepshi. Accosta sensazioni che già conosce, assorbite con l’esperienza che ormai si è insediata nella mente. C’è da fidarsi? Perché allo stesso modo ha intenzione di accostare la tradizione partenopea a quella della Lomellina – nel pavese – dentro la sala di Ottocentodieci, l’insegna a rappresentanza dei chilometri che separano e connettono due realtà, Caivano (NA) e Sannazzaro de’ Burgondi (PA).Non solo sud e nord sulla stessa tavola, ma i chilometri percorsi da una famiglia che ha lasciato la terra nativa e carta bianca a Tepshi, per raccontare come la propria tradizione sia arrivata quassù.
Si tratta dell’ultima generazione della famiglia Magri, Annalisa e Veronica, due sorelle che gestiscono Ottocentodieci e l’hotel Eridano, raccolti in un’unica struttura nata da un caseificio dismesso, a 50 km da Milano, 26 da Pavia, 130 da Torino e a meno di 100 dal centro di Genova, dove la mente di Rigels si fa 810 chilometri ogni giorno.
Creare per conoscenza quanto per connessioni. La stessa connessione che genera empatia non appena si è a tavola di fronte a uno snack, Coca & Chips, un’anticipazione che con sottile umorismo apre lo spettacolo con Averna, bitter amaro, essenza di agrumi e gingerbeer in vetro, in accompagnamento a chips di patatine e crema di maionese. Spegnete i telefoni e connettete voi stessi, questa è una cucina zero scarto di sapore. Il pomodoro, come qualsiasi materia, vive tutto il suo spettro di identità: buccia, semi, polpa, ciascuna parte si distingue dalle altre per gusto, potenziale e destino. Dietro a un semplice pomodoro, il palato si scontra con tre giorni di preparazione, quando va bene, e probabilmente dieci lavorazioni differenti.
La cucina di Rigels ha una personalità multipla che riunisce 18 anni di esperienza, di stellato in stellato, creata sull’impronta acida di Luigi Taglienti e la ricerca della perfezione di Antonio Guida, un’eredità che lo incoraggia a raggiungere il firmamento con le sue mani. Sì, perché Rigels spesso usa le mani e soprattutto la testa, senza dare precedenza al gusto “Non assaggio tutti i piatti, perché so che funzionano. È matematico”.
Conosce ciò che tocca, sceglie e lavora, così a fondo da poterlo accostare senza inciampare nel dubbio. E L’Oca, fieno e capasanta non tradisce questo presupposto. Servita in tre mandate, incarna il progetto 810 al 100%: apre con l’oca spolpata e lavorata totalmente a mano, tradizione pavese passata per i ricordi di Rigels – “Come faceva la nonna”– che scoglie il palato a piccoli passi. Prosegue con il sorbetto di fieno, strascico del ricordo antecedente, che richiama le note del bastoncino di liquirizia della sua infanzia. Si chiude con un ritorno al sud, con la pesca fortunata di una capasanta glassata con una riduzione di oca.
Nord e sud si danno un secondo appuntamento, nel Risotto Carnaroli Riserva San Massimo servito in vesti campane. Un trittico di creme, friarielli, alici di Cetara e patata accarezza il riso su cui riposano gli stessi tre ingredienti nelle loro consistenze naturali. “Le persone non sanno mai cosa c’è dentro un piatto, non possono vedere né conoscere gli ingredienti precisi, a meno che non li vedano in superficie”.
E se l’indecisione tra carne e pesce non dà pace, si ripiega sulla Sogliola in crepinette, mortadella e limone nero. Un filetto che dopo 5 giorni di frollatura, viene avvolto nella sfoglia di lardo e poi nella rete di maiale, prima d’essere scottato e nappato. Di contorno un’estrazione di mortadella svestita della parte grassa. Il gusto? Quello di un’animella dall’anima ittica, chiusa dal succo di un limone nero fermentato.
La tradizione si chiude con il Castagnaccio, un elogio alla castagna raccontata in tutti i suoi stadi. Solido nella base tradizionale, cremoso nella schiera di quenelle di sorbetto e denso nel fondo vegetale, sempre di castagna, che circonda tutt’intorno.
E se nei piatti c’è un traffico di accostamenti, in superficie c’è la tranquillità della sala blu di Prussia. L’umore viene distratto dall’udito impegnato tra la chanson di Edit Piaf e il soul di Nina Simone, mentre la vista s’incanta nel movimento fluido della cucina, che emerge dalla parete della sala come un acquario limpido. Cucina a vista o vista alla moda?
Molto di più, un modo per rendere partecipe lo spettatore senza vincolarlo, che ritrae chi sta dietro e dentro ogni portata: “Gioco una carta vincente con i miei ragazzi, si chiama stimolo”. Non c’è tempo di abituarsi a un ingrediente e al suo impiego, che ce n’è già un altro da provare. “Cerco materie prime rare, che ho scoperto con l’esperienza sul posto, come i semi di kulunji black: il cumino nero che riequilibra il fondo vegetale del Castagnaccio”. Sicuramente una tecnica che fa sì che la curiosità della brigata non sia di natura episodica ma abituale, come una medicina per lo spirito pronta a debellare la monotonia fin dai primi sintomi. Da Ottocentodieci non ci si annoia. Si ha l’impressione di essere dentro un’istantanea vivente, chiamati dal rigore nordico e trattenuti dal calore del sud, in un puzzle di accostamenti incredibili che Rigels rende degno di fede.
Ottocentodieci Ristorante
Via S. Bernardino, 24
27039 Sannazzaro de’ Burgondi (PV)
Cel: +39 342 31 66 339
Tel: +39 0382 997447
www.ottocentodieciristorante.it