Perché alla sua venticinquesima edizione Ein Prosit a Udine è stato l’evento più figo in assoluto
Testo di Greta Contardo
Foto cortesia di Ein Prosit
Il cibo è cultura, vero. Per dirlo con le giustissime parole dello storico Massimo Montanari: “È cultura perché ha inventato e trasformato il mondo. È cultura quando si produce, quando si prepara, quando si consuma. È il frutto della nostra identità e uno strumento per esprimerla e comunicarla”. E non potremmo esser più d’accordo di così, noi che l’universo enogastronomico lo usiamo come punto di vista prediletto per parlare di tutti gli aspetti che riguardano la società. Lo mettiamo al centro di riflessioni culturali e sociali –troppo spesso in cerca di messaggi e di significati intangibili, di “qualcos’altro” – ma rischiamo di dimenticarci della sua dimensione più immediata e autentica: quella del piacere edonistico strettamente legato alla nostra natura biologica. Mangiare è un meccanismo evolutivo che ci spinge a nutrirci e a cercare cibi che ci fanno sentire bene; è uno dei piaceri primari della vita, un microcosmo di sensazioni quello che coinvolge tutti i sensi, ci regala soddisfazione fisica ed emotiva. È un piacere semplice, corporeo, che – nella contemporaneità (privilegiata) che viviamo – trascende spesso dal bisogno a favore della gola, diventando un piacere intrinseco della quotidianità. E tendiamo a demonizzare questa dimensione di peccato capitale che fa parte del nostro rapporto con il cibo, ma ehi!, da quella tutto parte e a quella tutto si riduce quando qualcosa è dannatamente buono. Mangiare per il piacere, in fondo, è parte della nostra umanità.
Ein Prosit è essenzialmente questo, un grande piacere: “la gola consola, la sete cincin”. Un po’ rito solenne, un po’ carnevale, a tratti quasi Natale, la manifestazione enogastronomica per eccellenza giunta alla venticinquesima edizione da qualche anno trasforma il centro di Udine nell’epicentro della cucina più interessante che si può a trovare a livello internazionale. È una festa, senza morali da vantare o messaggi subliminali da ostentare: a Ein Prosit i cuochi cucinano e gli ospiti mangiano in quel senso edonistico del piacere di cui abbiamo blaterato prima. That’s it.
Ein Prosit è: cene, degustazioni guidate, laboratori, incontri in città ed eventi speciali. Ma è soprattutto cene e chef. È impressionante pensare che a Udine si sono radunati novanta chef da tutto il mondo per cucinare in una cinquantina di cene dal 16 al 20 ottobre. È ancora più impressionante pensare che i professionisti “da fuori” coinvolti in queste cene erano circa trecento, contando tutti i membri di cucina e sala che ciascuno chef si è portato con sé. Si crea un ambiente unico di interazione e scambio, un ambiente molto rilassato e decisamente felice. Durante il giorno l’Osteria Al Cappello nel cuore di Udine si fa quartier generale per tutto e tutti, si incontrano tutti lì. E la sera, finite le cene, tornano tutti a ritrovarsi al secondo quartier generale, l’amato after party (quest’anno al Caffè Contanera) per qualche cocktail, ottima musica e un piatto di pasta perché “tassativamente le serate devono finire con una buona pasta per i cuochi” racconta Paolo Vizzari. Le cene non sono dei banali quattro/sei/otto mani in cui ciascuno porta qualcosa di sé stesso e i piatti si alternano in una noiosa processione asettica. Le cene sono tematiche, mettono insieme diverse teste e il doppio delle mani, ma sono momenti speciali di commistione di cose. I cuochi si divertono, sono stimolati, non vedono l’ora. Ce l’hanno confermato Carlo Cracco così come Matias Perdomo e potremmo citare tutti i novanta partecipanti. E non ci sono cene di serie A e di serie B: sono tutte talmente diverse che non si possono nemmeno mettere a confronto. Come puoi comparare una Festa latina con un duetto di giapponesi che ricrea il mood di un izakaya o con tre chef indiani che tutti insieme ripropongono quello che mangerebbero a casa loro? Il bello della manifestazione sta proprio nella capacità degli organizzatori – Claudio Tognoni con il formidabile supporto di Paolo Vizzari, Manuela Fissore, Thomas Barker – di mettere insieme tutti gli elementi per far nascere qualcosa di irripetibile. “Tutto il mondo intorno a un fuoco, come fosse un grande gioco, qui chi vince conta poco, mischia il mazzo e pesca un cuoco” scrivono proprio loro nelle rime di apertura del giornalone di Ein Prosit. È un grande gioco in cui non vince nessuno, ma si divertono tutti.
Ein Prosit non è sempre stata così. Nei primi anni di Tarvisio c’era la fiera/mercato del vino, c’erano gli showcooking e c’erano già le cene ma molte meno. Poi si è spostata a Udine ed è diventata sempre più quello che mancava in tutti gli eventi: questo clima di festa grande. Racconta Paolo Vizzari: “Girando tantissimo per gli eventi di tutto il mondo abbiamo voluto creare quello che avremmo sempre voluto trovare. Ed è bellissimo vedere che pian piano negli anni il mood sta andando sempre di più in questa direzione”. Gli chef che vengono una volta vogliono tornare e il passaparola tra cuochi fa si che i nuovi arrivino già predisposti a qualcosa di diverso, a cucinare assieme ad altri in tutto e per tutto. Per questo in molti ci tengono a portarsi con loro i ragazzi delle brigate, per far vivere questo sentimento di stimoli e divertimento. Qualche nome di chi ha portato una buona parte della brigata? Christophe Pelé de Le Clarence di Parigi, Yoshihiro Narisawa e Bruno Verjus. Ma come loro anche molti molti altri.
Impressionante è anche il coinvolgimento e l’affetto della città di Udine. I ristoranti dentro e fuori città sono a completa disposizione per ospitare le cene, i cittadini sono felici e partecipano attivamente ai momenti della manifestazione. Ricorda Paolo: “Il primo anno a Udine ci stupì molto ricevere una mail di ringraziamento dai commercianti di Udine. Non i ristoratori, ma proprio i proprietari dei negozi che avevano notato un notevole incremento grazie al passaggio internazionale portato dall’evento”. Difficile immaginare un evento così in altre città, Udine è strategica, tutto è a portata di piedi e “i cuochi non hanno amici da salutare e quindi sono sempre tutti riuniti. Ci vuole una realtà provinciale che ti isoli e crei una bolla” e Udine è perfetta in questo. Il coinvolgimento del pubblico è pazzesco: le cene vanno sold out in quattro quattr’otto e a Udine arriva gente da ogni dove, persino dalla Russia, e il target è sempre più giovane. “A una cena ho incontrato un ragazzo di Cosenza, con la mamma e qualche amico. Lui sta facendo uno stage a Bergamo ma la mamma l’ha raggiunto a posta da Cosenza”. Per capire il livello di sold out, il proprietario del Vitello d’Oro nel cuore di Udine ha raccontato di aver chiuso le prenotazioni della cena Pia Leon & Vicky Cheng in meno di 25 minuti. Sessanta posti esauriti in un attimo, altri sessanta in lista d’attesa e oltre mille telefonate/mail e richieste di prenotazione dei giorni successivi. La questione prezzi è fondamentale: le cene più costose si aggirano sui 180 euro, le altre intorno ai 100 -130 euro. Non sono prezzi “popolari” ma sono decisamente concorrenziali se si pensa che cenare nei ristoranti della gran parte dei partecipanti costerebbe almeno 300/400 euro. “È successo che chiamassero persone per offrire anche 2000 euro per un posto a una cena già sold out. Ma non ci interessa, queste sono le persone che vanno già tutto l’anno nei ristoranti e possono permettersi di spendere quelle cifre. A Ein Prosit vogliamo che partecipino gli appassionati. Quelli che si fanno i selfie per strada con Mauro Colagreco e Ana Roš come se avessero appena visto Maradona. Vogliamo quell’entusiasmo”.
Con una mole di evento così sorge spontanea una grande domanda: qual è l’economia della faccenda? Ce la spiega Paolo Vizzari in soldoni. “Si parla di cifre ben superiori al mezzo milione per mettere in piedi la macchina e il 90% delle spese sono per la logistica: i voli e gli spostamenti di tutti i partecipanti, che sono tanti e vengono da tutto il mondo. Una maggior parte del supporto arriva dalla Regione Friuli Venezia Giulia che crede e ha sempre creduto nell’importanza di questa manifestazione che non crea un ritorno di indotto immediato ma agita le acque. Avere a fianco una Regione così propensa a promuovere e supportare un evento del genere è essenziale”. Il ricavato delle cene non rientra nelle tasche dell’organizzazione. “Per una cena di 180 euro a persona, 30 euro vanno al ristorante che ospita per la disponibilità e per i costi vivi. Attenzione, non è il ristoratore a occuparsi di acquistare le materie prime e nemmeno l’organizzazione. Sono i cuochi ospiti a farlo a loro totale discrezione. Hanno a disposizione circa 150 euro (sempre parlando di una cena da 180 euro) divisi tra quanti sono a cucinare e possono decidere di spenderne 15 in food cost e tenersi il resto oppure spenderli tutti. Molti ne spendono addirittura di più e se ne fregano, vogliono far felici gli ospiti e rendere le serate memorabili con il meglio”. Ci sono poi i cuochi che da lontano si portano i propri ingredienti, come Narisawa che leggenda narra sia arrivato a Udine con 23 valigie imbarcate in stiva. Qualche valigia non arriva chiaramente e un tempo gli chef andavano nel panico per questo. Ora hanno imparato a non interessarsene e a farsi prendere dal gioco se qualcosa non arriva e in questi casi escono le cose più belle, con maggior contenuto.
E come andrà avanti tutto quanto? Crescerà ancora la manifestazione? “Domanda da ottantamilionididollari: quello che stiamo cercando di fare come transizione è la parte un po’ più pop, sto cercando di tirare sempre di più la tovaglia affinché venga via dal tavolo. Sto cercando di creare sempre più feste come quella siciliana o quella latina, un po’ meno tempo a tavola e un po’ più smart, rock’n roll. Prima però abbiamo dovuto conquistarci la fiducia degli chef, ma adesso pian piano dopo aver visto gli altri vogliono farlo anche loro. Carlo Cracco dopo aver visto Santiago Lastra preparare i tacos ha detto: ma possiamo fare l’anno prossimo i dischi di riso al salto? Oggi la cucina non è più il tempio dello chef inanimato, ma l’essenza è nello chef della madonna che ti viene a fare i piatti più semplici, tipo Quique Dacosta che viene e ti fa la paella”. Ein Prosit è una festa dal mood scanzonato che tutti coloro che prendono parte sentono dentro e riescono a tirare fuori. E chi partecipa sa di venire a mangiare, nel senso più umano del termine, con al centro la gola e il piacere.