Testo di Barbara Marzano
Foto cortesia di AromiGroup
Sostenibilità. Come ricorda Carlo Petrini in un’intervista, questo termine ormai disincantato deriva dall’inglese sustainability, la cui radice fa riferimento a “sustain”, ovvero il pedale del pianoforte che se premuto con garbo permette di risuonare più a lungo di qualsiasi altra nota, quindi di protrarsi nel tempo con una certa durabilità. Non parliamo quindi di una moda, ma di un percorso progressivo che piano piano tende a insinuarsi nelle nostre abitudini. Radici, il progetto e ristorante di San Fermo della Battaglia (CO) condotto da Mirko Gatti, mette in pratica questa filosofia senza la minima eccezione. Natura, natura, natura. Seguirne i tempi, impararne i limiti, rispettarli e se possibile trasformarli in orizzonti. Sostenibilità in questa cucina significa studio del processo naturale, delle tecniche più spontanee di cottura e di conservazione, ma soprattutto e denuncia di tutto ciò che vive nel territorio, vegetale e non.
La fiamma è la protagonista della zona cottura dove brace, legno, fiamma viva e fumo non sono solo naturali strumenti del mestiere, ma al 100% ingredienti. La dispensa di Radici si presenta più come una legnaia di betulle, abeti, pigne e tanto altro, ingredienti che fanno parte di un progetto che già tentava di farsi spazio anni fa, quando lo chef, tra le cucine di Copenaghen e Londra – tra cui quella del City Social, Arbutus, Chiltern Firehouse, Noma e Relae – iniziava già a seguire il proprio istinto, o meglio una fortissima attrazione per la natura, tra primavere e inverni passati a far proprie materie e tecniche che oggi vivono al ristorante. È poi nel 2018 che Mirko, insieme alla compagna Sara Pau, decide di dare forma a Radici, dove la natura viene sì valorizzata, ma più di tutto trattata con tecniche che le appartengono, raccontata senza veli, nuda e cruda. Dettagli che la Rossa non si è fatta sfuggire, riconoscendogli una stella verde già nella Guida 2024. Se si parla allora di una sostenibilità concreta, tutto ciò che viene colto, conciato, bruciato, e non solo, da Mirko e il suo team, non può che essere del territorio, per una cucina che non ha bisogno di oltrepassare i limiti della natura per raccontarla:
Mirko Gatti: “Lavoriamo con tutto quello che troviamo nel raggio di 150 chilometri attorno a noi, arrivando fino alle Prealpi, ma anche verso l’orizzonte opposto, il mare, rientrando comunque nei 200 chilometri di distanza. La domanda che ci siamo fatti è stata: ‘Con cosa possiamo lavorare, cosa abbiamo a disposizione, e in quali stagioni?’ E il resto è venuto da sé”.
Non che sia da ribadire, ma lo zero waste di Radici è una conseguenza che, torna in ogni dove e si spinge oltre le aspettative dell’ospite. Ciò che non viene utilizzato diventa parte del menu sottoforma delle più svariate tipologie di koji, miso, garum e shoyu, trasformandosi quindi in una base per preparazioni secondarie.
Mirko: “Chiedo sempre ai miei fornitori di portarmi l’animale intero, con testa e pelliccia. Indico loro età, stazza, sesso, perché naturalmente cambiano sapori e consistenze. Uso l’animale intero, ma non posso rendere tutto edibile, come la pelliccia ad esempio… questo però mi permette comunque di rimetterla in circolo, magari come complemento d’arredo su cui offrire i coltelli all’ospite”.
I menu di Radici sono essenzialmente tre, la carta, il degustazione Native e gli Habitat. Tutto ciò che fa parte di Habitat, come di Radici, è selvatico, dalla parte vegetale alla proteina animale. Habitat Foresta, la versione autunnale, si veste di selvaggina, bosco, bacche, funghi e muschio, presentandosi subito con un’alternativa al classico pane e burro, Grasso di cervo, olio di foglie di ginepro, lampone fermentato, serviti sotto forma di cerino.
Mirko: “Habitat si trasforma con il cambiare dell’ecosistema, tre volte all’anno, interrompendosi invece durante l’estate, quando raccogliamo tutto il fresco possibile per preservarlo con diverse tecniche di conservazione e metterlo da parte per l’inverno”.
Come anticipato, lo zero waste diventa matrice di creazioni secondarie, come il miso di nocciole, che condisce la Mezza manica con salsa di cuore di capriolo, ribes neri e tartare di cuore di germano. O ancora il miso di farro, che accompagnail French toast, con cipolla caramellata, tartufo, formaggio affinato al fieno e camomilla.
Foresta predilige il quinto quarto e ne dà atto proprio nella Pancia di cinghiale fermentato nel koji d’orzo e aglio nero, con riduzione di piselli gialli e “limone di mela cotogna”. Non si tratta di un agrume esotico, ma di una piccola mela raccolta dagli alberi della zona, con la consistenza di un limone – ottenuta dalla trasformazione in cottura – e il gusto di una nespola acerba.
Un’altra occasione che elogia il quinto quarto è il Collo di maiale al fuoco, kombucha di rosa, cavolo di montagna e mirtillo rosso. Se la fermentazione è un pilastro portante di Radici, lo è dentro e fuori dal piatto, con bevande fermentate e kombucha home-made che si abbinano a ogni piatto, a volte implementandolo.
L’anima della natura, forse al suo stato più puro, esce in avanscoperta soprattutto in Pigna di abete rosso, formiche e composta di zenzero: una culla su cui riposano piccole formiche rufa, ex abitanti delle pinete limitrofe che, ricche di acido formico, trasmettono un’esplosione di acidità.
Mirko: “Siamo usciti allo scoperto da poco. Le avevamo già utilizzate per la loro acidità totale, che qui non si riesce a trovare sotto altre sembianze. Le puliamo minuziosamente a una a una, togliendo loro aghi di pino e terriccio, per poi congelarle e servirle fredde, senza la minima lavorazione, per permettere che esplodano in bocca in tutta la loro grandezza”.
Pur essendocene a milioni, ogni volta il team ha il compito di raccogliere le formiche necessarie senza mai lasciare traccia del proprio passaggio, che non deve assolutamente essere percepito.
Cambiando stagione, Habitat Mare copre invece i mesi invernali, in cui il pesce raggiunge sapori e consistenze massime fino a esplorare tutto l’ecosistema, dal polmone di mare – una specie aliena che ha ormai invaso tutte le coste – alle piante e alle erbe marine. Habitat Lacustre, che connota le primavere di Radici, rintraccia tutto quello che trova nelle acque dolci, dal lago, al ruscello, alla palude e all’acqua di fiume, ma anche ai boschi in cui crescono piante ed erbe che preferiscono gli ambienti umidi. D’estate Habitat riposa e dà spazio esclusivamente alla carta e a Native, con una degustazione prevalentemente vegetale. La proteina animale lascia il posto a quella vegetale, assumendo la stessa sembianza. Ne è un esempio l’Anguria che diventa filetto, richiamando la consistenza carnivora di una cottura al sangue. Un risultato ottenuto dalla rottura delle fibre, con un susseguirsi di congelamenti e scongelamenti, prima di una laccatura finale che tratta l’anguria proprio come fosse un diaframma. Da Radici è tutto un gioco di sensazioni, spesso gestite a fuoco lento o fiamma viva, in cui lo chef sa sempre con cosa ha a che fare:
Mirko: “È una questione di mentalità. Se un certo ingrediente ha un precedente, quindi lo conosco, metto nero su bianco ciò che ricordo e che so, e da lì programmo una serie di prove e idee. Ma, se non ci ho mai lavorato, cerco di studiarlo a fondo prima di sperimentare. Provo a capire come reagisce a certe temperature, come cuocerlo, quale sia la sua stagionalità. Semplicemente cerco di conoscerlo”.
Radici
Via Henry Dunant, 1
22042 San fermo della battaglia (CO)
Tel: +39 349 068 3973
www.radici-restaurant.it