Testo di Letizia Gobio Casali
Foto cortesia del ristorante Patrizia
Chi scrive ignora come sarà il futuro della ristorazione. Però scommette su chi ne farà parte: Tommaso Zoboli, un talento già maturo a 25 anni, che sostiene altri giovani promesse e nel suo ristorante attira molti under 40, nonostante l’imposizione di un menu degustazione, con la sola scelta del numero di portate. Patrizia, il suo ristorante nel cuore di Modena, è stato inaugurato il 7 ottobre 2023. “Un locale tutto mio era un sogno che coltivavo dal 2021, quando ho vinto il premio come Miglior Chef Emergente, anche se allora mi consigliavano di godermi il momento” ci racconta lo chef, di rientro con tutto il suo staff da un pellegrinaggio da Pascucci al Porticciolo (Roma), dove ha lavorato dal 2019 al 2022, “per far conoscere agli altri uno dei miei maestri e ricordare a me stesso che ho vinto la scommessa di un tempo”. Anziché sedersi sugli allori, allora Zoboli si era prefisso di inaugurare un ristorante entro i 23 anni.
Ne sono occorsi due di più, ma non è mai mutato il luogo prescelto: la natia Modena, “un po’ per riconoscenza, perché questa città mi ha regalato tutti i miei ricordi d’infanzia, un po’ per proteggermi, data la vicinanza alla mia famiglia, e un po’ per senso di responsabilità, perché lavoro con ragazzi della zona, che magari hanno frequentato la mia stessa scuola alberghiera di Serramazzoni (MO)”. Nonostante l’età, Zoboli, che su Instagram indica i nomi dei collaboratori che hanno creato alcuni dei piatti in menu, ha un atteggiamento quasi paterno verso chi lavora con lui: in cucina sono in 2, Federico Poppi e Marcello Bergamini, entrambi di 19 anni, mentre in sala c’è Elettra Orsi, 22, cui affidarsi a occhi chiusi, dai vini ai liquori. “Se un tempo questo mestiere prevedeva una gavetta pesante, fatta anche di bullismo generazionale, è arrivato il momento di modelli organizzativi più sani, di un sistema più rispettoso delle persone” spiega Tommaso. Anche perché, nonostante il suo indiscutibile talento, è dalla condivisione delle idee che nascono le ricette e il tema del menu. “La creatività va allenata e tutto il lavoro che c’è dietro ai piatti tiene alta la concentrazione di tutti” sigla. Ogni 4 mesi, da Patrizia (nome dalla madre dello chef) a dover essere elaborati ex novo sono sia il tema generale, ovvero un filo conduttore tra le portate, sia ognuna di esse, che in genere include un richiamo a un tema attuale, o a un quesito culturale, che viene accennato al momento di servirla.
In base al tema, poi, a ogni stagione cambia tutto, dai grembiuli al menu cartaceo (che in realtà è un magazine di 75 pagine, illustrato e disegnato a mano da Illario Luigi Filippo). “Se mentre preparo un piatto, non ne invento un altro, mi annoio”, ci confessa Zoboli durante la cena. Che in realtà, non fosse un termine abusato, che ormai contraddistingue qualunque cosa, verrebbe da definire “esperienza”, più che cena, perché entrare da Patrizia significa accedere a una dimensione parallela in cui tutto converge a rendere piacevole il tempo che vi si passa. Al punto che – senza fare spoiler sulle portate – chi scrive consiglia di ordinare il menu da 8 portate, perché, grazie all’organizzazione rodata di questa brigata giovanissima, finire rapidamente la cena quasi dispiace. Da Patrizia si sta così bene che si vorrebbe restare di più, si vorrebbe ritornare e, prerequisito ovvio, si mangia molto bene. Il cibo è ottimo, il modo in cui è proposto inedito, ma senza né voli pindarici o virtuosismi da fenomeno. Ed è questo a colpire: che a 25 anni uno non faccia il giovane, cioè non esageri, non decida di volare troppo alto.
Al contrario: tutti i piatti sono comprensibili, immediatamente buoni, benché armoniosamente creativi. Anzi, a dire il vero, oltre che piatti sono spunti di approfondimento, stimoli narrativi, oggetti di conversazione e inviti alla conservazione (del pianeta). Infatti, dietro l’apparente spensieratezza del tema del menu “a fairytale called life” trapelano preoccupazioni per temi urgenti, dalla riduzione della biodiversità alla salute mentale. Ogni piatto riprende una fiaba per accennare a un tema ulteriore, senza tuttavia scadere nel didascalismo né nel citazionismo, per quanto gli omaggi culinari siano chiari, se non addirittura dichiarati, come nei capelli di Raperonzolo (spaghetti zafferano e oro), che richiamano il riso con l’oro di Marchesi.
Poiché i posti a sedere sono disposti attorno a un bancone, dietro al quale i piatti vengono preparati, “è subito chiaro che quando vieni qui non te ne stai a tavola con il tuo partner: ti devi mettere in dialogo con noi” aggiunge lo chef. Questo non significa però che raccontare i piatti implichi di tenere una lezioncina. “Non ho un approccio didattico, non voglio insegnare niente e non ho la verità” precisa lo chef. “Trovo giusto però che il menu rappresenti quello che siamo.Io sono un prodotto dei miei maestri; e se all’ Osteria Francescana ho imparato che occorre dare un motivo alle cose che fai, da Pascucci ho appreso a concentrarmi sul gusto e sulla proposta di cose vere e buone”. Il mix fa sì che, fermi restando sapori e ingredienti riconoscibili e diretti, ogni volta lo chef cerchi di trasmettere una riflessione. “Così, quando viene proposto un piatto con cera e miele, per me è importante accennare alla scomparsa delle api. Se dedico un piatto a Pinocchio e Bambi, che sono storie traumatiche, ci tengo a introdurre il tema della salute mentale. Uno può anche non essere d’accordo con me, e va benissimo, ma il fine è intavolare un dialogo tra noi e i clienti, e tra gli stessi ospiti”. Spesso infatti, succede che i temi diventino un argomento di cui le persone si mettono a chiacchierare tra di loro, restando nel locale fino a tardi. “Questo non vuol dire che i piatti siano in subordine al messaggio: al contrario, noi vogliamo conquistare per la loro bontà e convincere con quelli a ritornare”.
In effetti, tutte le proposte rimangono impresse: dall’eccellente Cervo con trucioli di legno (nocciole, in realtà) alla deliziosa rivisitazione dei Tortelli burro e salvia, dalla Rosetta con Comté e spalla cotta, dal gustoso Agnello con mirtilli, fino a Olaf, un semifreddo incentrato sul concetto di riscaldamento globale, ogni portata fornisce sufficienti ragioni per tornare. Di più, ogni piatto genera la voglia di provare il successivo, in una progressione di sapori, consistenze e temi che soddisfa tanto lo stomaco quanto la testa. Per di più tutto questo viene proposto a un costo accessibile (il menu da cinque portate costa 60 euro, quello da otto 95 euro). La finalità è quella di attirare i giovani, ma anche coloro che non frequentano le cucine stellate. Un antielitismo che Zoboli ha concepito in autonomia, ma anche discusso (grazie a La prima volta, una docuserie prodotta da Lavazza) con Ferran Adrià. “Poiché il fine dining non è economicamente democratico, se ci rivolgiamo solo a una élite, come possiamo influire nel cambiare il mondo?” gli ha chiesto Tommaso. E la risposta è stata: “Non lo cambi tu, ma le persone. Però con la tua cucina devi essere di esempio, per far sì che comprendano e trasformino il mondo”. Per questo il mio obiettivo “è che le persone da noi si sentano non come in famiglia, ma tra amici. La differenza non è da poco: quando stai con i secondi aggiungi le discussioni, gli scambi di idee, ma anche il divertimento. E così quando vai a dormire ti ricordi sì del cibo, ma anche della gioia che hai provato e di ciò di cui avete parlato” riassume Zoboli. Insomma, è l’insieme di più fattori a rendere una serata memorabile. I piatti di Patrizia sono il perfetto viatico di un coinvolgimento più ampio, di un dialogo più profondo, ma non per questo pesante, sul futuro che ci aspetta. Inclusa la domanda: quando prenotiamo per la prossima volta?
Patrizia
Via Torre 29–37
41121 Modena (MO)
+39 3294943999
ristorantepatrizia.com