Testo di Lorenzo Sandano
Foto di Alberto Blasetti
“Verso feste scintillanti,
ove le tavole sono ornate di fiori, noi andiamo!
Ma egli non conosce altri ospiti
che i severi sacerdoti del silenzio.
Eppure, oh! mio giovane amico, non pentirti
Certamente vedendo l’allegro battello
in lui si sono ripercossi la luce e il canto.
Così noi dobbiamo fare, noi fratelli,
sulla strada fortunata dell’esistenza.
Cantiamo allegramente
in cima ai fiordi e presso gli stretti.
Non c’è grotta silenziosa
ove l’eco non risuoni,
e noi siamo quegli uccelli cantori
che portano la semenza nel loro becco.
Che importa il luogo ove le nostre ali ci conducono,
per la montagna o per il fiordo,
se dal nostro becco cade il grano
che germoglierà
nella terra feconda!”
Il canto che passa – Henryk Ibsen
È l’impeto vichingo che echeggia nelle stradine in pietra. Quei canti di festa, incagliati tra i fiordi, che ancora fanno la differenza. Il mood norvegese ti strattona e ti sorprende. Avevamo già toccato le sponde del gastro-ecosistema scandinavo durante il racconto del Maaemo. Evidenziando come la forte indole meticcia, delle varie culture miscelate in questo terroir, segua una rotta di fervida integrazione sociale (e culinaria). Per vivere fino in fondo il movimento ristorativo che contrassegna la città, ci siamo fatti indirizzare proprio dal disponibile staff del tristellato Chef Esben Holmboe Bang (insieme a qualche locals). Muovendo in pattuglia mangereccia, tra gli stendardi della New Norwegian Cuisine. Ma quello gastronomico non è l’unico aspetto che ci ha colpiti. Perché rispetto a molte altre cittadine dei paesi nordici – in cui la vita notturna tende a spegnersi presto, soprattutto d’inverno – il battello sociale di Oslo rema in verso quasi opposto. Lasciando accese le luci dei locali, fulgide e squillanti, anche nelle ore piccole. Non a caso, la concentrazione di cocktail bar di pregio & winebar – ramificati nel perimetro urbano – si rivela considerevole su più fasce ed entità. Le abbiamo raggruppate in un ideologico itinerario. Concedendo maggiore spazio alla tappa da cui è partito (quasi casualmente) il nostro tour. L’Himkok Storgata Destilleri, numero 19 nella guida The World’s 50 Best Bars 2019.
Preludio
Raccontiamola per bene: atterrati in tarda ora ad Oslo, senza cena e discretamente affettati dal freddo norvegese, ci dirigiamo (per ristorarci) in un bar consigliatoci dal Maaemo’s Team: l’Andre til høyre (di cui parleremo dopo). Con i gomiti al banco, divorando patatine e deliziosi twist sul Negroni, esponiamo il nostro interesse nel provare il miglior bar scandinavo secondo la 50 Best Bars, Himkok appunto. Il barman di Andre, sogghignando, ci indica un ragazzo dal cappellino colorato seduto proprio di fianco a noi. Il suo nome è Carl Wiman, uno dei bartender dell’Himkok; neanche a evocarlo con qualche rito magico. Il nostro spericolato viaggio tra i cocktail bar cittadini ha origine da questo fortuito incontro.
Seguiamo le coordinate da navigatore, ma l’approdo non è quello che immaginavamo. La posizione è Storgata 27. No, non nella parte anteriore. Dietro l’angolo, in una viuzza defilata, tra cassonetti e 7Eleven di ordinanza. Una porta pitturata in tono pastello acceso, sotto le tende di un vecchio negozio di pellicce che recita Pels Pels. Solo facendoci caso (mettendo a dura prova la vista in modalità notturna) si scorge una lettera H con un serpente aggrovigliato impressa sul muro del palazzo d’epoca. Benvenuti all’Himkok. Rampe di scale deserte e porte da uscita di emergenza penetrati nell’edificio. Sembra uno scherzo, ma ogni porta (dislocata su più piani/livelli) conduce a una delle sale/anime del locale. Inaugurato il 13 aprile (in un ex-farmacia) del 2015, questo bar è diventato presto un must del miscelato cittadino. E la recente consacrazione al 19° posto nei The World’s 50 Best Bars ha contribuito ad alzarne l’appeal anche all’estero. Non ci sono password o strani codici per entrare, perché scopriamo subito che l’Himkok è una sorta di bar matrioska dal profilo diverso. Il primo piano ospita il rinomato (ed elegante) mainbar, che (nuova sorpresa) è anche una micro-distilleria. Al piano superiore si trova invece il taptailbar ovvero lo spazio che si apre nelle serate di massimo affollamento, dove i cocktail selezionati sono proposti alla spina e dove non esiste servizio al tavolo.
Se lo pensate eccessivo o svilente vi sbagliate. Perché in queste serate si arrivano a servire oltre 1.800 k drink. Salendo, al terzo piano, si trova l’apartment, un’area dedita a degustazioni guidate e session di guest barman. Ma non è ancora finita. Con la bella stagione, nel cortile, si inaugura il cidergarden, atto esclusivamente a celebrare il mondo del sidro. Una fissa dell’Himkok, che non solo ne importa diversi e da differenti regioni del mondo, ma se ne fa produrre alcuni in esclusiva. Infine (forse) in un altro cortile (operativo solo da maggio a settembre), prende vita il munnskjenk: ulteriore spazio dedicato agli street food internazionali (con proposte culinarie che cambiano ogni anno). Concept space dotato di piccolo corner bar e di un palco dove le band locali si esibiscono dal vivo. Un locale dal format versatile e meticcio (come i battiti sociali della città di Oslo), capace di far convivere anime e pubblico diversi all’interno di uno spazio comune. Con un solido e univoco metro di accoglienza: il servizio sartoriale del mainbar, quello rapido e informale del taptailbar, l’atmosfera conviviale e festosa della sidreria estiva e l’esclusività raccolta dell’apartment.
Noi abbiamo provato solo il mainbar, ma è un’esperienza che ripaga & appaga ogni aspettativa (nonché la caccia al tesoro intrapresa all’arrivo). Il bar manager Odd Strandbaken e l’head bartender Maros Dzurus (insieme a tutto lo staff) sono veri professionisti del bartendering old school, dotati di aplomb e cordialità fuori dal comune. Sagacemente macchiato da twist contemporanei puntualmente assestati e da una logica autarchica di auto-produzione che ha contribuito ad agguantare anche il premio per la sostenibilità Ketel One Sustainability Award nel 2018. È Carl (il barman incontrato per caso agli esordi del viaggio), a spiegarci e motivarci nel dettaglio la presenza della micro-distilleria interna (oltre la pressoché totale/voluta assenza di brand commerciali nella bottigliera). Vodka, gin e aquavit (tipico distillato di cereali che si produce in Scandinavia fin dal XV secolo) sono homemade e parte integrante di circa l’80% dei cocktail proposti.
Uno stupefacente kilometro zero alcolico, a cui si aggiunge una certosina ricerca di ingredienti locali. Aspetti che si riassumono (e ritrovano) nella lista cocktail tematica che muta ogni stagione. Piante aromatiche, fiori, bacche e alghe delle terre del Nord vanno dunque a marcare e impreziosire ogni drink. In ottica reale e non solo come strategia di marketing: tratteggiando una sorta di excursus sensoriale nel terroir del miscelato scandinavo a bordo di un vascello vichingo 3.0. Dalla carta a tema Cabins (palafitte/cottages estive tipiche norvegesi), abbiamo assaggiato il complesso, amaricante ed elettrico Tindved (Gin Himkok, bitter della casa, vermouth dolce e distillato di seabuck); le evolute tonalità fumé, erbacee e taglienti del Birch/Bjørk (Himkok Old Tom Gin, infuso di foglie di betulla, vermouth bianco, spray affumicato e formaggio erborinato norvegese Kraftkar). In chiusura, l’intensità citrica e fine del Røslyng (Himkok acquavite, vermouth rosso, ice wine alla prugna, erica e limone). Una visione autoctona e brillante della mixology moderna, abilmente dislocata in un mix di ambienti e atmosfere diverse. Che funziona alla grande grazie alla professionalità del team, ma anche alla consapevolezza e al rispetto che sembra essere insito nel popolo di questa meticcia città.
La scena cocktail & winebar di Oslo
Collocato sopra un vivace bistrot (in una delle piazze principali della città), questo accogliente locale si presenta come un appartamento privato, separato in ambienti casalinghi e con divanetti conviviali e un’ampia cucina dotata di isola (dove si alternano incursioni culinarie durante l’orario di cena). In fondo alle sale, spunta un bel bancone con finestre affacciate all’esterno. La linea è quasi interamente sartoriale, dettata dall’estro dei vulcanici bartender (tra i più talentuosi di Oslo). Provate le variazioni di Negroni e le riuscite sperimentazioni a base di distillati locali o sui cocktail dalle tonalità orientali. Non rimarrete delusi.
Bettola
Un locale dal forte impatto estetico vintage: il tepore del legno e le nuances dai rimandi proibizionisti, scandiscono ogni cm quadro del bar. In alto, affisso sopra il bel bancone, una stampa del Padrino di Coppola (AKA Marlon Brando). Il motivo sono le origini italiane del titolare, che infatti si destreggia con grande abilità in una sconsiderata (e vincente) lista di variazioni sul tema Negroni e Americano. Delizioso quello affumicato con tocco acetico dei pickles homemade. Ampia selezione di bitter artigianali, focacce e salumi di vaglia a chiudere il cerchio. Un’insegna dalla raffinata atmosfera bohémien, che consigliamo vivamente.
Ex-farmacia, trasformata prima in enoteca e da pochissimo anche in un eclettico cocktail bar. Stile liberty, marmo lucente e ampio bancone a vista disegnano l’ambiente. Oltre alla schiera di tavolini vista-banco, non mancano delle salette private per i gruppi. E un piano sotterraneo (ancora in WIP) che ospiterà jam-miscelate con bar tender da tutto il mondo. L’offerta è snella ma nitida e convincete, splittata tra grandi classici confezionati a mestiere e qualche spallata di creatività nei drink maison.
Piccolo e curato wine-bar, in evidenti panni hipster (ma di quelli sani e non ostentati). Un mastodontico bancone domina la sala con poltroncine e sedute collettive. La parete principale è un luna-park di etichette selezionate con gusto e pensiero. Da tutto il mondo, con un occhio di riguardo per il naturale serio e una ritmata scelta alla mescita (fresca e a prezzi corretti). Si mangia anche bene, tra snack di livello – taglieri, pesce conservato e formaggi artigiani – e qualche proposta calda, goduriosi e sazianti sia il waffles salato che il club sandwich rivisto con ingredienti scandinavi. Plauso per il corner giradischi, che – in ottica democratica – consente ai clienti di scegliere tra i vinili esposti la colonna sonora in un minutaggio concordato con i titolari.
Microscopico bar senza insegna, che infonde giovialità grazie a un eccentrico arredo (e approccio) freak/hippie. Scordatevi carta dei vini o servizio al tavolo. Armatevi di uno spirito da comune e confrontatevi con il ragazzotto al bancone per scegliere il vino che più vi ispira e che vi farà assaggiare senza batter ciglio (prevalentemente naturali e orange wines). Poi, muniti di bottiglia e calici (e in caso anche di sostanziosi piattini di charcuterie di livello), accomodatevi con piglio libertino e date inizio alle danze enologiche.