Testo e foto di Gloria Feurra
La fauna umana newyorkese nella bellezza del suo mese di gloria, in un giorno di settembre mite e laborioso.
C’è chi gode del giorno off, chi prova a centellinare i minuti che scoccano verso la fine del break, c’è chi il brunch è pure di martedì e chi la colazione deve essere all day long.
C’è l’inquinamento sonoro dei tappi delle bentobako che saltano all’unisono traboccanti di insalate. Guarda là! La gente porta a spasso torte arcobaleno, e hanno pure dei gelati agghindati con paillettes! C’è chi una cosa per volta non la può fare: indossa il passo di marcia consueto – veloce/andante – e divora famelicamente. Assumendo e consumando, insieme.
C’è la congregazione unita dei mangiatori di Union Square, collettività di singoli atomi. Ci sono enne smartphone a fare da contorno al piatto principale: un morso al bagel e uno swipe sullo schermo, un sorso di limonata e due chiacchiere con Siri: “send an e-mail to Sasha”.
Ci sono i baracchini di Wall Street, segnalati dalle serpentine di incravattati e operai che praticano alla leggera una delle più alte forme di democrazia, rispettando la coda. C’è chi mette in scena lo spettacolo pirotecnico della convivialità più appariscente, fatta di chiacchiere a volumi sostenuti e portate pesanti sotto il sole alto, nei tavoli allestiti per le confraternite di street food temporanee.
C’è di tutto, e poi ci sono io. Guardona perversa di ogni morso afflitto che ho sotto tiro. Feticista dell’edibile e di ogni suo predatore. Azzardatrice di nessi, come quello tra i due colleghi appena conosciuti che scambiano un osomaki per un nigiri: c’è ovviamente del tenero.
Da Sud verso Nord, calpestando Broadway, tra le 12 e le 2 am, è tutto un brulicare di masticazioni. Ogni vuoto d’aria diventa suscettibile a mutare in tavola imbandita, ogni semaforo pedonale che scatta è un travolgerti di sacchetti to go, tutte le brezze che accarezzano le narici portano odori di rifocillo, di festa paesana o di mare.