Testo di Sara Porro
Foto di Letizia Cigliutti
Regola numero uno del settore immobiliare: “location, location, location”, come a dire, la posizione è tutto. Di fronte al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dal Cinquecento c’erano le Fosse del Grano, adibite alla conservazione dei cereali, che negli ultimi decenni del Regno Borbonico divennero galere. Nel 1883 qui fu inaugurata la Galleria Principe Umberto – una sontuosa struttura con una copertura in ferro e vetro – dove dieci anni più tardi il procidano Vincenzo Scotto Jonno, figlio di marinaio, aprì un café chantant, dove la clientela ascoltava musica popolare napoletana e mangiava gelati.
Nel periodo fascista, il café fu requisito e trasformato in cinema con proiezioni di propaganda; nel secondo dopoguerra fu adibito a Tesoreria comunale. Senza spazi commerciali, la Galleria non seppe mai attrarre visitatori, finendo in una condizione di degrado finora solo tamponata dalle frequenti ristrutturazioni. Da qualche mese, negli spazi dell’allora Tesoreria – il nome è ancora affisso in lettere dorate sull’insegna – ha aperto un locale di 600 metri quadrati, disposto su due piani: al piano terra c’è ScottoJonno, bar e bistrot dalle 12 a mezzanotte; di sopra, il ristorante gourmet Sustanza. Location bella, ma complicata!
Come spiega il procidano (anche lui) Marco Ambrosino, che nell’agosto 2022 ha lasciato Milano per trasferirsi a Napoli e diventare lo chef di tutta la struttura: “Sustanza sta per ‘essenza dell’essere’ ma anche per… la stanza del piano di sopra”.
Ambrosino è stato molto voluto da Luca Iannuzzi, imprenditore con altri locali di successo in zona: il beach club Nabilah a Bacoli e l’Archivio storico del Vomero, che propone una cucina borbonica (neo-borbonica?), vagamente ispirata ai cuochi francesi monzù, che crearono pietanze opulente e strutturate come il Timballo Flammand anche noto come Cerino di bucatini, sformato di pasta servito con un guscio d’uovo ripieno d’alcol in fiamme a decorazione.
Lo stile degli interni di ScottoJonno è stato progettato per ricordare il café chantant di un tempo: non esistono foto d’epoca e perciò Eugenio Tibaldi, responsabile del design degli arredi, ha lavorato di filologia, riproducendo lo stile art déco e abbondando di piante esotiche.
Per venire a Napoli, Marco Ambrosino ha lasciato Milano e il ristorante 28Posti, aperto nel 2013. Possiamo dire che è per merito suo se questo locale diminutivo (indovinate il numero dei coperti) ha resistito – e prosperato, anzi – in una delle viuzze dei Navigli più soggetta al traffico pedonale e al viavai di locali dimenticabili. Ambrosino è stato capace di creare un ristorante originale, di grande personalità, che proponeva una cucina di pensiero nordico e ingrediente meridionale; che della cucina partenopea preferiva l’amaro delle verdure a foglia alla ricchezza del ragù della domenica.
Dalla metropoli del Nord a quella del Sud, da un mono-locale a una piazza d’armi, dal minimalismo al massimalismo: eppure per Ambrosino non esiste cesura o soluzione di continuità tra l’uno e l’altro. “Riprendo da dove ho lasciato – spiega – tanti mi chiedono che cucina farò? Non capisco la domanda: non ne so fare altre”. Il cuoco procidano vive una stagione di energia straripante; forse anche per questo trova che la ristorazione in generale sia in una “fase stagnante, dove prevalgono copie e uniformità, a partire dalla scelta delle stoviglie”. Va peggio, denuncia anche “approssimazione nell’analisi, mancanza di divertimento e una tendenza all’ascetismo”, conseguenza di un approccio less is more portato alle estreme conseguenze. “Abbiamo tolto talmente tanto che non è rimasto nulla”. Troppa attenzione alla figura, non abbastanza al sapore. Così, per non rischiare di essere influenzato dall’estetica prevalente, Ambrosino ha smesso di seguire i cuochi su Instagram: “Ascolto volentieri quello che i colleghi hanno da dire, leggo le loro opinioni, ma cerco di non guardare i piatti”.
A ispirarlo è piuttosto la cultura materiale della cucina, in un percorso di innovazione “non tecnica, bensì umanistica”, come spiega. Ambrosino utilizza le cucine locali – o quelle iper-locali, come quella di Ischia – come un microscopio con cui osservare il senso profondo della convivialità e dello stare a tavola. Di Coniglio all’ischitana, su un’isola di una quarantina di km quadrati (quanto una cittadina di provincia) ci sono molte ricette diverse. E anche, servire a tavola l’animale intero consente di ricostruire le gerarchie dei rapporti familiari, la parte migliore per il capofamiglia, la parte più tenera a bambini e anziani. Ancora: la cucina isolana come cucina della presenza, perché si cucina con quel che c’è, e cucina dell’assenza, perché si cucina per chi torna a casa.
Nessuna sorpresa allora se i piatti di Ambrosino sono fantasiosi come libri illustrati, pieni di note a piè di pagina commestibili. Nel menu del bistrot ScottoJonno c’è lo Scammaro (una crema di ceci, verdure cotte e marinate, terra di olive e dressing al miso) ispirato al piatto napoletano dello stesso nome; Spaghetti fritti in padella con acciughe e olive per chi nei monasteri mangiava di magro. Lo scammaro, infatti, è colui che mangia “fuori dalla camera”, perché in salute: il malato – costretto a letto – era esentato dall’osservare il divieto, e poteva mangiare carne. Oppure il Genève (pollo alla salsa di genovese di pollo e croccante al provolone del monaco), che propone un’etimologia alternativa per la classica genovese: deriverebbe dal nome di una nave bloccata in quarantena nel porto di Napoli quando in cucina erano rimaste ormai solo ossa spolpate e molte, molte cipolle.
Il menu è illustrato da lui: “Il disegno libero mi isola e mi apre nuovi percorsi estetici – dice – qualche giorno fa ho persino comprato sulla piattaforma Domestika un corso per fare le bambole di lana cotta”. La sua creatività non funziona a compartimenti stagni. In questo, Ambrosino ha qualcosa del genio rinascimentale – Leonardo da Vinci dipingeva, progettava infrastrutture e faceva il wedding planner dei duchi Sforza – e qualcos’altro del bambino (entrambi sono complimenti).
ScottoJonno
Galleria Principe di Napoli
80135 Napoli (NA)
Tel: +39 081 353 3418
www.instagram.com/scottojonno